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Il confine tra natura e cultura è un’illusione: l’antropizzazione del pianeta ne ha radicalmente assottigliato la distinzione, rendendo permeabili categorie quali naturale e artificiale, organico e inorganico. Nell’Antropocene i dualismi sono superati e imbastarditi dall’accoglienza del loro opposto, incrociati e collegati inestricabilmente tra loro anche se i loro fantasmi persistono ancora come retropensieri di una nostalgica mancanza di certezze che caratterizza la nostra contemporaneità in perenne e rapido mutamento, alla quale, come eredi diretti del secolo breve, fatichiamo ad adattarci. In questo scenario, incomprensibile attraverso le tradizionali categorizzazioni e in attesa di nuovi paradigmi in grado di descriverne la condizione di perenne transito – di cui le mutazioni genetiche, i cambiamenti climatici, le migrazioni non sono che le conseguenze più visibili – la devianza non è più eccezione ma norma e il concetto di mostruosità si identifica con il normale esito del processo naturalculturale di evoluzione e di inevitabile riorganizzazione classificatoria. L’adattamento e l’evoluzione biotecnologica portano inevitabilmente all’estinzione di specie conosciute o alla loro fusione e alla nascita di nuove, più resistenti e performanti, interconnesse rizomaticamente da inediti legami di parentela.
Il piano biologico è inestricabilmente legato a quello tecnologico, sociale e politico in una complessità che esige rappresentazioni di confine, trasversali e antidualistiche, della contaminazione in atto, in grado di fondare una nuova epistemologia della molteplicità del vivente. In questo processo di elaborazione di modelli alternativi l’arte svolge un ruolo non marginale che, partendo dall’osservazione del presente filtrata attraverso la diffrazione del prisma dell’immaginazione, è in grado di prospettare forme, figure e scenari di un possibile futuro prossimo – che sta già accadendo.
Il Vogelkop bowerbird, uccello tipico della Nuova Guinea, è in questo senso una figura paradigmatica: nell’utilizzo di oggetti di diverse provenienze (quali frammenti di scarti industriali e materiali organici) a scopo seduttivo e decorativo sia nel rituale di corteggiamento che nella costruzione del nido, compie un salto evolutivo tale da essere considerato una specie particolare, differente dalla famiglia di appartenenza. È la figura scelta come metafora di uno scenario che Francesco Pacelli immagina creando un ambiente verosimile ma possibile, dove convivono specie meticciate in cui biologia e tecnologia sono fuse – e confuse – in nuove creature (o creazioni) tecnorganiche, intese come costrutti socio-culturali. Un nido-termitaio vuoto dalla superficie squarciata apparentemente sorretto da una propaggine filiforme luminosa, un gruppo di ibride stalattiti e stalagmiti le cui sedimentazioni millenarie hanno generato dei denti, alcuni coralli dotati di minuscoli bulbi oculari che, staccatisi dal corpo, si diffondono viralmente come microprotesi esploratrici – o forse predatrici – di un habitat che la rapidità di trasformazione rende continuamente alieno, due calotte plastiche, forse dei primordiali caschi per viaggi virtuali oppure esoscheletri calcificati in attesa di organi, convivono con presenze invisibili che si palesano con rumori e suoni disarmonici nella trama ritmica della caduta libera di una goccia che si riverbera nello spazio.
In questo paesaggio una pallina da ping-pong, rassicurante traccia del nostro tempo, ci riporta al presente. Un oggi in cui la transazione da organismo a cyborg è già avvenuta e «gli organismi biologici sono diventati sistemi biotici, strumenti di comunicazione come qualsiasi altri» (Donna Haraway, Manifesto Cyborg, Feltrinelli 1995). Irriducibilmente eretici, si sottraggono alle rigide definizioni già date e, seppure condizionati, sono in grado di condizionare a loro volta la nostra visione del mondo come «risorse immaginative ispiratrici» (Harway, 1995). Il diorama di Francesco Pacelli ne è una riproduzione da laboratorio realizzata con materiali eterodossi – resina, pigmenti, smalti industriali, ceramica, luci led – trattati utilizzando tecniche miste – il modellato tradizionale insieme a strumenti di fabbricazione digitale propri del contemporaneo. Tecnologia, industria e artigianato si incrociano anche sul piano realizzativo nella sperimentazione di saperi pluridisciplinari e di pratiche in cui l’oggetto è luogo di iscrizione complessa e ibrido tra materia e linguaggio.
Fino al 19 Dicembre 2018
Spazio Display, Parma
Francesco Pacelli – Ballata Vogelkop | Spazio DISPLAY, Parma
«Bodies aren’t born; they’re made»
Donna Haraway, A cyborg Manifesto
Boundaries between nature and culture are illusive: planet’s anthropization radically reduced this distinction, making topics such as natural and artificial, organic and inorganic permeable. In the Anthropocene the dualisms are overcome and bastardized by the reception of their opposite, crossed and inextricably linked to each other even if their ghosts still persist as echoes of a nostalgic lack of certainties that characterizes our costantly changing contemporaneity; as direct heirs of the short century, we struggle to adapt to it. In such a scenario where traditional categorisations are difficult to understand and new paradigms are needed to describe this condition of perennial transit – where genetic mutations, climate change, migrations aren’t but the most visible consequences – deviance is no longer exception but norm, while the concept of monstrosity can be identified as the normal outcome of a natural-cultural evolutionary process of inevitable classificatory reorganization. Adaptation and biotechnological evolution inevitably lead to the extinction or fusion of known species and to the birth of new ones, more resistant and performing, rhizomatically interconnected by unprecedented ties.
The biological plan is inextricably linked to the technological, social and political ones in a complexity that requires cross-border, antidualistic representations of the contamination in progress, able to found a new epistemology for the multiplicity of the living. In processing and elaborating alternative models, art plays a non-marginal role. Starting from observing a present filtered and diffracted by the prism of imagination, artistic act is able to envisage forms, figures and scenarios of a possible near future – which has already happened.
According to this vision, the Vogelkop bowerbird, a typical bird of New Guinea, represents a paradigmatic figure: by collecting objects from industrial waste fragments to organic materials for seductive and decorative purposes both in the courtship ritual and in making the nest, this animal makes an evolutionary leap such as to be considered a particular and different species from the family it belongs. Francesco Pacelli chose this peculiar bird as a metaphor for creating an imaginary scenario, both plausible and probable, where contaminated species live. Biology and technology are fused together in creating new technorganic entities that can be intended as socio-cultural constructs. An empty nest (The anachronism of the species makes us very fragile) with a slashed surface apparently supported by a luminous filiform branch; a group of hybrid stalactites and stalagmites (Cas9) whose millennial sedimentations generated teeth; some corals (Exodus) with tiny eyeballs that, detached from the body, spread virally like microprosthesic explorers – perhaps predators – of a constantly unknown habitat due to its transformation speed; two plastic caps (The tripophiles), maybe primordial helmets for virtual journeys or calcified exoskeletons awaiting organs, coexist with invisible presences, revealing themselves through disharmonic noises and sounds in the rhythmic pattern of the frefall of a drop reverberating in the environment (Contemporary soup). In this scenario a ping-pong ball, reassuring witness of our time, brings us back to the present. A today in which the organism-to-cyborg transaction has already taken place and “biological organisms have become biotic systems, communication tools like any others”3. Irriducibly heretical, they escape rigid given definitions and, even if conditioned, able to condition our vision of the world as “inspiring imaginative resources”4. Francesco Pacelli’s diorama is a laboratory simulation made with heterodox materials – resin, pigments, industrial glazes, ceramics, led lights – treated using mixed techniques – traditional sculpting merged with contemporary digital manufacturing tools. Technology, industry and craftmanship are put together, experimenting with pluridisciplinary knowledge and practices where objects are complex and inclusive, hybrid forms of matter and language.
Text by Rossella Moratto