La fotografia (cruda) di Jacopo Benassi al Centro Pecci

Prima personale in un museo per il fotografo spezzino, Vuoto raccoglie alcune delle serie e dei lavori più significativi regalando allo spettatore un assaggio di un immaginario nel quale star del red carpet convivono con il pogo delle stanze minuscole dei club sotterranei e momenti di vita privata.
23 Ottobre 2020
Jacopo Benassi. Vuoto, 2020. Installation view at Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato. © photo Ela Bialkowska, OKNOstudio
Jacopo Benassi. Vuoto, 2020. Installation view at Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato. © photo Ela Bialkowska, OKNOstudio

In venticinque anni di attività Jacopo Benassi ha raccolto e fotografato i soggetti più disparati: dall’umanità e luoghi della cultura underground nazionale e internazionale, a modelle, attrici, artisti e stilisti di fama internazionale, passando per l’indagine del proprio corpo e la statuaria greca. Un caleidoscopio di volti, luoghi, oggetti e situazioni catturato attraverso un utilizzo della fotografia crudo, al limite della spietatezza, nel quale il flash e la totale mancanza di profondità di campo vincono sulle regole formali. 

Un mondo di immagini, suoni ed oggetti che in occasione di Vuoto a cura di Elena Magini lasciano gli spazi dello studio di Benassi per occupare quelli del Centro Pecci.
Prima personale in un museo per il fotografo spezzino, Vuoto raccoglie alcune delle serie e dei lavori più significativi regalando allo spettatore un assaggio di un immaginario nel quale star del red carpet convivono con il pogo delle stanze minuscole dei club sotterranei e momenti di vita privata.

Apre il percorso espositivo una sorta di dittico verticale Pogo (2018) nel quale una fotografia scattata proprio in occasione di un concerto punk, è affiancata all’immagine di una processione: corpi sollevati come croci, magliette bianche e mani che si sfiorano, si toccano. Contesti diversi posti sullo stesso piano dal bianco e nero da quel flash così brutale eppure così veritiero. Nelle fotografie di Benassi le differenze sociali, temporali e culturali sembrano annullarsi per lasciare spazio ad un racconto atemporale nel quale le narrazioni si sovrappongono mescolandosi.
Un gioco di rimandi formali che torna nella serie Crack (2019) presentata integralmente lo scorso anno in occasione di Fotografia Europea a Reggio Emilia. L’esperienza personale di un incidente, e della conseguente rottura di una legamento del ginocchio, è stato il punto di partenza per la messa in gioco della statuaria classica in rapporto diretto con il corpo vero, autentico dello stesso fotografo. Alla bellezza e ai corpi perfetti del marmo e delle copertine patinate, Benassi preferisce il dietro le quinte, il non detto, gli aspetti visibili solo tramite – ancora una volta – l’esperienza personale. E’ per questa ragione che i volti delle star come
BLONDIE (Debbie Harry), Asia Argento, Roberto Cavalli, Giovanni Lindo Ferretti, appaiono così reali e vicini. Come amici di sempre fotografati all’uscita di un concerto o nel bel mezzo di una serata.

La fotografia diventa un evento creato dall’artista stesso il cui fine non è lo scatto perfetto. Lo dimostra non solo il risultato finale, ma anche l’utilizzo di cornici realizzate con legno grezzo, tenute insieme da punti di spillatrice, a tratti bruciati e intagliati in modo irregolare. Una non-perfezione che torna nella scelta di non utilizzare un unico pezzo di vetro come protezione, ma porzioni visibilmente separate la cui linea di divisione taglia volti e corpi.

Jacopo Benassi. Vuoto, 2020. Installation view at Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato. © photo Ela Bialkowska, OKNOstudio
Jacopo Benassi. Vuoto, 2020. Installation view at Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato. © photo Ela Bialkowska, OKNOstudio

Inevitabile, in questo scenario, pensare al punk degli anni Settanta, ai completi giacca e cravatta indossati con spille da balia e borchie, alla loro coerenza formale e stilistica nonostante l’intento di distruggere l’immagine borghese normalizzata. A mancare, allontanando almeno nella pratica fotografica Benassi dal punk, è proprio la ribellione esplicita rispetto alla cultura circostante. “Punk is dead” ha scritto lo stesso fotografo su un pezzo di scotch di carta sopra un piccolo televisore che manda in loop un suo video mentre si pettina. Perché la fotografia di Benassi non allontana, non differenzia, ma accoglie tutto ciò che lo circonda in una sorta di archivio personale senza fine esposto pubblicamente. Proprio come per la produzione editoriale che l’artista spezzino porta avanti quasi in parallelo con quella fotografica e rappresentata in mostra da alcune delle sue auto-pubblicazioni. Un approccio che rimane costante e coerente anche di fronte alla diversità dei soggetti e dei contesti come dimostrano la serie Princese (2015) con la quale Benassi torna a fotografare a Genova i protagonisti e le protagoniste degli scatti di Lisetta Carmi, e il nuovo progetto The Belt (2020) dedicato al distretto industriale di Prato.
Al centro dell’indagine torna ripetutamente il tema del corpo. Il corpo del lavoratore, il corpo nella notte, il corpo dell’altro, i corpi nella relazione e infine il proprio. Talvolta è una traccia, un corpo non visibile, del quale si percepisce il passaggio attraverso l’immagine di un oggetto abbandonato, un calzino, un paio di ciabatte. Talvolta la rappresentazione del corpo nasce dall’accostamento di immagini della natura prive di qualsiasi presenza umana. Altre volte ancora il corpo è messo letteralmente a nudo, come nella serie realizzata documentando i propri incontri intimi o come nell’esperienza performativa considerata da Benassi un’ulteriore forma di autorappresentazione.

Chiude il percorso espositivo un’installazione monumentale con la quale Benassi sembra consegnare nelle mani dello spettatore il suo studio, i suoi strumenti, il panorama creativo che lo stimola e che lo accompagna nella gestazione e produzione del lavoro. In una sorta di ordine caotico tra tavoli, sgabelli e cassettiere, Benassi porta in scena tutto il suo vissuto personale ed artistico. Ed ecco allora tornare la statuaria con personaggi mitologici, ma anche con riproduzioni di mani e piedi, capitelli e altorilievi; fotografie di soldati ed elmetti; chitarre e giradischi; attrezzi da falegname e ancora ciabatte, stivali, abat-jour, neon. Un universo di rimandi storici, estetici e culturali che confluiscono in una fotografia potente e personalissima. 


Giovedì 29 ottobre alle ore 18.30 presso il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, e sui canali ufficiali Facebook e Youtube, nell’ambito del ciclo di incontri Pecci Art Books, viene presentato il volume The Belt di Jacopo Benassi, edito da Skira, dedicato al suo progetto fotografico sul distretto tessile di Prato. Intervengono con l’artista: Elena Magini, curatrice della mostra Jacopo Benassi. Vuoto attualmente in corso; Antonio Grulli, curatore del volume; Maria Luisa Frisa, critico, curatore e professore ordinario all’Università Iuav di Venezia; Matteo Mantellassi, co-CEO di Manteco

Jacopo Benassi. Vuoto, 2020. Installation view at Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato. © photo Ela Bialkowska, OKNOstudio
Jacopo Benassi, Brutal Casual, 2020
Jacopo Benassi. Vuoto, 2020. Installation view at Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato. © photo Ela Bialkowska, OKNOstudio
Jacopo Benassi. Vuoto, 2020. Installation view at Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato. © photo Ela Bialkowska, OKNOstudio

Jacopo Benassi. Vuoto, 2020. Installation view at Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato. © photo Ela Bialkowska, OKNOstudio
Jacopo Benassi, BLONDIE (Debbie Harry), 2009-10
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