
Nel silenzio del Castello di Guiglia, GU.PHO. – FotoFestival Vernacolare Internazionale – torna per la sua quarta edizione e conferma il suo statuto di avamposto unico in Europa per la fotografia vernacolare. Se altrove la “foto trouvée” resta feticcio nostalgico o materia di recupero estetizzante, qui si trasforma in dispositivo critico e memoria performativa. L’estensione su due weekend (20-22 e 27-29 giugno) sottolinea una maturità curatoriale che, con il passaggio di testimone da Sergio Smerieri a Giorgia Padovani e Marcello Coslovi, si traduce in un programma più articolato e consapevole del tempo che abitiamo.
Tra le presenze internazionali, spicca Erik Kessels, maestro dell’assurdo vernacolare, che insieme al duo PetriPaselli presenta The Stand-in Groom – una narrazione delicata e potentissima su identità, distanza e amore per procura, dove la fotografia d’uso quotidiano si fa teatro della resilienza. Kessels torna anche in scena nel suo imperdibile talk notturno Midnight Spicy Picture Show, che celebra il perturbante come categoria dell’archivio.
Accanto a lui, il rigore concettuale di Cemre Yeşil Gönenli e l’approccio quasi archeologico di Tiane Doan na Champassak dimostrano quanto la fotografia vernacolare possa ancora essere un campo fertile per investigare storia, trauma e ideologia, se opportunamente attivata.


Fondamentale, nel programma dei talk, la riflessione di Michele Smargiassi, Non esistono fotografie private: un’affermazione netta, quasi provocatoria, che interroga lo statuto pubblico dell’immagine familiare. È un atto di responsabilità, quello che Smargiassi propone, che tocca tanto la pratica del collezionista quanto la politica del riuso visivo.
A rilanciare ulteriormente la dimensione teorica del festival contribuiscono tre interventi cruciali: The Shadow Archive di Fabio Severo, che interroga il concetto di archivio come spazio critico e libertà possibile a partire dalle riflessioni di Allan Sekula; Memoria futura di Davide Tranchina, che traccia una mappatura delle nuove pratiche artistiche intorno al riuso del vernacolare; e L’opera senza autore, in cui Luca Panaro e Sergio Smerieri esplorano l’anonimato e il caso come generatori di senso nella fotografia post-autoriale.
A dare corpo e profondità al festival, una costellazione di sguardi che attivano l’immagine vernacolare come archivio vivo: tra questi Lukas Birk, Jean-Marie Donat, Matthieu Nicol, Alessandra Calò, Yvonne De Rosa, Francesco Lughezzani, Matteo Schiavoni, Sergio Smerieri, il Vernacular Social Club, oltre ai progetti editoriali di Leporello Photobooks, e Sugar Paper. Una pluralità di approcci – dalla pratica curatoriale alla ricerca d’autore, dalla stampa alternativa al montaggio narrativo – che dimostra come la fotografia non professionale possa farsi, oggi, gesto autoriale e critica culturale.
GU.PHO. non è un festival per nostalgici dell’analogico: è un laboratorio di pensiero critico sulla fotografia come linguaggio collettivo, performativo, comunitario. In un momento in cui l’immagine è ovunque ma il senso sembra rarefarsi, è proprio nel passato anonimo che GU.PHO. trova strumenti per leggere il presente.
Cover: Matthieu Nicol, Better Food for Our Fighting Men


