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Fotografia e Femminismi | Intervista a Federica Muzzarelli

Sabato 5 ottobre 2024, la Fondazione Sabe per l’arte presenta FOTOGRAFIA E FEMMINISMI. Storie e immagini dalla Collezione Donata Pizzi, mostra collettiva a cura di Federica Muzzarelli

FOTOGRAFIA E FEMMINISMI è una mostra collettiva realizzata a partire da una selezione di immagini provenienti dalla Collezione Donata Pizzi. La persistenza ideale, l’eredità culturale, lo sviluppo e i mutamenti dell’immagine sono guardati attraverso l’opera fotografica di diverse generazioni di fotografe e artiste operanti nel panorama italiano degli ultimi cinquant’anni, quali Liliana Barchiesi, Lisetta Carmi, Lucia Marcucci, Paola Mattioli, Tomaso Binga, Martina Della Valle, Giulia Iacolutti, Moira Ricci, Alessandra Spranzi e Alba Zari. Abbiamo intervistato la curatrice Federica Muzzarelli per saperne di più. 

Sara Benaglia: Come è nata la mostra “Fotografia e Femminismi. Storie e immagini dalla Collezione Donata Pizzi”?

Federica Muzzarelli: La mostra è il risultato di una serie di attività legate alla mia ricerca e ai miei interessi come docente di Storia della fotografia all’Università di Bologna. Anzitutto c’è il mio rapporto con la Fondazione SABE per l’Arte di Ravenna, dove siedo nel consiglio scientifico assieme ad altri colleghi dell’Università di Bologna e Milano. La Fondazione è nata con un centro di interessi nella scultura ma, per quest’anno, ha deciso di aprire i suoi spazi anche a mostre fotografiche. Poi c’è il rapporto e l’amicizia con Donata Pizzi, fotografa e collezionista e, infine, naturalmente ci sono i temi della fotografia femminista, e una lettura della fotografia da una prospettiva di genere, che sono da sempre un’asse portante del mio lavoro di studio e ricerca.

SB: Perché parlare di femminismo al plurale?

FM: Il plurale e la scelta di parlare di Femminismi serve ad allargare il campo d’indagine a quei fenomeni di marginalità e di alternatività alle norme e ai codici precostituiti che hanno nel corso dei secoli condiviso questa condizione con le donne. Questo allargamento è stato avvertito dalle studiose come esigenza di inclusione e prende anche il nome di femminismo intersezionale. Significa che nella storia le donne hanno subito discriminazioni enormi ma che la loro discriminazione è stata subita anche da altri gruppi per colore della pelle, classe, orientamento sessuale, cultura…

SB: Quali femminismi raccontano queste immagini scelte dalla Collezione Donata Pizzi?

FM: La mostra è costruita creando un dialogo intergenerazionale tra le fotografe e le artiste che hanno usato la fotografia incrociando quattro grandi dimensioni che sono costitutivamente legate al fotografico: l’album di famiglia e il rapporto con la memoria, la costruzione e la rinegoziazione dell’identità di genere, gli stereotipi e gli spazi domestici, i ruoli e le censure sociali. La fotografia si mostra particolarmente adatta a incanalare queste esigenze di rappresentazione e racconto femminista.

Liliana Barchiesi, dalla serie Le casalinghe, Milano, 1979. Stampa gelatina bromuro d’argento, 20x30cm

SB: Le autrici accorpate sotto a questo titolo sono femministe? Crede che ci sia una resistenza nel presente a definirsi tale? 

FM: Credo che si debba spiegare bene come e con quali riferimenti culturali si usano le parole, soprattutto quando sono legate a vicende e a situazioni così importanti. C’è il Femminismo militante che è stato ed è un fenomeno della società e della storia al quale ciascuna può decidere di afferire e partecipare attivamente. Ma c’è anche un femminismo che è nelle cose, per noi nelle fotografie, che viene portato dalle immagini, dai comportamenti e dalle tracce che lasciamo. La fotografia femminista, nel significato che ho scelto di dare a questa idea, e in cui seguo le teorie della filosofa americana Claire Raymond, è la fotografia che trasporta messaggi e contenuti che sono esito di pratiche e di esperienze di marginalità e di volontà di resistere adottando prospettive non normative. La storia delle donne, e di altri gruppi che hanno subito oppressione e ingiustizie, ha trovato certamente nella fotografia un’alleata nella possibilità di riappropriarsi delle storie nascoste e dimenticate, rivendicando ruoli e presenza nel mondo.

SB: Provi a immaginare installate vicino l’opera di Liliana Barchiesi e quella di Martina Della Valle? Cosa vediamo e a quali femminismi facciamo riferimento?

FM: L’opera di Liliana Barchiesi si inserisce in mostra nel focus dedicato agli Stereotipi e agli spazi domestici. Nella storia delle donne, nella traduzione iconografica della loro presenza nel mondo, e all’interno delle loro relazioni sociali in massima parte di tipo familiare e affettivo, sono stati gli spazi domestici a dominare gli sguardi. La fotografia ha perpetuato a lungo questa tradizione di reclusione e di separazione dalla Storia, e le nuove generazioni di artiste ci confermano che non ha mai smesso di esistere davvero. Nella serie Le casalinghe (1979), Liliana Barchiesi ci porta dentro i tinelli, i salotti e le camerette delle oneste e dignitose case della periferia milanese degli anni Settanta. All’interno di un più vasto progetto di fotografia femminista, quelli che erano gli obiettivi di emancipazione del Movimento delle Donne si scontrano con la realtà di quotidianità alienante e con i gesti ripetuti all’infinito, dentro spazi secondari che scandiscono i giorni degli angeli dei focolari domestici.

Il lavoro di Martina Della Valle è presente in mostra nel focus dedicato ai Ruoli e alle censure sociali. Sul corpo delle donne si è giocata, da sempre, la partita della loro presenza o della loro assenza dalle strutture e dalle gerarchie sociali e di potere. A volte un ostacolo, a volte uno strumento, quasi sempre un pregiudizio: con il loro corpo le donne hanno anzitutto dovuto fare i conti, negoziando le necessità e i desideri ora con la storia, ora con la filosofia, con la religione e con la politica. Fuori e dentro le case, intrecciando e influenzando rapporti famigliari e professionali. Delle necessità e dei desideri delle donne la fotografia ha accompagnato gli sviluppi nell’epoca delle immagini tecnologiche, e ancora oggi ne racconta le contraddizioni. Grazie alla fotografia, e al suo uso massificato e democratico, le immagini e i corpi delle donne perpetuano spesso ruoli e identità banalizzate, estenuando immaginari codificati, oppure alimentando censure e rimozioni. Il corpo nudo, soprattutto se è un corpo delle donne, offende ancora, ci dice Martina della Valle in The Post.it Book (2014). Se poi, e paradossalmente, quelle nudità sono state fotografate da altre donne allora meritano l’oscuramento e la cancellazione, come in una forma di censura contemporanea. Come in un libro sulla fotografia, trovato per caso, in cui qualcuno ha eliminato fisicamente la visione della nudità vista dalle donne.

Moira Ricci, In viaggio di nozze a Milano dalla serie 20.12.53-10.08.04, 2004-2014. Stampa Lambda, 22x30cm

SB: Una sezione della mostra è dedicata a una riproduzione anastatica di alcune maquette dell’iconico volume collettivo femminista “Ci vediamo mercoledì. Gli altri giorni ci immaginiamo” (1978). Ci potrebbe parlare di questo progetto? Come si relaziona con il nostro presente?

FM: Ci racconta la dimensione chiave del Femminismo che è quella del collettivo, forse una delle più preziose conquiste del movimento italiano: donne artiste e femministe riunite in un progetto comune, una seduta di autocoscienza grazie a cui confrontarsi e raccontarsi secondo prospettive nuove e nuovi modelli visivi. Sguardi di donne su altre donne che definiscono la fotografia come strumento ideale per il racconto insieme autobiografico e collettivo. La fotografia è un dispositivo istintivamente femminista, perfetta per rivelare il nascosto e dare forza ai desideri e agli immaginari dimenticati. Le maquette, riprodotte qui in copia anastatica per ridare il senso dello sfogliare un libro, appartengono al volume Ci vediamo mercoledì. Gli altri giorni ci immaginiamo, pubblicato da Mazzotta nel 1978 e contenente la documentazione dei lavori del Gruppo del Mercoledì. Nato come esperimento femminista, il volume rappresenta oggi una tappa fondamentale per conoscere l’arte delle donne in Italia.

SB: Lei, tre le altre attività, coordina il centro di Ricerca FAF (Fotografia Arte Femminismo) ed è responsabile di un progetto di ricerca di interesse nazionale dal titolo “La fotografia femminista italiana. Politiche identitarie e strategie di genere”. Come è cambiata la sua visione della fotografia e del femminismo negli anni in cui ha percorso queste ricerche?

FM: È cambiata perché si è fatta sempre più consapevole e convinta della necessità di continuare a farne oggetto di ricerca e di valorizzazione. Recentemente abbiamo aperto il centro di ricerca FAF a colleghe e colleghi di altri Atenei italiani, e presto coinvolgeremo colleghe e colleghi internazionali in occasione di un importante Convegno che si terrà a Bologna nel settembre 2025. Vogliamo così proseguire a indagare la storia dell’arte e la fotografia da prospettive interdisciplinari e a mettere al centro degli studi ciò che la tradizione ha da sempre oscurato. Anzitutto la prospettiva di genere.

SB: Come si è sviluppato negli anni il suo dialogo con Raffaella Perna, Cristina Casero e Lara Conte?

FM: Si è sviluppato coltivando in modo costante e naturale il rapporto professionale di studiose e ricercatrici e, insieme e in parallelo, di amiche e sodali.

FOTOGRAFIA E FEMMINISMI
Storie e immagini dalla Collezione Donata Pizzi
A cura di Federica Muzzarelli
Fondazione Sabe per l’arte
5 ottobre – 15 dicembre 2024

Cover: Alessandra Spranzi, Tornando a casa #20, 1997. Stampa cromogenica, 24,5×36,5cm

Silvia Truppi, Maquette da “Ci vediamo mercoledì. Gli altri giorni ci immaginiamo” 1978
Lisetta Carmi, dalla serie I Travestiti, 1965-1970. Stampa gelatina bromuro d’argento, 18×24 cm. Martini & Ronchetti, courtesy Archivio Lisetta Carmi
Tomaso Binga, Oggi Spose 1977 gelatin silver prints, (photo Roberto Bossaglia) 24×18 cm
Mercedes Cuman, Maquette da “Ci vediamo mercoledì. Gli altri giorni ci immaginiamo”, 1978