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Focus Bologna: intervista a Giulio Saverio Rossi | Prima di un’immagine dopo di un quadro | CAR DRDE, Bologna

Per la nuova personale Prima di un’immagine dopo di un quadro, organizzata da CAR DRDE a Bologna – a pochi giorni dall’inaugurazione di Art City 2021 – Giulio Saverio Rossi presenta una serie di lavori inediti che riflettono sul linguaggio stesso della sua prassi e sulle implicazioni percettive che esso comporta. Un viaggio nelle profondità […]

Giulio Saverio Rossi, ITEM (videogame) #3, 2021, installation view, CAR DRDE, Bologna
Giulio Saverio Rossi, Prima di un’immagine dopo di un quadro, exhibition view, CAR DRDE, Bologna

Per la nuova personale Prima di un’immagine dopo di un quadro, organizzata da CAR DRDE a Bologna – a pochi giorni dall’inaugurazione di Art City 2021 – Giulio Saverio Rossi presenta una serie di lavori inediti che riflettono sul linguaggio stesso della sua prassi e sulle implicazioni percettive che esso comporta. Un viaggio nelle profondità dello sguardo capace di rovesciare la stessa pratica pittorica, sfondando i confini della tela e arrivando a chiedersi che cosa si situa “prima di un’immagine”. Abbiamo incontrato l’artista per farci raccontare le riflessioni che si celano dietro la realizzazione di queste ultime opere.

Antongiulio Vergine: Partiamo dal titolo: perché Prima di un’immagine dopo di un quadro (in rapporto sia alla mostra che all’opera dalla quale prende il nome)?

Giulio Saverio Rossi: Il titolo ha una funzione importante e sviluppa due declinazioni diverse: la prima come opera e la seconda come mostra.
Prima di un’immagine dopo di un quadro è un dipinto di grandi dimensioni che rappresenta un’immagine mnemonica di un raggio di luce che impattando sulla mia pupilla, tramite le palpebre appena socchiuse e le ciglia che lo frastagliavano, generava una scissione dei colori dello spettro visivo proiettando il tutto in uno spazio indefinibile, fra me, la mia retina e la mia memoria. Come in diversi altri miei lavori, qui il titolo sottolinea una scansione temporale, e al contempo l’azione che al suo interno si sviluppa, cioè la pittura come tentativo di disseppellimento dell’immagine mnemonica.
In Prima di un’immagine dopo di un quadro, declinato come titolo della mostra, non si tratta di rappresentare l’interno delle mie palpebre – come di fatto avviene nel quadro – quanto di estendere la loro condizione liminale all’esperienza stessa della pittura e della sua fruizione nel perimetro dello spazio espositivo. Il titolo diventa così una possibile risposta ad una domanda implicita: dove si posiziona la pittura se non prima di un’immagine ma dopo di un quadro?
Il titolo rimette in primo piano l’esperienza di una pulsione scopica che tenta di disinnescare il paradigma della vista come strumento epistemologico del sapere – che ha dominato la visione occidentale – e al contempo propone uno statuto ibrido per la pittura che non coincide né con l’immagine, né col suo essere quadro.

A. V.: Le connessioni tra luce e pittura, e tra pittura e new-media, sono state spesso oggetto di riflessione. Eppure le tue opere sembrano affrontare la questione da una prospettiva diversa, specie per quanto riguarda la serie ITEM (2021). Potresti raccontarci qualcosa circa quest’ultimo gruppo di lavori?  

G. S. R.: Ogni dipinto della serie ITEM presenta un’arma che, sospesa in aria, fluttua girando su se stessa di fronte a un paesaggio. Sono immagini prese da videogiochi, all’interno dei quali agiscono come dei momenti morti rispetto all’azione del personaggio; sono delle sospensioni della trama narrativa che però implicano una scelta al giocatore presentandosi come oggetti del desiderio.
Nei tre lavori di questa serie presenti in mostra, le pistole fluttuano su diversi tipi di paesaggio che rimandano alla tradizione della pittura di genere, ritrovando così, all’interno del videogioco, le categorie del notturno, del pittoresco e dell’esotico.
Credo che sia questo ciò che sottolinei parlando del mio approccio: non sono interessato a ridipingere delle immagini di videogame per enfatizzarne e assecondarne l’estetica digitale, ma sono interessato a sottolineare tramite la pittura quella che definirei trasmigrazione di immaginari. Un genere pittorico, non più storicamente sostenibile in pittura, trasmigra e diventa uno sfondo in un videogame: la pittura allora può intervenire riconducendo al proprio interno l’immagine del videogame che, impossibilitata dall’essere un quadro di genere, ne diviene una pantomima.
All’interno della mostra, la serie ITEM introduce un carattere dichiaratamente violento, non solo per la presenza delle pistole in sé, ma in quanto l’elemento del riflesso sulle pistole e nella vegetazione è il vero soggetto di questa serie, e il riflesso è un accumulo di luce che ci rende impossibile il guardare l’immagine, cioè ci acceca.

Giulio Saverio Rossi, ITEM (videogame) #2, 2021, CAR DRDE, Bologna
Giulio Saverio Rossi, Prima di un’immagine dopo di un quadro, exhibition view, CAR DRDE, Bologna

A. V.: La tua ricerca sembra collocarsi in una dimensione intermedia tra la natura analogica del medium (la pittura, l’oggetto-quadro) e quella (effimera) dell’immagine digitale cui spesso fa riferimento – condizione che ritrovo anche nello stesso linguaggio pittorico, a metà strada tra Informale e figuratività. A tal proposito ti chiedo: cosa vuol dire fare pittura oggi, agli albori di questo terzo millennio che sembra prediligere sempre di più i tratti del fugace e dell’immateriale?

G. S. R.: Fare pittura significa prendere posizione, continuare a farla nel terzo millennio significa tentare di mantenerla.
Si tratta di situazioni del tutto sperimentali: possiamo ritenere che un’immagine digitale sia potenzialmente eterna, poi però possono andare a fuoco i server (come accaduto recentemente in Francia) e l’immagine non appare più così eterna ma viene ricondotta ad una sua presenza fisica, sebbene dislocata. La concezione espressa nel titolo della mostra è che la pittura si situi come momento di sovrapposizione fra due regimi scopici diversi, quello dell’immagine e quello del quadro (intendendo l’aspetto materiale del medium pittorico) che coincidono virtualmente per un istante. Informale, figurativo, astratto, sono punti di vista che non divergono più fra di loro, ma sono compresenti all’interno dello stesso quadro e nel vocabolario di ciascun artista, perché in gioco non c’è più una certa visione che si poteva tradurre in una determinata rappresentazione contrapponendosi così ad un’altra, quanto il ruolo stesso della facoltà immaginativa. 

A. V.: Non è la prima volta che ricorri al dialogo tra scultura/installazione e pittura – penso all’opera L’esercizio dell’ombra (2018) e a quelle che costituivano la personale No Subject del 2017 presso LocaleDue (sempre a Bologna). Nell’ambito di Prima di un’immagine dopo di un quadro, come si inserisce invece Farsi un fuoco (2021)?

G. S. R.: Si tratta, in tutti e tre i casi, di elementi tridimensionali che mantengono una relazione che potrei definire indessicale nei confronti della pittura. Non sono interventi di pittura espansa, ma sono interventi di pittura rientrante, cioè elementi tridimensionali che non si espandono dalla tela allo spazio (per dichiarare l’insufficienza del formato quadro), ma, all’opposto, vorrebbero corrugare lo spazio, rimpicciolendolo e riportandolo al quadro.
Le panchine esposte in No Subject erano concepite come dispositivi ottici che, gestendo il corpo del fruitore, ne orientavano lo sguardo verso i quadri. Nel caso di Farsi un fuoco, la contrazione dello spazio è ancora più palese, si tratta di segmenti lunghi e stretti che creano un paesaggio costituito da una fiamma gialla, rossa, ocra e marrone, sviluppandolo in tutto il corridoio della galleria e collegando fisicamente un quadro all’altro. Sono opere indessicali nei confronti della pittura in quanto realizzate dipingendo ad olio i tubi in cartone attorno ai quali vengono arrotolate le tele che si comprano. La scelta di questo materiale è perciò la scelta di un dialogo temporale con tutte le tele che ho realizzato in precedenza, e che all’inizio erano avvolte attorno a questo cartone; inoltre, essendo dei tubi sezionati a metà, hanno una struttura convessa che crea una specularità rispetto al nostro bulbo oculare e sottolineano così l’idea dell’immagine del fuoco sia come esperienza visiva, che da Platone in poi ha accompagnato il nostro modo di concepire la vista, che come esperienza all’origine della tecnica – il titolo dell’opera è infatti una citazione dell’omonimo racconto di Jack London in cui l’impossibilità di farsi un fuoco determina la morte del protagonista per congelamento.

A. V.: Per concludere: nel testo critico che accompagna la mostra, firmato da Davide Ferri, si dice che la tua pittura “è volutamente ‘non stilistica’”. Cosa intendi dire? 

G. S. R.: Sono molto contento del testo di Davide che, non solo introduce alla mostra, ma, come dici tu, accompagna, perché è un testo riflessivo, dialogico nella sua natura, che contiene al suo interno una serie di considerazioni molto interessanti, fra cui quella sulla mia auto-definizione di pittura non stilistica, attorno alla quale Davide si propone di altro avviso rispetto al mio.
Da un certo punto di vista, riconosco che il mio lavoro costituisce una profonda unità stilistica, tant’è vero che molti dei lavori che ho realizzato finalizzavano idee concepite spesso anni prima. La serie ITEM si basa su un gruppo di immagini che avevo archiviato nel 2017, e sulle quali sono tornato molte volte con il pensiero, prima di sentire di poterle disseppellire tramite la pittura; il quadro che da il titolo alla mostra rappresenta un’immagine mnemonica di una giornata del dicembre 2019 e che in precedenza avevo tentato a rappresentare senza riuscirci pienamente, mentre Farsi un fuoco, porta avanti in una nuova forma una serie di opere dedicate alle fiamme che ho iniziato a partire dal 2019. Ma quello che intendo con “pittura non stilistica” non è l’idea di mancanza di autorialità o di metodologia, ma che la vera unità del mio lavoro è da trovarsi non nel dato visivo in quanto tale, ma in ciò che lo sostiene, e che questo può generare, visivamente, risultati distanti ed eterogenei. Esasperando questo, potrei direi che la mia riconoscibilità si situa nell’allontanamento volontario da me stesso, in un tentativo incessante di forzare il mio linguaggio pittorico verso un’ulteriore parola non detta e perciò non riconoscibile o almeno non ancora conosciuta. 

Dal 20 aprile 2021 al 19 giugno 2021

Giulio Saverio Rossi, Prima di un’immagine dopo di un quadro, exhibition view, CAR DRDE, Bologna
Giulio Saverio Rossi, Prima di un’immagine dopo di un quadro, installation view, CAR DRDE, Bologna