Hannah Villiger – Works/Sculptural | Istituto Svizzero, Roma

Legata a una declinazione del medium fotografico del tutto peculiare, Villiger sviluppa un percorso di progressiva presa di consapevolezza del mezzo e, con esso, delle strategie compositive che fanno della fotografia e del suo soggetto privilegiato - il corpo, all’inizio quello di amici e amiche, poi sempre più spesso il proprio - la sintesi estrema della corrispondenza tra corporeo e incorporeo, intimità e distanza.
14 Maggio 2021
Hannah Villiger, Works/Sculptural – Installation view, Istituto Svizzero a Roma © photo Ela Bialkowska, OKNOstudio.

Quella di Hannah Villiger all’Istituto Svizzero di Roma è la prima retrospettiva italiana dedicata all’artista, realizzata in continuità con l’Archivio e allestita seguendo delle linee di indirizzo metodologico che tengono conto delle cronologie e dell’importanza della ricostruzione con l’ausilio di materiali d’archivio, organizzati in modo da restituire una panoramica ampia su un’artista poco conosciuta in Italia che in due celebri occasioni ha rappresentato la Svizzera, prima nel 1975 alla nona edizione della Biennale di Parigi insieme, tra gli altri, a John Armleder e Martin Disler, poi nel 1994 alla 22esima Biennale di San Paolo con Pipilotti Rist.
Attraverso una selezione di opere e materiali che dagli anni della formazione, passando per i lavori creati a Roma a metà degli anni ‘70, arrivano fino agli anni ‘90, Works/Sculptural mette insieme i diari di Villiger – veri e propri libri d’artista con annotazioni e maquettes che assumono una loro completa autonomia – e materiale fotografico inedito, raccogliendo all’interno delle vetrine documenti d’archivio e lavorativi, alcune Polaroids originali degli anni ‘80 e ’90, accompagnati dalle monumentali c-prints riportate su pannelli di alluminio.
Legata a una declinazione del medium fotografico del tutto peculiare, Villiger sviluppa un percorso di progressiva presa di consapevolezza del mezzo e, con esso, delle strategie compositive che fanno della fotografia e del suo soggetto privilegiato – il corpo, all’inizio quello di amici e amiche, poi sempre più spesso il proprio – la sintesi estrema della corrispondenza tra corporeo e incorporeo, intimità e distanza. Quasi come in una scomposizione prismatica, i primi piani del corpo su Polaroid vengono ingranditi attraverso un negativo intermedio, per essere poi montati su sottili lastre di alluminio, organizzate in blocchi a formare una griglia.
Il titolo della mostra, Works/Sculptural, chiarisce bene il legame, ribadito più volte dalla stessa Villiger, con la scultura: un legame non esclusivo a cui appartenere, bensì una pratica che rende la scultura un linguaggio finalizzato a dare corpo a una serie di lavori in cui la fotografia arriva alla mediazione con un approccio scultoreo, plastico. “Io sono scultura” annota in un diario di lavoro del 1983; è in questo modo, per esempio, che il corpo – frammentato, parcellizzato, indagato, messo a nudo ma mai spettacolarizzato – assume, per mezzo della fotografia e tramite il valore espressivo aggiunto del concetto di “Skulptural”, scultoreo per l’appunto, una preminenza assoluta che lo lega allo spazio, al paesaggio, alla Natura.

Hannah Villiger, Works/Sculptural – Installation view, Istituto Svizzero a Roma © photo Ela Bialkowska, OKNOstudio.

La mostra riunisce opere – alcune delle quali appositamente prodotte dalle Polaroid originali, come nel caso di due grandi lavori collocati nella prima sala, entrambi intitolati Skulptural e realizzati nel 1996 e nel 1995/97 – che caratterizzano le diverse fasi creative dell’artista, ponendo un accento di importanza sugli anni romani quando, tra il novembre del 1974 e l’estate del 1976, Villiger è in residenza all’Istituto Svizzero e, dopo un iniziale innamoramento per le soluzioni formali e i materiali dell’Arte Povera, che la vede realizzare oggetti e piccole sculture, inizia a sviluppare un percorso autonomo che la porterà a indagare la fotografia come “mezzo scultoreo”.
Roma, e l’ambiente romano legato ai linguaggi espressivi più sperimentali di quegli anni – la Land Art e l’Arte Povera – consentono a Villiger di distaccarsi da un contesto piuttosto conservatore, iniziando a percepire la fotografia e l’oggetto/soggetto come le componenti binarie fondamentali della  sintesi a cui presto perviene. Le fronde di palma in fiamme, fotografate in caduta libera, le consentono di fissare l’effimero dimostrando un precoce interesse per quella che ben presto si concretizza come una pulsione alla autonomia del mezzo e alla sua persistenza performativa. È già presente in questi lavori un attenzione verso l’evenemenziale che sembra attivato proprio da quel corpo che è ancora celato. Il corpo – presenza effimera per eccellenza – si rivela qui esclusivamente attraverso la memoria dell’azione compiuta. Gesto, azione e movimento, sono dunque in potenza, e la fotografia restituisce la loro traccia sotterranea.
“La maggiore distanza tra la macchina fotografica e il corpo è la lunghezza del mio braccio teso fino alle dita dei piedi”: è in questa affermazione contenuta in un testo pubblicato nel 1986 intitolato Neid (Invidia) – titolo per altro di un’importante esposizione personale alla Kunsthalle di Basilea, curata da Jean Christophe Ammann – che Villiger esprime compiutamente la propria tensione verso un processo creativo dinamico che fa dell’immagine corporea il vettore principale di una forza costruttiva in costante evoluzione. I blocchi fotografici riempiono lo spazio, in qualche modo arrivando a dominarlo, sopraffacendo lo spettatore, costretto a osservare il gigantismo di un corpo dai profili sempre più incerti e indefinibili. Ecco allora che il corpo si fa linguaggio “nel tentativo di creare un nuovo alfabeto”. 
La mostra verrà accompagnata da un volume pubblicato insieme a Mousse Publishing nell’estate 2021, contenente fotografie dei diari di lavoro e contributi testuali a cura di Elisabeth Bronfen, Gioia Dal Molin, Quinn Latimer, e Thomas Schmutz.

Hannah Villiger, Works/Sculptural – Installation view, Istituto Svizzero a Roma © photo Ela Bialkowska, OKNOstudio.
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