Il progetto ha avuto una lunga gestazione, infatti l’idea ha avuto origine qualche anno fa, nel febbraio 2021, in pieno periodo pandemico, e credo non sia stato un caso.
Io ero confinata a Milano e Thomas Berra a Helsinki. Ad unire le nostre idee, di vagabondaggio e evasione, è stato il concetto di Kinopolitica, che all’epoca avevo incontrato grazie allo studio di Thomas Nail, filosofo e politologo statunitense, autore del neologismo.
Nail rilegge l’intera storia dell’umanità come storia di flussi e di migrazioni, per formulare una nuova prospettiva, quella di una cosmogonia del movimento nella quale tutte le “cose”, dalle particelle più elementari sino alle forme più complesse della vita umana e non umana, si trovano all’interno di un flusso inarrestabile in grado di scardinare definitivamente ogni concezione di stasi e immobilità associata alla Terra e ai suoi abitanti.
Ma i tempi non erano ancora maturi e abbiamo aspettato tre anni per trovare le condizioni ideali per realizzarlo.
Che cos’è e cosa è stato Il giardino universale?
È tuttora una mostra, allestita presso gli spazi della galleria del MADE Program, ma è stata una residenza d’artista e un intenso workshop realizzato insieme a 17 studenttƏ dell’Accademia siracusana: Artem Khotulev, Ambra Nasciben, Alessandra Natale, Antonino Santacroce, Chris Akintola, Damiano Musco, Ekaterina Selezneva, Ester Greckjjko, Federico Morello, Greta Pirruccio, Iacopo Castorina, Leonardo Scatà, Luz Alcocer, Miriam Micieli, Michela Valentina Vinci, Simona Di Giammarino, Seby Roccaro.
Dopo una settimana dal primo incontro a porte aperte tra Thomas Berra e lƏ studentƏ dell’Accademia (momento in cui si è riflettuto e aperto un dibattito sulla sua pratica artistica) – siamo partitƏ tuttƏ, per le strade e i borghi di Siracusa, affrontando una sorta di passeggiata situazionista.
Abbiamo così attivato il gioco della psicogeografia, un metodo efficace per la decostruzione di una particolare zona della città.
La “deriva” ci ha portato in ambienti meno battuti dalle orde di turisti che affollano il territorio; infatti, come scrive Guy Debord in Théorie de la dérive:
«Per fare una deriva, andate in giro a piedi senza meta od orario. Scegliete man mano il percorso non in base a ciò che sapete, ma in base a ciò che vedete intorno. Dovete essere straniati e guardare ogni cosa come se fosse la prima volta. Un modo per agevolarlo è camminare con passo cadenzato e sguardo leggermente inclinato verso l’alto, in modo da portare al centro del campo visivo l’architettura e lasciare il piano stradale al margine inferiore della vista. Dovete percepire lo spazio come un insieme unitario e lasciarvi attrarre dai particolari».
Ciò che ci ha attratto è stata la più comune delle vegetazioni: ortiche, erbacce nascoste e soffocate dagli ormai comuni e infestanti cumuli di spazzatura che ricoprono l’isola.
Raccolti questi umili reperti verdi, sono stati disposti in un caotico erbario, senza classificazione, senza gerarchia.
La passeggiata, condotta al ritmo delle letture tratte da Elogio delle Vagabonde di Clémant, si è conclusa davanti all’altare del Santuario di Santa Lucia al Sepolcro di Siracusa, che custodisce Il Seppellimento di santa Lucia, un commovente dipinto di Caravaggio, artista che del vagabondare ne ha fatto la sua identità.
Nei giorni seguenti il workshop è consistito nel costruire e dipingere insieme le tende, cuore pulsante dell’intero progetto.
A partire da un ristretto numero di materiali: scampoli, tovaglie da tavola, lenzuola, erba della Pampas, colla a caldo e scotch, abbiamo dato vita ad un piccolo villaggio. Anche l’uso dei materiali è stato oggetto di dibattito.
L’erba della Pampas (utilizzata per le strutture portanti delle tende) ci ha ricordato come i nostri paesaggi non siano altro che la stratificazione di contaminazioni, e ciò che sembra identitario di un luogo, autentico, in effetti non lo è.
Infatti, questa, assimilata ormai nel territorio siciliano, proviene in effetti dal Sud America meridionale, dalla regione della Pampa da cui prende il suo nome.
Un altro colpo di pollice alle idee di identità paesaggistica.
I confini, infatti, non sono solo fisici ma soprattutto ideologici e simbolici e riflettono l’immagine dell’identità e realtà locale, regionale o globale, politica, culturale e socio-economica.
Le discussioni si sono poi spostate sull’uso dello scotch:
«Può dirsi ecologista un progetto che prevede l’uso della plastica? ».
Beh, sì e no.
Per prima cosa è importante riflettere sulle quantità utilizzate.
Una volta smontata, l’intera mostra, prevede un cumulo di rifiuti pari ad un sacchetto di plastica, poca cosa, e inoltre ci ha riportato nel nostro tempo, e di come, parafrasando le parole diDonna Haraway, sia fondamentale fare i conti e sopravvivere su di un pianeta irrimediabilmente infetto.
Non possiamo prescindere dalla nostra realtà, non possiamo permetterci di propagandare un primitivismo e folklore inattuale.
Queste e altre, sono state le riflessioni che ci hanno portato alla creazione del Il giardino universale, che ha preso forma attraverso la creazione collettiva di strutture simili a tende potenzialmente trasportabili, ponendosi come obiettivo di far riflettere sull’idea positiva di nomadismo, di migrazione, di contaminazione e di movimento.
L’idea di giardino che abbiamo offerto è simile a quella delle culture nomadi, non è infatti confinata ad un recinto, ma coincide con il mondo intero.
Se l’etimologia del termine giardino,Garten, rimanda ad un’idea di luogo confinato e recintato, cosa succederebbe se tale giardino fosse trasportabile e pensato attraverso l’idea del movimento?
Il giardino è stato sempre legato alla visione utopica che l’uomo ha della Terra e le tende sono, in questo progetto, diorama della biosfera che contrappone al mito della staticità l’etica del flusso, arricchendo la letteratura artistica e ambientalista con una nuova rappresentazione, quella di una comune convivenza sostenibile, quella di un giardino planetario nomade costruito intorno all’uomo.
La politica del movimento – la Kinopolitica – è stata offerta come una categoria artistica, estetica e filosofica utile per comprendere e reinterpretare la contemporaneità.
L’immagine del Il giardino universale, simbolo del nostro pianeta, può infatti, aiutarci ad immaginare una gestione alternativa del mondo e, come suggerisce Clemant in Elogio delle vagabonde è: « Energia di fatto sprecata. Ma che lascia tracce in forma di testi e convenzioni.
Dall’inizio della mia esperienza sul campo, le vagabonde hanno servito la causa del “Giardino in movimento”. Il movimento, come principio attivo del giardinaggio, ma sul lungo periodo anche come estetica, non avrebbe mai perturbato le regole dell’ambiente senza l’energia delle erbe vagabonde.
Senza la loro vitalità, la loro temerarietà, il loro fulgore e la loro sparizione, il loro potere di trasformare lo spazio e di volgerlo a proprio favore nell’arco di una stagione.
Devo riconoscergli il fatto di non essere prevedibili, non percorrono strade già battute. Il carattere capriccioso del loro comportamento rivela l’inanità dei progetti immutabili; più in generale evidenzia il fatto biologico secondo cui il quotidiano si svela a sorpresa. […].
Oggi le vagabonde danno forma al Giardino planetario.
Non gli conferiscono alcun diritto particolare, ma sono semplicemente di conforto alla sua esistenza. […].
Bisogna metterselo bene in testa, il futuro non si trova in alcun luogo preciso. Sta nel mezzo. Tra i punti apparentemente fissi che delimitano il nostro cammino.
Il paesaggio in costruzione accetterà sempre più vagabonde che esseri radicati a una dimora.
Esseri mobili, a nostra immagine, le vagabonde inventano soluzioni di esistenza.
Loro ci accompagnano. Accompagniamole».
In mostra sono inoltre esposti anche i lavori individuali realizzati durante questa esperienza: una selezione di fotografie realizzate da Leonardo Scatà e Artem Khotulev, un progetto grafico di Federico Morello e tre prototipi di tende realizzati da: Ambra Nasciben, Antonino Santacroce, Ester Greco e Iacopo Castorina (studente di moda), che ringrazio per il supporto indispensabile dato per la realizzazione dei rivestimenti di tutte le tende presenti in mostra.
Il giardino universale, Thomas Berra
a cura di Simona Squadrito & stundentə
MADE Program, Siracusa (SR)