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Intervista a Giuseppe De Mattia | Lavoretto – Toast Project Space

Tutto accade nell’arco di una giornata lavorativa nel gabbiotto di Toast Project Space a Firenze, che Giuseppe De Mattia ha trasformato momentaneamente in un call center. Lo spazio, ex-portineria situata all’ingresso della razionalista Manifatture Tabacchi, accoglie due postazioni site-specific dotate del necessario per svolgere l’attività lavorativa che, in base a un canovaccio redatto dall’artista, viene […]

Giuseppe De Mattia – Lavoretto, 2021 – Toast Project Space, Firenze – Ph Leonardo Morfini, ADRYA

Tutto accade nell’arco di una giornata lavorativa nel gabbiotto di Toast Project Space a Firenze, che Giuseppe De Mattia ha trasformato momentaneamente in un call center. Lo spazio, ex-portineria situata all’ingresso della razionalista Manifatture Tabacchi, accoglie due postazioni site-specific dotate del necessario per svolgere l’attività lavorativa che, in base a un canovaccio redatto dall’artista, viene assolta dai centralinisti (realmente retribuiti da De Mattia secondo la paga sindacale dei lavoratori dello spettacolo), che propongo a musei e istituzioni italiane e straniere, l’atto finale dell’intera azione performativa. Con lavoretto, progetto attualmente in divenire, Giuseppe De Mattia propone una riflessione satirica e in chiave sociale sulla condizione contemporanea dell’artista mid- career. In occasione dell’inaugurazione abbiamo sentito l’artista pugliese.

Giuseppe Amedeo Arnesano: Come nasce Lavoretto e quali sono state le suggestioni con le quali hai formalizzato il progetto?

Giuseppe De Mattia: Il concetto di Lavoretto nasce tra il 2016 e il 2017, anni in cui avevo cominciato a raccogliere vecchie riviste d’arte, fotocopiato le pagina in cui comparivano pubblicità di gallerie non più in attività al fine di creare una lista di numeri da chiamare in maniera seriale e ripetitiva. Registravo le risposte di persone a cui era stato ri-assegnato il numero telefonico della cessata attività, la maggior parte delle quali ignorava completamente di aver ereditato il numero di una ex galleria. L’obiettivo era di riflettere con una facile ironia, sulla temporalità di certe attività commerciali, anche di gallerie che avevano avuto una parabola felice fino al momento della chiusura. Non ho mai concluso quel lavoro a cui non avevo dato nemmeno un titolo.
L’anno scorso, Stefano Giuri, artista e curatore di Toast Project Space, mi ha chiesto di pensare ad un progetto per il suo spazio a Firenze, nella bellissima struttura dell’Ex-Manifattura Tabacchi. Mi ha incuriosito la misura della portineria e il fatto che qualcuno potesse e possa ancora lavorare in spazi così piccoli. Ho ricordato i “gabbiotti” che ho frequentato nella mia vita: la portineria di “Vituccio”, giardiniere e guardiano del posto in cui sono nato, quello dell’officina ferroviaria in cui lavorava mio padre, decorato come una casa in miniatura, quello della stazione di Torre a Mare (Bari), con le stufette a resistenza elettrica per riscaldare l’ambiente e le fotografie di vecchi treni ondulate dall’umidità.
Volevo mettere insieme alcuni aspetti attorno al mestiere dell’artista, tematica che mi ossessiona da sempre. In questo caso rifletto sul luogo di lavoro, ridotto, arredato con mobili standard, con un mezzo di comunicazione obsoleto per questo mestiere, il telefono.
Mi interessa la distanza temporale di una chiamata, la dinamica dello “scherzo telefonico”, la tensione dell’attesa della risposta (che è immediata e sincera rispetto a quella di un’email), la difficoltà di esprimere e di nascondere emozioni, tensioni, timidezze, inadeguatezze e arroganza di chi chiama e di chi risponde.

Giuseppe De Mattia – Lavoretto, 2021 – Toast Project Space, Firenze – Ph Leonardo Morfini, ADRYA

GAA: Come si è svolto il primo atto in occasione dell’inaugurazione da Toast e per quanto tempo è andata avanti?

GDM: Il primo è stato caratterizzato da una performance privata in cui due operatori call-center, lontani da ogni logica dell’arte, assoldati e pagati con il minimo sindacale per i lavoratori dell’arte (circa 70€ al giorno), hanno chiamato tutti i numeri di un elenco telefonico di musei e istituzioni di tutto il mondo, che avevo costruito nei giorni precedenti. Ho fornito loro di due telefoni (solo voce, no internet), due pennarelli e una matita bicolore a testa. Nel gabbiotto, loro ufficio per una mattinata, c’era una stufetta, due sedie e un tavolo unico con due postazioni di lavoro. Le due postazioni avevano lo spazio minimo necessario per effettuare delle telefonate, prendere qualche appunto e appoggiare un gomito e una bottiglietta d’acqua, poco più. Ho realizzato questo tavolo pensando ad un nuovo modulo da ufficio, l’ho chiamato “idillio”, ironizzando sul rapporto con la sua funzione tutt’altro che idilliaca.
I due attori/lavoratori componevano il numero, attendevano e, alla risposta, partivano con un mini copione che gli avevo preparato io, in italiano e inglese che più o meno diceva questo:

<<Buongiorno / Buonasera chiamo per conto dell’artista Giuseppe De Mattia, quarantunenne, nato nel Sud Italia e discendente da una famiglia di operai e contadini.
Vorrei proporre i risultati di questa telefonata performativa, che verrà registrata, per una mostra nella sua galleria / museo.
Per favore, potrei parlare con il curatore?>>

Durante lo svolgimento del loro lavoro e rispettando degli accordi preliminari sul diritto di sfruttamento dell’immagine, io documentavo fotograficamente il turno e una videocamera fissa li riprendeva. Allo stesso tempo, tutte le telefonate venivano registrate, senza censure.
La sera dell’inaugurazione e fino a fine gennaio, al pubblico viene presentato l’ufficio usato dai due, vuoto, in ordine, sulla parete frontale sono apparsi due loro ritratti. All’esterno della portineria c’è un altoparlante che emette in loop un montaggio audio delle telefonate. Ho presentato il rito del rifiuto o comunque dell’incomunicabilità spontanea con un’istituzione dell’arte, piccola o grande, artist run space o MOMA.
Il primo atto è stato prodotto grazie al supporto economico di Manifattura Tabacchi e Regione Toscana nell’ambito di Toscanaicontemporanea 21.

GAA: Quante e quali sono le fasi e gli strumenti dell’azione performativa? Raccontaci come possiamo seguire il sequel di lavoretto nei prossimi mesi.

GDM: In tutto saranno tre, come in una commedia tragicomica. Nella seconda, sempre in forma privata, due nuove lavoratrici/lavoratori (questa volta non estranei al mondo dell’arte come i primi due) manderanno una parte della documentazione raccolta durante la prima fase agli indirizzi e-mail che sono stati dati ai primi due dipendenti. Si farà un piano d’azione mirato e che avrà come fine proprio la terza fase, il terzo atto, la conclusione del progetto. Nell’ultima parte sarà presentato tutto il percorso di “Lavoretto”, partendo da un atto sciatto e fatto solo per la paga diaria dei primi due lavoratori, passando per una seconda in forma di “stage gratuito” delle seconde/secondi lavoratrici/lavoratori molto più motivata e destinata ad andare a segno con una mostra istituzionale.
Poi ci sarà un libro, una sorta di manuale del “come non si fa”, come non ci si muove goffamente nel mondo dell’arte. Il librò sarà edito da Aosta Publishing, progetto di Maria Cecilia Cirillo e Stefano Giuri, con un testo critico di Vasco Forconi.

Giuseppe De Mattia – Lavoretto, 2021 – Toast Project Space, Firenze – Ph Leonardo Morfini, ADRYA

GAA: I tuoi lavori sono caratterizzati anche da un’attenzione antropologica e sociale che tendi sempre a documentare con metodo. Qual è lo scopo di questa indagine che va oltre, a mio avviso, l’opera artistica?

GDM: Non mi caricherei il peso di ruoli non miei, non posso ammettere di prestare un’attenzione antropologica e sociale. Vengo da studi di cinema, ormai quindici anni fa, con un forte legame ad un certo cinema documentario, poi sono passato alla fotografia e per un po’ ho tenuto le due cose assieme. Nei primi lavori fotografici, in particolare nel 2009 con il lavoro sull’abbandono di casa di Francesco Arcangeli a Bologna, ho aggiunto la ripresa audio al lavoro fotografico e a quello di ricerca d’archivio e oggi mi rendo conto che continuo ad aggiungere mezzi a quelli iniziali.
Nel mio lavoro ho sempre preferito essere un catalizzatore, un mezzo di lettura di ciò che riesco a comprendere più per una sensibilità innata che per una preparazione vera e propria. Penso di essere un medium per tradurre alcuni meccanismi e cerco di portarli ad un linguaggio più popolare possibile, tanto da renderlo volutamente quasi banale. Cerco di avvalermi di una eteronomia che mi permette di essere più voci all’interno di una stessa commedia. Cerco di unire un fatto così com’è ad uno strato di ironia e insieme di tragedia. Sono molto attratto dalla mediazione che Eduardo De Filippo, Pier Pasolini, Glauber Rocha o Mark Dion o David Hammons fanno della realtà. Mi interessano gli artisti che compiono una trasposizione della realtà in un’opera. Non so se il mio lavoro vada oltre l’opera artistica, so solo che è l’unico modo che conosco per fare le mie “opere”.
Ignoro se le mie opere vadano verso l’Estetica, ma sicuramente vanno bene per costituire la mia estetica.

GAA: La pandemia ha messo sempre più in crisi il modo dei lavoratori dell’arte, secondo te questo sistema dell’arte riuscirà prima o poi a comprendere e risanare la sperequazione generalizzata, o l’attuale situazione che stiamo vivendo continuerà ad aumentare le differenze e i privilegi?

GDM: Non penso proprio che si riuscirà a risanare. Chi ci sta provando oggi è impegnato su tanti fronti importantissimi, ma non vitali a mio giudizio. Ad oggi, in Italia, manca qualsiasi forma sindacale, qualsiasi maniera di scaglionare le tasse più giustamente in base ai guadagni. Il mio mestiere è ancora (e lo sarà per molto) un lavoro per benestanti e per ostinati. Soffrono entrambi: i primi perché se lo sentono dire continuamente, i secondi perché sbattono continuamente la testa contro un muro. L’unico parametro rispettato è quello del successo mediatico ed economico, la ricerca effettiva è ripagata quasi post-mortem. O si accetta per com’è o meglio reprimere ogni esigenza. Ma se l’esigenza in questione è un’ossessione, un bisogno è la fine! Trovare una soluzione per mantenerla è molto simile alla dinamica del tossico: fare qualsiasi cosa pur di alimentare e soddisfare questa necessità.

Giuseppe De Mattia – Lavoretto, 2021 – Toast Project Space, Firenze – Ph Leonardo Morfini, ADRYA
Giuseppe De Mattia – Lavoretto, 2021 – Toast Project Space, Firenze – Ph Leonardo Morfini, ADRYA