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Giulio Squillacciotti e gli “amici” dell’Europa

Riapre giovedì 21 maggio lo Spazio Cordis di Verona, uno spazio espositivo no profit davvero atipico che dal 2018 è dedicato all’arte contemporanea: fondato grazie alla volontà di Alberto Geremia, collezionista d’arte che decide di mettere a disposizione l’ambulatorio dove lavorava un tempo come medico, è una realtà dedicata soprattutto a progetti monografici per la […]

Riapre giovedì 21 maggio lo Spazio Cordis di Verona, uno spazio espositivo no profit davvero atipico che dal 2018 è dedicato all’arte contemporanea: fondato grazie alla volontà di Alberto Geremia, collezionista d’arte che decide di mettere a disposizione l’ambulatorio dove lavorava un tempo come medico, è una realtà dedicata soprattutto a progetti monografici per la promozione e il supporto degli artisti contemporanei. Lo spazio, inoltre, si trova in una zona residenziale e non centrale della città, per questo interessante, quasi a voler ritrovare quell’atmosfera “di quartiere” che lo studio medico aveva in precedenza. I fondatori dello spazio con Geremia, sono la moglie poetessa e medico Paola Parolin, il gallerista Simone Frittelli e Andrea Mion. La direzione artistica è invece della curatrice e storica dell’arte Jessica Bianchera.

La mostra EURAMIS di Giulio Squillacciotti inaugurata allo Spazio Cordis da febbraio 2020 ma chiusa a causa dell’emergenza sanitaria, trova adesso un nuovo senso e significato proprio per questo particolare momento storico che stiamo vivendo: è infatti una ricerca complessa e lunga che parla di Europa e della sua deriva. L’artista, regista e ricercatore romano che oggi vive tra Maastricht e Milano, vincitore di ARTE VISIONE 2018 e nel 2019 dell’Italian Council e del Talent Prize, mette in scena un progetto complesso di carattere sociale e politico, tra documento e fiction, tra arte visiva e cinema. Un discorso che insinua la disgregazione di un’utopia europea oscillando tra registro personale e pubblico.

«EURAMIS» spiega la curatrice «raccoglie una serie eterogenea di materiali prodotti in relazione a un elemento specifico – la figura dell’interprete – di un ampio progetto di ricerca e studio nato a partire dall’installazione Friends, Indeed, (trad. italiana Amici, dopotutto) realizzata durante la residenza di Giulio alla Van Eyck Academie di Maastricht e soggetto della trasposizione cinematografica What has left since we left, un film attualmente in produzione grazie a Careof con il supporto di Italian Council.»

Translation Booth plexiglass, filamento di plastica SUNLU PLA plus in stampa 3D, balza, tessuto 11 x 11 x 20 cm edizione di tre 2020

Il punto di partenza di Squillacciotti è l’indagine storica con la ricostruzione di una serie di eventi-segnale che dalla fondazione dell’Unione Europea fino a oggi ha costituito il motivo della disgregazione dell’Europa, fino a immaginare uno scenario futuro: siamo a Maastricht, nei Paesi Bassi, e ci troviamo nel 2032. L’Unione è caduta e restano solamente tre stati che avevano firmato nel 1992 il famoso trattato (significativamente tre come i tre Pilastri che regolavano le politiche dell’Unione Europea fino al trattato di Lisbona del 2009): Belgio, Germania e Olanda, che continuano a riunirsi nella stessa sala dello stesso palazzo per parlare e discutere, cercando di mantenere in vita il fantasma di un’Europa che non c’è più. Le voci sovrapposte di questi tre politici si odono volutamente confuse nell’opera audio che introduce la mostra e si diffonde in tutti gli ambienti di Spazio Cordis: questi “eur-amis”, come dice il titolo, cioè questi “amici dell’Europa” si trovano a voler imporre la propria voce, la propria lingua, sull’altro ma generano solo caos e incomprensione. C’è però una traduttrice che media e interpreta ciò che dicono: l’interprete, che inizialmente era un personaggio marginale, diventa la protagonista della mostra e la voce del narratore interno, incarnando il punto di vista dell’artista ed entrando nel discorso politico.

Dice Squillacciotti: «Un’interprete, dalla sua cabina di traduzione ‒ filtrando in maniera non più neutrale ciò che viene detto nella sala ‒ li aiuta a trattare e ad affrontare frustrazione e senso di perdita. Attraverso una serie di similitudini che mettono in relazione i grandi problemi dell’Europa con i rapporti di parentela e le dinamiche familiari.»

I pensieri dell’interprete e questa metafora dell’Europa intesa come una grande famiglia litigiosa e confusionaria in cui si discute e si ricordano i parenti scomparsi durante ogni ripetitivo pranzo di Natale, sono visualizzati dallo spettatore nell’opera video che si trova nella sala d’aspetto dello spazio: un monitor su cui scorre il discorso-stream of consciousness dell’interprete, come fossero titoli di coda di un film, il monito di una sorta di psicologa familiare che invita i politici a mediare, meditare e ascoltarsi fino a che, piano piano, le parole si svuotano di senso, addirittura rovesciandosi, dando così una sensazione di perdita e di abbandono. Il testo è stato tradotto in italiano per il video in mostra ma, mi spiega la curatrice, la versione originale in inglese è stampata in forma di tappeto nell’opera che è esposta nella seconda sala, tutta dedicata alla figura della traduttrice: Interpreter’s Feelings, tappeto 
stampa tre livelli su tessuto, 130 x 200 cm, edizione di tre, 2020.

Tre Politici in conferenza light boxes legno, plexiglass, foto su carta trasparente, led 45 x 75 x 16 cm edizione di tre 2019
Strumenti dell’interprete: Cuffie, Microfono, Taccuino ceramica 24 x 21 x 10 cm cuffie; 32 x 31 x 14 cm microfono; 38 x 28 x 6 cm taccuino tre pezzi – edizione di tre ognuno 2020

Il tema del linguaggio e della traduzione è infatti un cardine importante dell’impalcatura semantica del progetto: lo stesso titolo EURAMIS oltre a connettersi all’idea di amicizia nell’Europa deriva dal nome del Translator’s Workbench utilizzato dai servizi di traduzione del Parlamento europeo. Si tratta di un software usato dagli interpreti dell’Unione che riduce il rischio di errore umano e accelera la produzione delle traduzioni. L’interprete, che nel film ha un ruolo secondario, nella mostra di Spazio Cordis si estranea dal suo lavoro imparziale e neutro per intervenire nella conversazione come se fosse, lo dicevamo in precedenza e lo spiega anche la curatrice stessa, “una consulente familiare”. La mostra ruota attorno ai materiali che parlano di lei e del suo mestiere, con uno scarto immaginifico sulla realtà. Tradurre e interpretare sono verbi associati all’esattezza e alla comprensione ma nelle narrazioni di Giulio sono dei tentativi fallimentari. Questo fallimento è significato dalle parole dell’interprete ma anche dalla tipologia umana che essa incarna: non è un caso che la figura scelta per interpretarla nelle fotografie esposte sia una tipica donna inglese dal capello chiaro e dall’occhio impenetrabile.

La Gran Bretagna post Brexit può essere la paradossale traduttrice delle istanze europee? Non credo. Le fotografie, inoltre, in edizione di cinque, sono associate a un oggetto feticcio: una piccolissima cabina di traduzione realizzata con la tecnica della stampa 3D che è una sorta di simulacro della presenza della traduttrice. L’illuminazione scelta per le opere è appositamente un po’ kitsch perché vuole mimare l’idea di un set cinematografico.

Il piano interrato ritorna a focalizzarsi sui tre politici in conferenza e propone tre light box con i loro volti in primo piano: tutti e tre rappresentano delle tipologie umane, dalla donna tedesca pratica senza fronzoli e di polso, al politico belga che sembra un serio professore del liceo. Realizzata dalla Van Eyke durante la residenza di Giulio, quest’opera è il primo lavoro fatto in relazione a questo complesso immaginario sull’Europa ed è stato premiato al Talent Prize 2019. A corredo dei box, c’è anche una serigrafia delle tre firme dei politici che decidono infine di siglare la fine dell’Europa (si tratta di un’edizione di 35 serigrafie su tre colori disponibili): il colore scelto per la mostra è ovviamente il blu europeo. Torna così il concetto di feticcio o di simulacro: l’opera è documento della presenza dei tre e sottolinea come nella società contemporanea tutto deve diventare memoria e tutto è testimonianza storica.

Ricompare infine l’interprete, nell’ultima saletta, con i suoi strumenti del mestiere. Squillacciotti, grazie a un artigiano della ceramica di Roma, realizza i tre oggetti simbolo del lavoro della traduzione simultanea: le cuffie, il microfono e il taccuino con una penna. Di nuovo oggetti banali che sono resi scultorei, imperituri e trasformati in oggetti d’arte attraverso l’artigianalità del processo di produzione.

Giulio Squillacciotti EURAMIS
A cura di Jessica Bianchera
Spazio Cordis, Verona
aperta dal 21 maggio fino al 26 luglio

Strumenti dell’interprete: Cuffie, Microfono, Taccuino ceramica 24 x 21 x 10 cm cuffie; 32 x 31 x 14 cm microfono; 38 x 28 x 6 cm taccuino tre pezzi – edizione di tre ognuno 2020
Installation view