L’abbozzo di un’architettura archetipica, schermo di proiezione di una danza di luci, si è spontaneamente generato nell’interno buio dell’Oratorio di San Filippo Neri, a Bologna. Allestita con la curatela di Cristina Francucci in occasione di Art City (fino al 9 febbraio) dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, l’installazione Torri : Terra, opera congiunta di Grazia Toderi (Padova, 1963) e Gilberto Zorio (Andorno Micca, 1944), è un dispositivo di contemplazione che condensa materia solida, luminosa e sonora; sintonizzato con la volta celeste, manifesta arcane affinità con i cerchi di pietre preistorici. L’ossatura del lavoro è costituita da centinaia di blocchi bianchi di gasbeton che edificano a secco due torri a forma di stelle a cinque punte, che si toccano ad un’estremità: un simbolo, scevro da ogni rimando fenomenico agli astri del cielo che rappresenta se non per una resa stilizzata dei raggi di luce, che Zorio indaga dal 1976 nelle sue possibilità formali, per esprimerne la potenza immaginativa latente. Come nota Gianfranco Maraniello nel testo che accompagna la mostra, quel simbolo, “‘educata’ forma dell’immaginazione”, “ricorre in bandiere nazionali, figurazioni d’arte sacra, prodotti pubblicitari, disegni infantili, ripetendosi ad ogni latitudine e in epoche distanti, pur trattandosi di un’invenzione e non di una visione realmente avvenuta, ossia di una concretizzazione della fantasia dell’uomo nel cogliere la stella nella sua stilizzazione geometrica quale immagine di una distanza remota e potenzialmente infinita”. Nella contingenza dell’Oratorio, la stella a cinque punte va incontro ad un processo di materializzazione significante, andando a coincidere con un archetipo architettonico, la torre, che di per sé tende ad elevarsi verso una dimensione ultramondana, pur da salde fondamenta. Nell’oscurità, la pelle delle torri stellari si intride di un bagno di luce rossastra e rifulgente come magma, che consiste nella stratificazione di centinaia di fotogrammi di una visione satellitare della Terra in movimento, su cui sono sovrapposti dei mirini ottici, che si infrangono e si riaggregano continuamente nella loro danza sulle torri.
Le proiezioni nascono in seno al progetto Marco (I Mark we Mark), in cui il fratello dell’artista, agronomo, l’ha invitata a realizzare “registrazioni” di spazi deserti della terra, “marcati” da proiezioni grafiche di strumenti di analisi e mappatura. La luce si spalma sui muri, penetra in profondità nei meandri dell’architettura, planando radente ne perfora i punti di incastro. L’orientamento dei proiettori è trasversale rispetto alla navata dell’oratorio, dunque la luce che precipita sulle torri, attivandole di energia, frana anche sulla parete sinistra e si sfrangia, si liquefa sulle sue decorazioni barocche. In sottofondo si sente un suono statico e ovattato, di vento o di decolli di aerei, che si avventurano invisibili nella notte. “È una mostra che si può visitare soltanto in orari non diurni” – ha commentato Maraniello durante la preview per la stampa – “non è un’opera-oggetto riconosciuta da una dimensione museografica tradizionale che cerca l’esposizione alla luce: noi visitatori siamo soggetti a una dinamica temporale che eccede lo spazio terrestre nello specifico dell’Oratorio, perché siamo condizionati dall’orbita della Terra, e dunque accettiamo una condizione notturna di percezione dello spazio. Dunque, anche nella scelta degli orari di apertura al pubblico c’è un elemento poetico”. In alto, un secchio sospeso getta la sua ombra sulla parete: per Maraniello uno strumento umile che, per contrasto con la sontuosità dell’oratorio in cui avrebbe più conformemente figurato un lampadario antico, funge da rinvio ad una processualità ancora in corso, “la traccia di un’opera che per certi versi non si è ancora compiuta e che in qualche modo ha un destino ancora impronosticabile rispetto alla condizione provvisoria della mostra”. Alla sua ombra si sommano quelle dei visitatori, i cui moti circolari attorno alle torri (unici perni stabili di questo microcosmo) rappresentano altre orbite ondivaghe che entrano in risonanza o in contrasto con la danza cosmica delle immagini.