
Creazione di un ambiente totale che integri belle arti e arti applicate, rapporto dialogico tra le opere, unione delle modalità di creazione e fruizione dell’opera, per favorire il totale assorbimento dello spettatore nello spazio: sono questi gli elementi che caratterizzano Seamlessness progetto espositivo di Giusy Pirrotta curato da Elena Forin per la Galleria Massimodeluca.
In occasione della nuova mostra, inaugurata l’8 aprile scorso e aperta fino al 5 maggio, l’artista è intervenuta sugli spazi della galleria lavorando al design di una nuova “epidermide visiva, spaziale e architettonica”, ottenuta dall’elaborazione di pattern di matrice botanica ripetuti su carta da parati e su tessuti, e tramite l’utilizzo di materiale specchiante che riflette e frammenta la luce e l’ambiente circostante. Questi elementi, ispirati alle scenografie degli atmospheric theaters in voga nell’America anni Venti, fungono da quinte o da schermi per piccole sculture in ceramica smaltata – rielaborazioni di oggetti domestici (lampade) o tecnologici (calchi di proiettori super 8) – che emanano luci colorate o proiettano immagini scomposte di elementi vegetali, e si inseriscono nell’incessante ricerca condotta dall’artista per dare corpo alla luce.

L’allestimento stesso della mostra è studiato per non essere dato una volta per tutte, anzi prevede l’interazione attiva del pubblico, invitato a spostare i tendaggi per generare ulteriori composizioni di immagini, per trovare effetti sempre nuovi e verificare inediti confini tra stabilità e movimento.
L’effetto che si ottiene dalla sovrapposizione visiva e concettuale, dall’omogeneità e dalla frammentazione, dalla continuità e discontinuità tra i motivi decorativi vegetali e i corpi scultorei, è la creazione di un ambiente totale in cui vengono mescolate le ordinarie categorie legate alla percezione e in cui si annulla la differenza tra figura e sfondo. Grazie alla fluidità con cui l’artista si muove tra design, cinema, video arte, architettura e decorazione, gli elementi in mostra diventano parte di un continuum visivo potenzialmente infinito, in cui le immagini si rigenerano e si sviluppano in maniera organica da un’opera all’altra. Opere che non sono più concepite con confini certi, ma sono entità vive in costante divenire.
Non a caso, spiega la curatrice, il titolo scelto per la mostra si riferisce a “un’idea di mancanza di interruzione, a qualcosa che non ha cuciture ma che, al tempo stesso, non presuppone omogeneità quanto piuttosto il senso di un ritmo che procede senza soste e senza cesure. Non quindi un ritmo inteso come semplice riproduzione meccanica scandita, intervallata e composta da elementi ricorrenti – sempre gli stessi – ma come un sistema che considera la relazione reciproca, le alternanze, le assenze, i silenzi e le ridondanze delle singole parti nel loro comporsi.”
