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Future Interviews’Archive | Valentina Bonomo

Nel tempo Alessandra e Valentina Bonomo hanno ereditato e portato avanti con innovazione e continua ricerca personale gli insegnamenti di una vita, collaborando insieme fino al 2002 quando entrambe decisero di aprire due gallerie distinte. Mentre Alessandra apriva la sua sede a Roma in via del Gesù, Valentina Bonomo invece presentava il nuovo spazio in […]

Julian Opie – Installation view alla Galleria Valentina Bonomo
Mimmo Paladino all’Ara Pacis di Roma

Nel tempo Alessandra e Valentina Bonomo hanno ereditato e portato avanti con innovazione e continua ricerca personale gli insegnamenti di una vita, collaborando insieme fino al 2002 quando entrambe decisero di aprire due gallerie distinte. Mentre Alessandra apriva la sua sede a Roma in via del Gesù, Valentina Bonomo invece presentava il nuovo spazio in via del Portico di Ottavia, nel quartiere ebraico, con una personale di Mimmo Paladino, alla quale seguirono tra le altre quelle dedicate a Liliana Moro, Enzo Cucchi, Brian McKee, Mimmo Paladino, Sol LeWitt, Jannis Kounellis, Nunzio, Julian Opie, Franz West e Brian Eno. 

Quella della galleria Bonomo è una storia affascinante e coraggiosa, ma soprattutto è la storia di una famiglia del Sud che nel corso del tempo ha acquisito una rilevanza internazionale nel sistema dell’arte contemporanea. Da Bari a Roma passando anche per Spoleto, New York e Amsterdam così, le vicende artistiche e generazionali della famiglia Bonomo coinvolgono fin da giovanissime Alessandra e Valentina, figlie di Marilena e Lorenzo Bonomo, cultori illuminati dell’arte italiana e non solo che dagli anni ’60 in poi contribuirono ad alimentare l’interesse per l’arte concettuale e il minimalismo con artisti come Sol Lewitt, Alighiero Boetti, Giulio Paolini e tanti altri. 

Oggi, la Puglia del contemporaneo sembra aver smarrito in parte la forza creativa che si respirava in quegli anni, soprattutto per quel che riguarda l’ambito istituzionale e museale visto che a livello regionale e provinciale non esiste una rete o un sistema che possa supportare e riconoscere il circuito dell’arte contemporanea con bandi appropriati, residenze e musei, aziende private, fondazioni bancarie e istituti di cultura che sostengono i progetti e acquisiscono le opere degli artisti. Anche questo settore è terra di conquista, satura di un colonialismo culturale che cede sempre più spazio alle iniziative commerciali, alle cordate straniere che guardano alla Puglia come una meta naif per le vacanze o come attrattiva per sponsorizzare il brand del momento, e tutto questo alla faccia di un intero comparto artistico, tradizionale e artigianale che viene sempre più emarginato. Questa situazione nasce dall’assenza di una visione politica e di un’inappropriata classe dirigente che in materia di arte contemporanea è sempre più affascinata dalle mostre blockbuster, dagli eventi esclusivi e dalle sfilate di moda. 

In Puglia chi fa la differenza creando attenzione e facendo rete anche al di fuori del territorio è la Puglia degli artisti e dei collettivi, degli spazi indipendenti, dei curatori e dei critici militanti che credono in tutto e per tutto all’idea di arte come un’esigenza di ricerca partecipata e plurale. 

La sua galleria ha un’eredità storica e di famiglia fondata a Bari nel 1971. Cosa ha rappresentato la galleria di Marilena e il brillante collezionismo di Lorenzo Bonomo per la Puglia e il Sud Italia in quegli anni di grande fermento? 

Marilena e Lorenzo Bonomo non amavano definirsi collezionisti, ma piuttosto amatori d’arte. La singolarità della loro impostazione internazionale era evidente sia nelle opere raccolte che, in seguito, nell’attività della galleria. Marilena e Lorenzo Bonomo sono stati sensibili, già dagli anni ’60, all’inizio di una nuova cultura e all’interesse per un’arte allora nuova, quella concettuale/minimalista che superava un periodo completamente diverso, cioè quello dell’espressionismo astratto e della pop-art. La presenza di Lorenzo e Marilena Bonomo a Bari ha inserito la città in un circuito internazionale dell’arte contemporanea. Molti tra gli artisti più interessanti degli anni ’70 non potevano rinunciare a visitare i due collezionisti passando per la Puglia. Da qui la famosa domanda “…but where is Bari?” che veniva posta dagli artisti americani ai Bonomo in seguito al loro invito, poi diventata una pubblicità della galleria sulla rivista d’arte “Avalanche” e persino il titolo del libro dei 40 anni di attività della galleria edito da Allemandi. Nel 1971 Marilena apre la sua galleria in Via Niccolò dell’Arca con un’attività che attirerà artisti e appassionati d’arte da tutto il mondo.

Quali erano i rapporti con le altre realtà italiane come per esempio quella di Lucio Amelio a Napoli?

Lucio Amelio e Franco Toselli sono stati i galleristi che più hanno influenzato l’attività della galleria Marilena Bonomo di Bari. Impossibile non essere coinvolti dalla personalità vulcanica di Lucio Amelio che, con la sua raffinata cultura e il suo geniale intuito, aveva conquistato la simpatia e la fiducia di Lorenzo Bonomo. Le visite tra Bari e Napoli erano frequenti e i rapporti molto stretti. Ci sono state iniziative comuni come “la Rassegna della nuova creatività del Mezzogiorno”: uno scambio culturale tra le due città di artisti emergenti che includeva non solo mostre d’arte contemporanea, ma anche il teatro (con le due compagnie Falso Movimento e Teatro Studio di Caserta, all’epoca ai loro esordi) e la musica. Tra le visite più significative ricordo a Napoli l’inaugurazione della mostra “Beuys by Warhol” nel 1980 con un’incredibile affluenza di pubblico e la famosa festa organizzata in onore dei due grandi artisti. Lucio Amelio accompagnò Beuys in Puglia che voleva ritornare a Foggia, luogo che l’artista frequentò durante la Seconda Guerra Mondiale all’epoca in cui era un giovane aviatore della Luftwaffe, e a cui dedicò in seguito la famosa opera dal titolo “La gente di Foggia è davvero meravigliosa”. In quell’occasione l’artista visitò anche Castel del Monte e volentieri, con la collaborazione di Lucio Amelio e Marilena Bonomo, avrebbe realizzato una mostra che purtroppo non ebbe mai luogo.

Julian Opie per il progetto Artist Diary

Dal 1975 al 1990 collabora attivamente con la galleria di sua madre. Quali sono stati gli incontri, le esperienze e i ricordi più importanti avuti con gli artisti del panorama nazionale e internazionale?

Gli incontri con gli artisti li ho avuti da sempre e le esperienze sono tantissime. Proprio grazie a questi rapporti per me scegliere di continuare ad occuparmi di arte è stato naturale. Fare una mostra a Bari era per gli artisti un’esperienza speciale. Un artista veniva accompagnato dal suo arrivo alla partenza, dai momenti di concentrazione per la costruzione della mostra a quelli più piacevoli nella casa di famiglia. Molti di loro, come Sol Lewitt, Alighiero Boetti, Giulio Paolini, sono diventate figure centrali nella nostra famiglia. In particolare Alighiero Boetti mi ha spinto, con la sua determinazione, a uscire dalla sfera della galleria materna e a spingermi a fare esperienze all’estero. Quello fu un distacco per me decisivo, che mi ha portato dopo varie esperienze all’estero ad aprire la mia galleria a Roma. Pat Steir, invece, arrivata a New York, ha fatto sì che affrontassi lì e in Olanda le mie esperienze lavorative. Infatti ad Amsterdam ho diretto per due anni la Micheal Klein che aveva fra gli artisti rappresentati Marina Abramovic con cui è nato un grande rapporto di amicizia. Anche i critici come Germano Celant e soprattutto Achille Bonito Oliva sono state presenze fondamentali per diverse esperienze e progetti. Celant ha realizzato a Bari un libro ormai storico “Off Media”, molto all’avanguardia all’epoca, sui video d’artista. Con Achille Bonito Oliva, che aveva presentato la mostra di Ian Wilson alla galleria Marilena Bonomo, è nato poi un rapporto di fiducia che si è concretizzato, in seguito, con le mie collaborazioni alle sue mostre museali come tra le altre “Minimalia” (Palazzo Querini Dubois, Venezia / Palazzo delle Esposizioni, Roma / MoMA Ps1, New York), “La Transavanguardia italiana” (Museo de Arte Moderno, Città del Messico / PROA Fondacion, Buenos Aires / Museo de Arte Contemporaneo, Santiago del Cile), “Tutte le strade portano a Roma” (Palazzo delle Esposizioni, Roma).

Alighiero Boetti, Sol LeWitt, Nunzio, David Tremlett e Tullio De Gennaro sono solo i nomi di alcuni degli artisti che ha avuto modo di conoscere agli inizi delle loro carriere. A quell’epoca che consapevolezza c’era di quella giovane generazione?

In una città come Bari era molto difficile capire quanto il pubblico fosse coinvolto o in grado di apprezzare il ruolo di questi artisti che poi sono diventati dei maestri. Le mostre erano molto rigorose e quel periodo in particolare è stato tra i più puri ed ermetici della storia dell’arte del ‘900.
Ci sono state alcune persone che hanno seguito l’attività della galleria sin dall’inizio. In particolare la galleria era diventata un punto di riferimento. L’interesse veniva soprattutto dall’estero e da collezionisti raffinati come Giuseppe Panza di Biumo. Questi artisti venivano regolarmente e con grande entusiasmo a Bari, dove hanno realizzato ripetute mostre. Grazie allo spirito pionieristico di Marilena prediligevano quella galleria per sperimentare opere nuove che poi avrebbero sviluppato in altri luoghi. Ad esempio negli anni sono state tante le mostre di Sol Lewitt a Bari, dove ha realizzato i suoi wall-drawings. In quelle occasioni gli assistenti erano i giovani artisti baresi ed io stessa ho partecipato più volte all’esecuzione dei suoi progetti. In questo modo la preparazione della mostra diventava un cantiere che coinvolgeva la città.

Rispetto agli artisti italiani del Poverismo, Minimalismo e della Transavanguardia, perché oggi si parla di crisi dell’arte italiana

La crisi nell’arte italiana purtroppo è un argomento costante. Nonostante si distinguano per la qualità del loro lavoro, gli artisti italiani che hanno un mercato consolidato anche all’estero sono pochissimi e la più parte ancora sottovalutati. Le ragioni sono tante: sicuramente una da segnalare è l’insufficiente presenza dell’arte italiana nei musei e nelle grandi mostre internazionali, a cominciare dalla “Biennale di Venezia”. In realtà il sistema dell’arte italiano non è così strutturato come quello internazionale. Purtroppo i giovani artisti non sono incoraggiati come in altri paesi europei dalle istituzioni. Ritengo un’esperienza indispensabile per loro avere la possibilità di andare all’estero con residenze e/o borse di studio. In Italia i musei stessi non hanno fondi sufficienti per acquisire le opere o per fare mostre retrospettive di artisti italiani già affermati che meritano maggiore attenzione e visibilità. Penso, per esempio, alla mostra di Damien Hirst attualmente in corso alla Galleria Borghese, non nascondo che mi piacerebbe molto che anche un artista italiano abbia accesso ad un luogo simile. Fortunatamente in Italia i privati continuano a sostenere con il loro interesse l’arte contemporanea in diversi modi: sia attraverso il collezionismo che l’organizzazione di mostre, ecc.

Valentina Bonomo e Miltos Manetas_photo credit Gino Gentile

Dopo l’esperienza con la sorella Alessandra, dal 2002, ha aperto la sua galleria al Ghetto, vicino il Portico d’Ottavia a Roma. In tanti anni di attività come è cambiata l’arte e chi sono oggi gli artisti emergenti sui quali investire?

Sono quasi vent’anni di attività della mia galleria al Portico d’Ottavia, un luogo speciale sia per l’unicità della sua architettura che per il quartiere che la circonda. Mentre all’inizio la mia era l’unica galleria della zona, con gli anni si è formato un vero e proprio circuito per cui una visita in questa zona, così importante dal punto di vista storico, viene arricchita dalla presenza dell’arte contemporanea.

Purtroppo ormai la parola investimento è assai strettamente legata all’arte, ma io ritengo che sia necessario, prima di tutto, considerare la qualità degli artisti e l’emozione che il loro lavoro provoca allo spettatore. La scelta delle mostre nella mia galleria parte da questi presupposti che poi, spesso, si sono rivelati interessanti anche dal punto di vista degli investimenti. I giovani che io segnalo sono Rä di Martino (in mostra alla Torre Bonomo, Spoleto), Matteo Montani, Hilario Isola e Caterina Silva. Fra i giovanissimi considero interessante il lavoro di Pietro Pasolini, artista del quale attualmente ho una mostra al portico d’Ottavia. 

Un tempo vi era più collaborazione e spirito di iniziativa tra artisti e galleristi. Come è cambiato il mestiere del gallerista negli ultimi anni?

Ogni galleria gestisce in modo personale il rapporto con gli artisti. Per quanto mi riguarda la collaborazione con loro è alla base del mio lavoro. Spesso sono stati loro a sollecitarmi a prendere delle iniziative di mostre e nuovi progetti. Mi piace ricordare, per esempio, un progetto a cui sono molto legata: “Opera per l’Ara Pacis” di Mimmo Paladino e Brian Eno al Museo dell’Ara Pacis di Roma, nato dal desiderio di Paladino che riconosceva quel luogo come un’importante fonte di ispirazione, auspicando una continuità di mostre realizzate da artisti contemporanei in dialogo con l’arte classica. Uno scambio possibile esclusivamente a Roma.

Oggi più che mai il nostro lavoro è ad ampio raggio, si dedica a progetti che vanno oltre lo spazio espositivo della galleria e coinvolgono sempre più la realtà digitale e Internet. 

Le politiche regionali pugliesi in materia di arti visive contemporanee, sono quasi del tutto assenti. Perché il nostro territorio non crede in uno sviluppo del sistema e cosa manca per far sì che esso possa crescere?

Purtroppo ho la sensazione che il concetto di arte intesa come investimento pubblico non sia ancora predominante nelle politiche culturali locali. Un museo funzionante con un’attività prestigiosa può cambiare il volto di una città come avvenuto in diversi casi, penso al Guggenheim di Bilbao o la Fondazione Beyeler di Basilea. Nonostante la grande disponibilità di spazi in Puglia non esiste ancora un luogo pubblico dedicato all’arte contemporanea internazionale. Mi auguro che in futuro ci sia una visione più dinamica che associ l’arte al territorio e che possa destinare dei luoghi anche ai giovani artisti per ospitare i loro progetti.

In piena emergenza sanitaria in che modo ha portato avanti l’attività in galleria e con quale programmazione?

Ci siamo dedicati ad un lavoro di ufficio per migliorare la nostra presenza online. Parallelamente abbiamo realizzato dei progetti fruibili soltanto sui social network. Durante il primo lockdown abbiamo realizzato “Artist Diary”, una raccolta di testimonianze di vari artisti (della galleria e non) che hanno tenuto ad offrire il loro contributo in quel momento di isolamento. Le risposte sono state tante ed immediate. Un’agenda, con pubblicazioni quotidiane, aperto a tutti con sorprendenti idee tradotte dal linguaggio della tecnologia.  Di recente, invece, abbiamo presentato una mostra virtuale di Mimmo Paladino che raccoglie le sue nuove opere pittoriche. Nonostante le difficoltà, date dalla chiusura degli spazi e dalla mancanza di pubblico, siamo riusciti lo stesso a presentare le nostre proposte e a tener vivo l’interesse per l’arte.

Il periodo di emergenza sanitaria si è tradotto per noi in un momento di riflessione in cui abbiamo sperimentato nuovi modi per essere comunque visibili a livello internazionale, è un mondo in continuo divenire che ha bisogno di tanta dedizione e costante rinnovamento e che senza dubbio rappresenterà una delle strade da percorrere in futuro. 

Video installazione di Ra di Martino alla Torre Bonomo di Spoleto

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