La paura di un nemico invisibile percepito nella semi oscurità dello spazio espositivo, diviene esperienza che pone a confronto un dualismo tra le ferme dinamiche dell’apprendimento e l’irrazionalità di un atteggiamento istintivo. La mostra personale di Valentina Furian (Venezia, 1989), costruita con pochi ma essenziali riferimenti visivi come disegni, fotografie e il video 55 (cane), suscita una connessione sensibile ed estraniante tra il momento della fruizione e il nostro sistema centrale che regola le reazioni psico-fisico ed emotive dell’intero organismo, che risiedono in un’area della corteccia cerebrale chiamata amigdala.
La presenza della luce che per l’artista diviene strumento fondamentale di ricerca, tinge di colore rosso l’intera sala e amplifica quel senso di pericolo e di espressione incondizionata avvertita non solo nelle rappresentazioni dei cani, ripresi durante degli atteggiamenti di difesa e aggressione, ma anche dai nostri cinque sensi che ci permettono di comprendere ed essere astanti partecipi di un impulso primordiale, libero ad esempio dal condizionamento classico avallato dagli esperimenti del fisiologo russo Ivan Pavlov.
Scrive Furian: “Tramite il cane, l’animale addomesticato da tempi antichissimi, volevo proprio creare una sospensione allo stato di addomesticamento che rende umanizzata la figura canina nel nostro immaginario. Sospenderlo nella sua impossibilità di ritornare ad essere lupo”.
In un processo artistico che lambisce da vicino lo studio dell’etologia, il lavoro di Valentina Furian fa emergere due modalità relative alla manifestazione dello sgomento: una che interessa il timore legato a uno specifico oggetto, mentre la seconda non si riferisce a qualcosa di fisicamente determinato, ma agisce nel nostro più profondo sentire, segnato dall’esperienza diretta dell’esistenza che, come scrive Sartre nelle pagine del romanzo La nausea del 1938, l’esistere rientra nel fare esperienza dell’angoscia.
È nell’angoscia che la natura umana prende coscienza della sua libertà, come in questo caso affiora dalla riflessione dell’artista sulla natura animale, dalla quale si muove un’idea che parafrasando il pensiero hegeliano sul rapporto tra servo-padrone, ovvero sulla lotta per il riconoscimento di classi contrapposte, anche nel nostro caso si dibatte fra dipendenza e indipendenza per conquistare la propria libertà; condizione che merita di essere vissuta in piena riconciliazione e armonia tra il mondo culturale e quello animale, così come auspicava Beuys nella celebre performance I Like America and America Likes Me del 1974.
Valentina Furian
Una, Piacenza
Fino al 31 Dicembre 2020