Il progetto Q-Rated offerto dalla Quadriennale di Roma e organizzato dalla neo-direttrice Sarah Cosulich e Stefano Collicelli Cagol, è uno spazio attivo di ricerca e approfondimento sull’arte contemporanea. Articolato in tre workshop all’anno vuole essere il luogo attraverso il quale formulare una costellazione completa di figure, ricerche e approcci del contesto artistico e curatoriale italiano.
Il dibattito costruttivo e critico, volto a strutturare la prossima 17a edizione, ha fatto e farà da perno centrale nei tre episodi che hanno toccato Roma e Lecce e ai quali seguirà l’ultimo appuntamento torinese. Insieme ai giovani artisti e curatori selezionati attraverso un bando, figure di spicco internazionali indirizzano i workshop verso tematiche di contemporaneo interesse.
A Roma con “L’artista come curatore, il curatore come artista” i protagonisti sono stati seguirà il workshop “Il resto delle immagini”.
La redazione di ATPdiary ha intervistato Stefano Collicelli Cagol per approfondire la ricezione e risultati raggiunti dal progetto fino ad ora.
Lisa Andreani: Siamo giunti alla terza edizione di Q-Rated, quale ti sembra sia stata la ricezione da parte degli artisti, curatori e professionisti del settore coinvolti?
Stefano Collicelli Cagol: Siamo molto felici della ricezione che Q-Rated ha ricevuto finora, il progetto ha sin da subito ricevuto l’adesione entusiasta di giovani artisti e curatori come abbiamo potuto vedere dal numero di domande di partecipazione che per tutti e tre i workshop sono state molto alte (con punte sulle 80 per il primo).
La formula di avere una tematica da approfondire per ciascuna edizione aiuta a identificare i migliori tutor stranieri in grado di portare il loro contributo alla discussione partendo dalle loro pratiche o ricerche. Inoltre, cambiare la città in cui avviene Q-Rated, ci consente di adattare di volta in volta il format del workshop: a Roma ciascun tutor aveva una giornata dedicata mentre a Lecce i tre tutor sono stati presenti tutti a tutte le giornate, a Torino sperimenteremo il simposio a porte aperte curato da Hito Steyerl e Carolyn Christov-Bakargiev. Al primo workshop, Pierre Bal-Blanc, James Richards e Elena Filipovic hanno con generosità e passione condiviso le loro esperienze e si sono confrontati con i partecipanti. Il secondo, ha visto invece gli artisti Zach Blas e Rana Hamadeh e il curatore Robert Leckie ascoltare insieme le presentazioni dei partecipanti e dare dei feedback.
LA: Come affrontare la selezione dei candidati?
SCC: Una prima selezione dei partecipanti viene fatta dal team curatoriale della Quadriennale che è formato da me e da Sarah Cosulich, Direttore Artistico. Viene fatta una shortlist di circa una trentina di domande di partecipazione, prendendo in considerazione la lettera di motivazione, che sottolinea il legame tra la pratica del candidato e il tema del workshop, e il portfolio. Il materiale, nella versione in inglese, viene poi mandato ai tutor internazionali attraverso i cui feedback si forma il gruppo finale.
LA: “Il resto delle immagini” è il tema del terzo workshop al Castello di Rivoli. Vuoi darci qualche anticipazione?
SCC: Dopo aver approfondito la tematica dell’artista come curatore e del curatore come artista, il primo workshop a Villa Carpegna, Roma, sede della Quadriennale, del suo archivio e della sua biblioteca, abbiamo pensato di indagare uno dei temi metodologicamente più importanti sia per curatori che per artisti a Lecce con ‘ricerche sensibili’ aprendo anche all’uso della tecnologia e dell’approfondimento di argomenti sensibili, con una particolare attenzione a una riflessione sui cinque sensi. Per il terzo appuntamento abbiamo intenzione di riflettere sul senso delle immagini oggi, la loro produzione e circolazione, cosa resta di un’immagine dal passaggio da un medium all’altro, da un contesto all’altro. L’esperienza professionale di Carolyn Christov-Bakargiev e Sofia Hernández Chong Cuy unita al lavoro di Hito Steyerl permetteranno di partire da questi spunti iniziali per poter sviluppare una riflessione su immagini e tecnologia oggi.
LA: I progetti che state proponendo in diverse città d’Italia hanno dei legami con il territorio in cui si inseriscono o magari lo generano?
SCC: L’elasticità del format di Q-Rated permette di affrontare in modi diversi i contesti in cui ci troviamo a operare, il luogo può diventare protagonista delle riflessioni, intrecciandosi con il tema. Per il 2019, per esempio, stiamo organizzando un workshop che prenda spunto dall’analisi del territorio e della città ospitante. Altre volte, invece, sono le condizioni del luogo in cui avviene il workshop a influenzarne il format. A Lecce, per esempio, è stata la dimensione della città e la sua posizione che ci ha spinto a creare più una sorta di comunità tra tutor e partecipanti invitando i tutor a fermarsi quattro giorni e a partecipare insieme a tutte le attività.
LA: Credi che queste occasioni d’incontro generino anche delle possibilità successive? Legami o nuovi progetti?
SCC: Stiamo già vedendo che nuove connessioni si creano tra i giovani artisti e curatori partecipanti che hanno la possibilità di conoscersi e di avviare scambi e attività future, oltre che confrontarsi sui diversi contesti artistici delle varie città. Nel sito di Quadriennale, raccogliamo le interviste dei partecipanti in cui ci raccontano anche a caldo le loro impressioni e spesso puntualizzano come sia importante per loro incontrare e conoscere i propri colleghi anche in vista di future collaborazioni. Per Quadriennale è inoltre importante collaborare con i tutor internazionali che possono venire a conoscenza in modo diretto dell’istituzione e della sua azione di sostegno verso l’arte italiana. Infine, i workshop consentono di entrare in contatto sia ai tutor internazionali sia a noi curatori della Quadriennale d’Arte, che aprirà il 1 ottobre 2020, con numerosi artisti e curatori, italiani o stranieri che vivono e lavorano in Italia.
LA: Nell’ultimo workshop di Lecce come è stata affrontata la visione del Mediterraneo contemporaneo in relazione a una dimensione sensibile legata ai cinque sensi?
SCC: Nel workshop di Lecce questa dimensione è stata affrontata soprattutto grazie al contributo di Rana Hamadeh, artista di origine libanese, da diversi anni di base a Rotterdam e al momento in residenza all’American Academy di Roma. Nel suo lavoro, Hamadeh indaga come la tecnologia, il suono e la voce possano essere strumenti per approfondire il contesto politico e internazionale in cui viviamo. Cresciuta in Libano durante la guerra civile e interessata a capire la meccanica dei procedimenti di inclusione ed esclusione, creazione e legiferazione della soggettività, Hamadeh crea installazioni sonore, ambienti e opere musicali dove rielabora fatti di cronaca, storie ed eventi storici provenienti da diverse epoche, come punto di partenza per indagare l’oggi. L’interesse di Robert Leckie, inoltre, per gli studi decoloniali e l’attenzione da lui posta alle ricerche artistiche e culturali relative al Global South hanno apportato ulteriori elementi di riflessione sul Mediterraneo e la sua posizione all’interno della produzione di discorsi sull’Europa.