L’arte riserva sempre delle gradite sorprese: è il caso di questa personale di Michele Lombardelli alla Galleria Arrivada di Milano.
Con Fluo, progetto a cura di Samuele Menin, l’artista presenta uno scarto rispetto alla sua ricerca precedente, sviluppando in una direzione inedita le premesse già intraviste lo scorso anno alla Galleria A+B di Brescia dove aveva affrontato la grande dimensione.
La sperimentazione di nuove tecniche e le composizioni di forme geometriche anomale figlie di un segno-matrice rappresentato da una scultura in ceramica è qui riproposta come una sorta di trait-d’union con i lavori – tutti del 2019 – esposti in questa occasione.
Le tensioni caratteristiche della pittura di Lombardelli, precedentemente risolte all’interno dei confini del quadro e trattenute a uno stadio preformale reso con gamme sobrie in una dimensione di intimità, emergono qui con forza per dare origine a forme decise, a ritmiche campiture lineari ma anche a segni liberi, in un movimento estroverso che si espande con colori brillanti prendendo possesso dello spazio espositivo che si fa esso stesso pittura.
Un’invasione ambientale caratterizzata da un’assoluta libertà esecutiva, cromatica e tecnica: i lavori realizzati con i media più vari – tempera, stampa, smalto, ceramica, ceramica – e supporti diversi – tela, tavola, moquette – non sono seriali, ognuno è diverso, e la differenza si apre al dialogo per affinità come in una jam session foriera di improvvisazioni imprevedibili.
L’omaggio all’astrattismo geometrico rivisto cromaticamente sotto la luce acida degli anni novanta a cui fa riferimento il titolo Fluo – il romanzo cult di Isabella Santacroce del 1995 che racconta le notti della riviera romagnola che Lombardelli ha vissuto – sono solo un pretesto per sperimentare con forma e colore, riformulando e moltiplicando gli elementi in nuove configurazioni che affermano se stesse come presenze autonome.