Future Interviews’Archive | Massimo De Carlo

FIA, rubrica dedicata ai maggiori galleristi del panorama dell’arte contemporanea, continua l’indagine tra passato e presente con l’analisi di Massimo De Carlo che non tralascia la politica, il digitale e le nuove generazioni.
29 Marzo 2021
Massimo De Carlo – Photo by Pasquale Abbattista Courtesy MASSIMODECARLO

Quello con Massimo De Carlo è stato un colloquio ampio che ha toccato vari argomenti soprattutto attuali, e dai quali si possono trarre importanti riflessioni e insegnamenti. La storica galleria milanese, fondata nel 1987, è tra le più importanti non solo a livello nazionale, ma anche internazionale e con all’attivo due sedi a Milano, una a Londra, una a Hong Kong, l’altra a Parigi (Pièce Unique) e da ultimo lo spazio virtuale VSpace, inaugurato ad aprile 2020 e visibile sul sito massimodecarlo.com
A un anno di distanza e con un carico di oltre centomila morti solo in Italia, la pandemia ha modificato drasticamente i nostri equilibri, ritmi e tempi di lavoro (almeno, per chi è riuscito a conservarlo).  Gli spazi indipendenti fanno il tutto per tutto per mandare avanti la loro programmazione, mentre gli artisti, i musei e le gallerie sono nel bel mezzo di una evoluzione in continuo divenire, che lascia sempre più spazio alla comunicazione creando, in qualche caso, un vero e proprio corto circuito tra arte contemporanea, contenuti digitali, comunicativi, opere e allestimenti realizzati solo per essere visti su instagram.
A leggere i nomi di alcuni degli artisti che hanno lavorato negli anni con Massimo De Carlo come: Alighiero Boetti, Félix González-Torres, Carsten Höller, Cady Noland, Rudolf Stingel, Steven Parrino e naturalmente Maurizio Cattelan, fa sempre un grande effetto specialmente se guardiamo alle attuali condizioni di un comparto del contemporaneo sempre più in crisi. Il periodo non è dei migliori e lo sappiamo, ma se facciamo riferimento all’audizione del Ministro Franceschini in commissione Cultura alla Camera e al Senato, così come specificato da Massimo Mattioli su ArtsLife, notiamo che: “la parola arte non risuona mai”. Senza l’attenzione e l’azione delle istituzioni il sistema dell’arte corre un rischio molto alto, il digitale non è la soluzione a tutto e in questo modo lo sbaglio più grande sarebbe quello di lasciarci alle spalle un vasto deserto legato a un linguaggio immateriale.

Dal suo primo spazio in via Panfilo Castaldi a Milano sono passati più di trent’anni, dagli inizi a oggi qual è stato il filo conduttore che ha caratterizzato l’ascesa della galleria a livello globale?  

Da un punto di vista di sistema quei tempi sono quasi preistorici rispetto a quello che stiamo vivendo ora. Vero è che quello che la contemporaneità ci offre, ci dà anche la possibilità di ritornare a quei tempi preistorici, visto come vanno oggi le cose. Infatti, e per diverse ragioni, oggi i visitatori in galleria sono praticamente quasi uguali a quelli del 1987. La galleria, non la mia, ma in genere il sistema delle gallerie, ha avuto un forte impatto a partire dalla metà degli anni ’80, e mi pare che si possa dire che quel sistema ha retto fino al 2010-2012. Dal 2012 in poi direi anche che negli ultimi sei, otto anni lo strapotere delle fiere, di certi colossi di sistema, di una parte dell’informazione on line e delle aste ha contribuito ad alterare vistosamente il modo in cui si lavorava in quegli anni. Personalmente terrei presente: l’ascesa dell’arte contemporanea e lo sviluppo di un sistema alternativo di aste e fiere, che determinano probabilmente un ridimensionamento dell’attività di galleria, non di tutte ovviamente, e adesso invece siamo in standby per cercare di capire se il mercato on line riesce a dare delle soddisfazioni e se il collezionismo avrà un ulteriore ricambio.

Il 2020 è stato un anno particolare. La sua galleria ha promosso molte iniziative sul web: conversazioni, interviste, un VSpace ecc. Mi dà un parere sulle iniziative online dedicate all’arte? Penso anche alle fiere che hanno dovuto rivedere i propri programmi riversando in rete le manifestazioni che avrebbero dovuto essere in presenza.

Si, sicuramente vi è un atteggiamento propositivo. Poi c’è da dire che in una galleria in cui il padre padrone- diciamo cosi-  ha sulle spalle trentacinque anni di lavoro ed è affiancato da persone, direttori e professionisti del settore che lavorano in questa galleria, è normale che si formano inevitabilmente anche delle anime di tipo diverso da quelle del fondatore e queste anime devono cercare di convivere all’interno di un sistema che è la galleria, che è il sistema dell’arte. La galleria in questo senso è molto viva direi, proprio perché diamo spazio a varie situazioni che sono alternative o addirittura contrastanti rispetto al mio pensiero, ma alla fine va bene così.

Com’è il rapporto di oggi tra il sistema dell’arte e il digitale?

Il sistema arte in generale è ridondante, ci sono troppi artisti, troppe gallerie e pochi veri collezionisti. Il mondo dell’arte è un mondo aperto e quindi inevitabilmente tanta gente lo frequenta anche in modo spesso inopportuno, oppure nonostante abbiamo delle cose da dire non riescono ad essere decisivi. Il mondo dell’arte per sua natura, che è una natura generosa direi, ci dà sempre di più di quello che ci occorre. Nel momento in cui il mondo dell’arte si esercita attraverso piattaforme, proposte on line, digitalizzazione delle opere è inevitabile che anche lì ci sia qualcosa di ridondante, e per esempio se vuoi evitarlo, il ridondante che sta alla Bovisa, basta non andare alla Bovisa ed è risolto il problema. Mentre invece il ridondante digitale entra direttamente a casa tua e non c’è più niente da fare.

Dunque, cosa è il digitale per lei?

In realtà direi che il digitale non è niente altro quello che l’analogico ha prodotto, solo che l’analogico per essere visto ha bisogno di metropolitane, di viaggi in macchina e di tanta energia che noi in qualche modo evitiamo più o meno consapevolmente. Diverso è se scegliamo di andare o meno alla mostra di un artista a Torino, invece se la mostra a Torino è digitale non c’è verso, entra direttamente nella tua sfera privata, nel tuo computer, diventando una presenza molto ingombrante.

MASSIMODECARLO / LOMBARDIA – Bodywork: Discomfort and Existence Pina Bausch, Jordan Casteel, Shannon Cartier Lucy, Aaron Garber-Maikovska, Sayre Gomez, Johannes Kahrs, Bruce Nauman, Carol Rama, Kathleen Ryan, Kaari Upson 23.02.2021 – 17.04.2021 Photo by Roberto Marossi Courtesy MASSIMODECARLO
MASSIMODECARLO / BELGIOIOSO – Perhaps An Asteroid Hit Brian Rochefort 05.02.2021 Photo by Roberto Marossi Courtesy MASSIMODECARLO

Il suo è sempre stato un approccio d’avanguardia, quando ha realizzato che avrebbe fatto il gallerista e quanto è cambiata questa figura negli ultimi tempi grazie anche al suo contributo? Crede che la sua figura possa essere di “buon esempio” per un giovane gallerista? Cosa consiglierebbe a un emergente?

Intanto il mestiere del giovane gallerista oggi è molto più complicato di come poteva essere trent’anni fa. Consigli personalmente non ne ho, e credo che oggi un giovane gallerista potrebbe dare dei consigli a me, perché con questo proliferare di digitalizzazione, con questo proliferare di interviste, con instagram e tutte queste cose, credo che una persona di una generazione diversa dalla mia abbia la possibilità di affrontare tutti questi strumenti in un modo migliore di quanto possa fare io.

Lei ha Instagram?

Io personalmente non ho Instagram, ma credo che la galleria si difenda piuttosto bene. Anche se non lo uso è una cosa in cui credo, diciamo. Penso che Instagram sarà un veicolo molto, molto importante.

Qual è la sua visione di futuro in materia di digitale?

Credo che il vero segreto del futuro è la perfetta, ove possibile, integrazione tra sistemi digitali da un lato e i sistemi tradizionali dall’altro. Ora è impossibile radicalizzarsi in una formula tutta digitale o tradizionale, credo che quello che funzionerà ad un certo punto, sarà un’integrazione tra il digitale e l’analogico, e per analogico intendo: vere mostre, vere relazioni, veri pensieri concreti da un lato e tutto quello che abbiamo descritto come mondo digitale dall’altro. Penso che, come tutte le cose, al di là della mia sensibilità personale tutto quello che avviene nei meandri della digitalizzazione possa portare con se delle opportunità di tipo positivo, ovviamente c’è un prezzo da pagare e non è escluso che questo prezzo verrà pagato molto e anche in modo molto pesante. Cioè senza parlare di arte, sappiamo bene qual è il prezzo che paghiamo per farci arrivare a casa un libro, o per andare a prendere un’informazione sul web, c’è un prezzo da pagare che è quello dell’omologazione delle proposte, degli algoritmi che sviluppano dei prodotti sempre più in linea con le nostre aspettative, questo secondo me è un prezzo che paghiamo abbastanza alto.

Citata ancora oggi, l’immagine legata all’opera A perfect day del 1999, fa ancora un certo effetto, tanto che viene tutt’oggi scopiazzata dai pubblicitari. Condivide con noi il ricordo di quell’opera che la vede protagonista?

A perfect day nasce da una semplice constatazione, ovvero che io dovevo fare quello che chiedeva Maurizio in quel momento. Sapevo che quello era l’unico modo per lavorare con lui. Quindi se vogliamo esprimere attraverso quella mostra uno di quei momenti catartici che riguardano la storia dell’arte, per quanto mi riguarda è il momento in cui ho capito che Maurizio aveva più potere contrattuale su di me, di quanto ne avessi io su di lui e di conseguenza questa mostra la ripenso senza nessun ripensamento.

Come è stato quando Cattelan le ha proposto il progetto?

Ricordo perfettamente quando si parlava di questa mostra, Maurizio venne da me in galleria e mi fece vedere un’immagine e mi disse con un tono molto sornione: «ah guarda mi piace molto questa immagine», mostrandomi qualcosa di simile a quello che poi sarebbe successo a me. Io lo guardai e gli dissi, va bene, facciamolo! Però era ovvio che era l’unico modo, in quel momento, per continuare a lavorare con Maurizio. Non c’era scampo in quel momento.

Tornasse indietro nel tempo, lo rifarebbe?

Si, si certo, nel senso è una cosa che non mi piace citare, è una cosa che personalmente mi ha anche infastidito in certe situazioni, anche perché la lettura di quel gesto è sempre stata piuttosto superficiale da parte di chi non conosceva la relazione tra me e Maurizio. Non ho mai avuto un ripensamento, sapevo che doveva essere fatta e l’ho fatta. La rifarei sicuramente, il che non vuol dire che la rifarei perché mi piace ecco, ma la rifarei. 

Mentre l’idea della banana attaccata con un pezzo di scotch?

Le due opere sono molto vicine di base, la differenza è simile a quella che si trova tra un ritratto e una natura morta. Entrambe sono la versione di Maurizio di due classici standard della storia dell’arte. Un ritratto a figura intera o crocefissione e una natura morta. 

Nella sua lunga carriera avrà conosciuto i più svariati tipi di artisti. Quale ritiene essere la miglior formazione per un artista? Penso ad esempio ad un’istituzione come quella delle accademie, a suo parere come andrebbe rinnovate?

Di natura e per formazione sono un anti accademico, prima di tutto perché non ho fatto l’accademia. Poi perché credo che da un lato l’accademia produca dei valori medi abbastanza interessanti, dall’altro credo che questi valori siano un po’ piatti. Recentemente ho visto dei frammenti di una conversazione del ’62 o ’63 tra Duke Ellington e Leonard Bernstein, in cui Ellington dice al suo interlocutore che adesso i musicisti che escono dai conservatori sono estremamente preparati, hanno tutti una capacità di lettura elevata e che ai suoi tempi era immaginabile una preparazione tale, ma dice anche che alla fine questi musicisti sono tutti uguali. Questo per dire che l’accademia appiattisce, non c’è niente da fare, dopo di che si può tranquillamente pensare che comunque se uno al giorno d’oggi è bravo esce dall’accademia. Non è che l’accademia ha quel potere di distruggere il talento dell’artista, però secondo me si corre il rischio che l’accademia faccia sembrare più bravi degli artisti solo per il fatto che ti insegna come recuperare delle informazioni, come fare una presentazione e come agire all’interno di un sistema.

A cosa si riferisce nello specifico?

Quando parlo di queste cose non parlo dell’interazione con un sistema mercantile o un sistema critico, parlo di un sistema di idee che diventa quasi sempre un po’autoreferenziale, con un difetto direi di sensibilità. Attenzione, ciò che dico non è contro l’accademia ma contro un inevitabile conformismo che immancabilmente esiste in certi ambiti di pensiero e non voglio, lungi da me, celebrare una sorta di autoformazione rispetto ai canali privilegiati. 

Quanto è importante la formazione?

Lo studio è importantissimo, fondamentale e adesso quello che dico è che forse, in un momento dove non vi è tanta voglia di studiare, quando un artista esce dall’accademia pensa di aver studiato. Invece ho la sensazione che non sia proprio così, perché generalmente si studia quello che c’è da studiare che non necessariamente è quello che deve essere studiato. Quindi il mio pensiero è antiaccademico, ma non è contro la formazione, anzi io sono per un artista colto e che dia al sapere del fare e al sapere intellettuale una grande importanza, posso dire che al giorno d’oggi mancano quasi sempre tutti e due.

MASSIMODECARLO PIECE UNIQUE – DNA:Orange:Work McArthur Binion 09.03.2021 – 27.03.2021 Photo by Thomas Lannes Courtesy MASSIMODECARLO
MASSIMODECARLO / VSPACE Fragile and Unregulated Julian Hoeber, Spencer Lewis, Maysha Mohamedi, Brian Rochefort, Tursic & Mille, Zhang Enli 19.02.2021 – 20.03.2021 Courtesy MASSIMODECARLO

Oggi, in un mondo dominato dal mercato e dallo strapotere della finanza, esiste ancora un ruolo ontologico dell’opera d’arte? o, in altre parole, le gallerie, a suo parere, camuffano il business con la cultura (o presunta tale?)

Penso che tutto ciò sia sempre accaduto. Se analizziamo i decenni o i ventenni passati troviamo sempre artisti straordinari che fanno una certa fatica a emergere e artisti meno straordinari che sono, come sempre per ragioni di varia natura, molto più noti. Ho iniziato ad affrontare queste tematiche negli anni ’70, in più non vengo neanche dall’arte e mi sono accorto che un certo mainstream visivo o musicale, o cinematografico comunque occupava molto spazio. Negli anni ‘60 essere un artista visivo, ed essere legati a un partito di sinistra, e avere certe relazioni comunque era già un percorso, indipendentemente dalla qualità dell’opera.

Oggi il ruolo della politica all’interno dell’opera d’arte, o del valore che danno gli artisti al loro fare è importante oppure viene messo da parte per altre ragioni?

Il ruolo della politica è importante in negativo a mio avviso perché propone una visione che non è quasi mai aderente alla realtà. Qualunque cosa faccia la politica, soprattutto al giorno d’oggi, lo fa per creare consenso, e quel consenso che crea lo porta a ignorare le forme più interessanti, o delle arti visive o di qualunque altro fenomeno culturale. Provo grandissimo fastidio per la politica degli assessorati alla cultura, in generale. Quella è politica. Quando durante le occasione ufficiali, e quindi percepite come importanti, ci offrono l’ennesima mostra degli impressionisti.

Un esempio attuale può essere la nomina dell’assessore alla cultura del Comune di Roma.

Ecco, la politica brilla per negatività in questo momento, purtroppo, però è sempre stato cosi, solo che prima l’impatto era meno forte. Vedo delle belle mostre diciamo cosi, accademiche, qui a Milano ma non riesco mai a verificare un vero impegno nelle politiche culturali. Un mio caro amico mi ha sempre detto: «se tu vuoi essere un bravo editore devi perdere soldi». Io invece dico che se tu vuoi essere un bravo promotore culturale devi perdere consenso, e questo non lo vuole fare nessuno, o perché il biglietto è troppo importante o perché i costi dell’assicurazione gravano in modo decisivo.

In che modo si dovrebbe fare cultura?

Fare cultura dovrebbe essere un rischio, non un momento per creare consenso, e oggi vedo che questo rischio non è mai praticato. Mentre negli anni ’70 questo rischio era praticato eccome. Diciamo che la politica in questo momento, nella logica del consenso non fa cultura, ma nel migliore dei casi fa intrattenimento culturale ad alto livello. Di cui anche io beneficio, perché andare a vedere una bella mostra di Raffaello a Roma fa anche piacere, poi possiamo discutere sull’allestimento, però insomma fuori dal problema, fuori diciamo dalla sofisticatezza del pensiero è stata una bella occasione per vedere delle opere straordinarie. Anche in quel caso, mi pare che si tratta più di intrattenimento che non di formazione, anche perché per fare formazione importante, si spendono più soldi e si riceve meno consenso.

Un esempio?

Questo è più o meno lo stesso problema dei parchi pubblici, cioè gli assessori non investono mai sui giardini pubblici, o sul verde perché quando il giardino pubblico viene fuori sono soldi che non si vedono quando sono spesi. Spendere soldi nel vedere in una città rischia di essere controproducente, perché il cittadino non percepisce la qualità di quello che è stato fatto, perché i soldi si spendono adesso e il risultato è fra cinque anni, e quindi ecco che la politica del verde, della manutenzione dei parchi pubblici non si fa mai, meglio le piste ciclabili. 

In questo particolare periodo storico caratterizzato dall’emergenza sanitaria come reagisce il sistema dell’arte e qual è l’auspicio per il prossimo futuro?

Il sistema dell’arte ha reagito inondando di immagini via internet e cercando di stabilire dei nuovi criteri per usufruire dell’opera. Questi criteri probabilmente sono importanti fino a un certo punto, noi siamo un pochettino in mezzo al guado, non siamo ancora andati dall’altra parte. In questo momento è difficile percepire un rinnovamento, nel senso che c’è un rinnovamento in atto, ma è difficile percepire il risultato finale di questo temporaneo cambiamento, in più non sappiamo neanche se sia temporaneo. Detto questo il mondo dell’arte reagisca come tutti, sta a casa, esce poco, si abbuffa di internet e di tutto quello che gli schermi piccoli e grandi gli offrono. Non attribuirei all’arte un modo diverso di vivere questi momenti, si va nella direzione in cui vanno tutti, con un po’ di rabbia e delusione. 

L’attuale crisi ha peggiorato l’economia di numerose figure che operano all’interno di enti e istituzioni pubbliche e private del settore dell’arte contemporanea. Perché in Italia le lavoratrici e i lavoratori di questo comparto sono sempre più precari e meno tutelati e quali potrebbero essere delle buone politiche di rilancio e stabilizzazione professionale?

Credo che aspettarsi poco e non avere troppe aspettative sia il miglior modo per affrontare il futuro. Non ho una grande simpatia per gli aiuti pubblici, che pure adesso sono necessari. Però il piagnisteo continuo che vedo mi intristisce, penso che ci sia la possibilità di trasformare tutto quello che succede in un momento positivo, ma bisogna avere talento, forza, costanza e determinazione e ammetto che sono tutte qualità che non si trovano in tutti. Credo che l’arte sia proprio questo, raccogliere un rifiuto, un’immagine sgradevole, e trasformarla in un momento visivamente necessario. Maurizio prende un gallerista, lo attacca al muro… è un artista: credo che si possa fare così in tante altre situazioni, non so se tutto quello che abbiamo prodotto culturalmente negli ultimi trent’anni sia in grado di essere il sostrato indispensabile per portare avanti queste idee. Non è così semplice.

Oggi di chi è la responsabilità? 

Oggi la responsabilità è nelle persone che pensano di essere creative, cioè essere creativi in un momento in cui qualunque idea può essere espressa è anche piuttosto facile. Io credo che la grande e vera creatività sia quella che si muove attraverso dei paletti ben definiti e qualche volta addirittura insormontabili. È facile essere creativi in un mondo dove qualunque cosa è ben accetta, molto più difficile è essere creativi in un contesto disagevole per il pensiero, per l’economia e per quello che stiamo vivendo. Chi ha qualità ha la possibilità di emergere in modo molto più forte in questo momento.

Domanda di rito, chi sono gli artisti italiani sui quali scommettere nei prossimi anni?

Bella domanda! Bah non lo so, avrei risposto così anche nel 1991 o nel 2002. Devo dire che non riesco a fare questa previsione. 

Cosa si augura per il futuro?

Credo e mi auguro che in realtà debbano emergere quelle persone che hanno qualcosa da dire non soltanto al dibattito delle arti visive, ma penso che riescano ad emergere gli artisti che hanno un po’meno auto referenzialità, e un pochettino di apertura e sensibilità nei confronti del mondo.

MASSIMODECARLO / LONDON West Coast Jessie Homer French 15.02.2021 Photo by Damian Griffiths Courtesy MASSIMODECARLO
MASSIMODECARLO / HONG KONG Purple Skin Lu Song 04.02.2021 – 18.03.2021 Photo by Winnie Yeung Courtesy MASSIMODECARLO
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