Simon Fujiwara racconta chi è WHO the Bær | Fondazione Prada, Milano

“Ho iniziato il progetto un anno fa – racconta l'artista – durante il primo lockdown. Ho iniziato con i disegni, ma anche con i collage, utilizzando differenti immagini di personaggi, figure o corpi prelevate da Internet […]. Credo sia nato tutto in risposta all’isolamento dettato dal trovarsi in una realtà completamente mediata, in cui capisci di non poter vedere nessuno se non le immagini del mondo filtrate dallo smartphone, dalla TV e da Internet”.
12 Marzo 2021
Simon Fujiwara Drawing image for “Who the Bær”, 2020 Artwork: Simon Fujiwara / Photo: Bas Princen Courtesy the artist

Posticipata a data da destinarsi, l’inaugurazione di Who the Bær, progetto site-specific ideato da Simon Fujiwara, è stata convertita in una diretta Instagram andata in onda sul profilo di Fondazione Prada lo scorso 3 marzo 2021. L’artista britannico ha mostrato in anteprima il suo lavoro dialogando con Barbara Casavecchia, curatrice e docente dell’Accademia di Belle Arti di Brera. 

Già nel corso dei primi secondi, Fujiwara ha guidato il pubblico alla scoperta del magico universo di Who, cartoon da lui disegnato avente – ma solo all’apparenza – le fattezze di un orso: Who, infatti, come ha precisato l’artista, “non hanno un’identità precisa, una sessualità o una razza, e nemmeno un design definito – ci si riferisce, difatti, utilizzando il plurale –. L’unica cosa che sanno è quella di essere un’immagine, un disegno, all’interno di un mondo fatto di altre immagini, e che possono trasformarsi nelle immagini che a loro volta vedono”

Il mondo di Who the Bær, costituito da disegni, video e sculture, è plasmato sulla forma di questo orso indefinito – nel momento in cui l’artista avvia la diretta si trova nella sua ‘bocca’ – e, come afferma lo stesso Fujiwara, la struttura dei pannelli che ne compongono la sagoma richiama alla mente l’architettura di Frank Gehry – retaggio, forse, degli studi che hanno segnato la sua crescita artistica. “Ho iniziato il progetto un anno fa – afferma, in risposta alla domanda di Casavecchia circa la nascita di Who – durante il primo lockdown. Ho iniziato con i disegni, ma anche con i collage, utilizzando differenti immagini di personaggi, figure o corpi prelevate da Internet […]. Credo sia nato tutto in risposta all’isolamento dettato dal trovarsi in una realtà completamente mediata, in cui capisci di non poter vedere nessuno se non le immagini del mondo filtrate dallo smartphone, dalla TV e da Internet”. Alla costruzione del cartoon hanno contribuito, quindi, “i sentimenti di disperazione e solitudine”, ma anche “gli sviluppi delle discussioni sulla razza e sul gender”, i quali hanno portato l’artista a riflettere sui rapporti che intercorrono tra corpo e immagine, e tra la realizzazione effettiva del personaggio e ciò che stava accadendo attorno a lui in quel periodo. Così, attraverso collage e disegni, “in estate è apparso Who the Bær”.

Simon Fujiwara Drawing images for “Who the Bær”, 2020 Courtesy the artist; Dvir Gallery, Tel Aviv/ Brussels; GioMARCONI, Milan; Taro Nasu, Tokyo; Esther Schipper, Berlin Image attribution: Albrecht Dürer, Adam and Eve, 1507, online gallery Museo del Prado, Madrid Photos © André Carvalho and Tugba Carvalho – CHROMA

Risulta interessante soffermarsi sulle riflessioni che hanno portato all’ideazione di questo personaggio, basate tutte sulla consapevolezza di vedere ridotta ogni cosa alla mera“semplificazione, che sia in relazione a un messaggio politico o ecologico”: “Assistiamo – prosegue Fujiwara – a una sorta di violenza o di pressione a livello individuale affinché ognuno semplifichi sé stesso e legittimi ciò che esiste all’interno di questo caotico paesaggio di immagini”. Sono questi i ragionamenti che lo hanno portato a pensare che il mondo sia molto più complesso di quanto si pensi: non esistono identità definite, ma vi sono, al contrario, miriadi di sfaccettature che caratterizzano ogni essere umano. È per questo che “Who the Bær viaggia in Egitto, in Africa, così da appropriarsi di differenti culture, alla ricerca di una sua identità”: per dimostrare “quanto siamo colonizzati ormai dalle immagini dei luoghi che sono state create per noi, e non solo da quelle dei luoghi e delle culture, ma anche dalle immagini delle convenzioni di gender circa ad esempio il modo di vestirsi e di condurre una vita etica”.

Come ha sottolineato Casavecchia, l’universo di Who presenta degli aspetti divertenti, anche se significativi e profondi, e teatrali, in quanto racchiude al suo interno differenti mondi, anche vicini a quelli della musica e del musical. Ma ciò che rende accattivante la storia di Who the Bær è dato dal suo “desiderio di diventare un tutt’uno col tutto”, dalla sua facoltà di potersi “trasformare in oggetti e prodotti”, e questo è legato tanto al lato ecologico del pensiero, quanto a quello capitalistico: “Loro non hanno bisogno di comprare un iPad, non hanno bisogno di giocare con un iPad: loro possono diventare un iPad”.
Attingendo dalle proprie origini e dalla propria esperienza del lockdown – ma anche da famosi cartoon come Winnie the Pooh – Fujiwara utilizza così il ‘semplicistico’ strumento del fumetto per ragionare sugli accadimenti del mondo e per spostare l’attenzione su questioni tanto attuali, quanto urgenti e irrisolte. 

Fondazione Prada – Simon Fujiwara – Ph Andrea Rossetti
Simon Fujiwara Drawing image for “Who the Bær”, 2020 Courtesy the artist
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