C’era una volta un triangolo
Aveva tre lati
Il quarto lo teneva nascosto
Nel suo centro ardente
Ispirati dalle prime righe di Prudent Triangle (1968), poesia di Vasko Popa che dà il titolo alla mostra, gli ultimi lavori dell’artista americano Henry Chapman sembrano andare alla ricerca proprio di questo ‘quarto lato’ del triangolo. La soluzione, a scapito di chissà quali ragionamenti contorti, non risiede in alcuna formula: è al centro ardente che bisogna guardare, al luogo in cui convergono le linee e i pensieri.
Punctum fisico e concettuale, esso costituisce infatti sia il fulcro delle composizioni geometriche che animano i dipinti, sia il territorio nel quale rifugiarsi e dal quale trarre nuove energie. Alla domanda – anche opportuna – su dove si trovi questo territorio, è lo stesso Chapman a rispondere: “I dipinti di questa mostra sono stati realizzati nella metà e nell’ultima parte dello scorso anno, in risposta alla vità così come era cambiata. Era impossibile ignorare il dolore, che – sebbene fosse stato sempre lì – assumeva un’onnipresenza che non avevo mai conosciuto prima. In risposta al dolore mi sono sempre mosso verso l’interno […]”. Siamo noi, dunque, a occupare quel centro ardente, l’umanità intera a costituire quel ‘quarto lato’ del triangolo.
Figura che ha assunto diversi significati nel corso dei secoli, il triangolo, nei lavori di Chapman, evoca l’interpretazione che meglio ne esalta il proprio valore simbolico. Poligono avente il numero minimo di lati, esso si pone fra il cerchio e il quadrato, figure che in alchimia individuano rispettivamente i concetti di cielo e terra, di macrocosmo spirituale e microcosmo materiale: da qui il suo legame indissolubile con l’uomo, o meglio con l’aspirazione umana di raggiungere la trascendenza e l’infinito. È questa la motivazione che si cela dietro la scelta di far convergere la struttura delle composizioni verso il centro del quadro: guidando il nostro sguardo verso il punto nevralgico del dipinto – luogo cardine dell’energia e del movimento – Chapman ci conduce alla scoperta di noi stessi, all’autocoscienza della nostra entità fisica e spirituale.
In quest’ottica, le parole che emergono dalla superficie pittorica, oltre a costituire il vocabolario ontologico delle composizioni, rappresentano l’alfabeto della nostra esistenza: fear, pettiness, shame, grief manual, new narrative fanno parte del corollario dei nostri sentimenti e individuano ciò che proviamo e ciò di cui abbiamo bisogno – le zone dei dipinti in cui sono posizionate, insieme alla disposizione dei triangoli, ribadiscono quanto sia importante fare i conti col tempo, e quanto veloce sia il movimento che lo caratterizza.
Di pari passo al linguaggio verbale, si pone poi il linguaggio cromatico. Come afferma l’artista in risposta a una domanda di Domenico de Chirico, curatore della mostra, “il mio ultimo gruppo di dipinti si distanzia dai precendenti iniziando da una base scura; questa è la base per il tempo, movimento, prestazioni e pratica”: le “sfumature di nero, marrone, blu, porpora, viola e verde” incarnano meglio le preoccupazioni degli ultimi anni e i drammi dell’ultimo periodo, mentre la scelta, in extremis, di includere anche due tele dal fondo chiaro allude alla speranza che non lo ha mai abbandonato.
I triangoli che compongono questi “orologi”, o “forme stellari o floreali” – come lui le chiama –, pur concentrando i loro sforzi verso il centro, verso l’interno, sembrano rispettare a fatica i confini del dipinto, quasi fossero delle bombe a orologeria che non aspettano altro di esplodere nello spazio. Chapman, come Popa, “ha preso il suo quarto lato / L’ha abbracciato e l’ha rotto tre volte / Per nasconderlo di nuovo al suo vecchio posto”. Movimento è cambiamento, rinnovamento, come quello che dovrebbe interessare la scoperta (quotidiana) di noi stessi: “E ancora una volta aveva solo tre lati / E di nuovo è salito ogni giorno / Alle sue tre cime / E ammirato il suo centro”.
Henry Chapman – Prudent Triangle
Labs Gallery, Bologna, via Santo Stefano 38
Dal 20 febbraio 2021 al 17 aprile 2021