In una citazione del 1965 Frederick Kiesler afferma che “l’oggetto artistico tradizionale, sia esso un dipinto, una scultura o un pezzo di architettura, non va più visto come un’entità isolata, ma deve essere considerato all’interno di un ambiente più ampio. L’ambiente diviene importante quanto l’oggetto, anzi forse di più, perché l’oggetto si espande nell’intorno e assorbe la realtà qualunque essa sia, vicina o lontana, interna o esterna.” Allo stesso modo la struttura in metallo articolata in tre braccia riempie lo spazio di Quartz Studio in occasione della mostra realizzata grazie al supporto della Fondazione Sardi per l’arte e dedicata a Giuseppe Gabellone.
Il progetto espositivo genera, in concomitanza con la personale presentata alla Galleria Zero… a Milano durante la settimana di Miart, un filo spazio-temporale tra le due narrazioni complementari. Ricoperto da tre lunghe file di quaranta lampadine il corpo occupa la sala rendendo difficile l’accesso e una sua analisi da vicino. L’abbraccio metallico dai falsi tratti antropomorfi nel suo impedire gioca e sfida il luogo che lo contiene: la luce naturale che proviene dall’esterno e il tentativo di allungare o modificare le dimensioni di una visione grazie ad un treppiede regolabile. Adottando nel corso della propria carriera diverse tecniche per esplorare la vita tridimensionale dell’oggetto scultoreo, quali installazione, fotografia e decorazioni in rilievo, Gabellone ritraccia il percorso storico e le visioni di grandi artisti del XX secolo mentre esplora la relazione tra oggetto e contenitore corredato dal rispettivo spazio neutro o vuoto che lo accoglie. Come afferma Rosalind Krauss nel celebre saggio Sculpture in the expanded field (1979) queste strutture assiomatiche – così definisce le installazioni la critica d’arte statunitense – permettono di generare un intervento sullo spazio trasformandolo in un luogo/paesaggio in cui la complessità viene data, non più solamente dall’oggetto, ma ai singoli siti e dettagli che lo accolgono.
L’installazione scultorea di Gabellone, allora, non è più soltanto una presenza “sola” in attesa di uno sguardo contemplativo, ma è un elemento generativo che, nel suo campo d’azione, emana un’energia organica che comunica con interno ed esterno. Il minimalismo, che lo distacca da una formalizzazione più pittorica e materiale delle sculture precedenti, evidenzia una luce pesante in termini di fisicità, di lampadine che oltre a illuminare gettano le coordinate per la costruzione dello spazio. Quest’opera “per levare”, dal grande rigore formale, intensifica lo spazio e allo stesso tempo si fa contenitore di una linea di ricerca che, coerente e rigorosa, va a sommarsi alle tante prove e riuscite della carriera, oramai ventennale dell’artista.