Un luogo sacro, un manifesto per immagini o uno scrigno di ricordi. Il piccolo spazio di Quartz Studio racchiude tutte queste dimensioni nella mostra personale di Delaine Le Bas (Regno Unito, 1965) intitolata La morte della pizia, visitabile fino all’11 gennaio 2025. L’artista finalista al Turner Prize 2024 torna a Torino all’apice della carriera e porta con sé le esperienze maturate negli ultimi anni in una mostra intensa dal respiro internazionale.
In occasione dell’apertura, lo scorso 29 ottobre, Le Bas ha vestito i panni della sacerdotessa greca Pannychis XI per coinvolgere il pubblico in un rituale pagano contemporaneo. Coperta da una lunga tonaca e da una maschera di paiette iridescenti, l’artista ha recitato un componimento di sua creazione a metà tra una profezia, una poesia e un manifesto femminista. “WE / THE PYTHIA’S / SPEAK AGAIN / BUT LIKE NERO / WILL THEY CONSUME US WITH FLAMES / TO SILENCE VOICES / THAT WILL TRAVEL / BEYOND THIS TIME”, i versi enigmatici pronunciati dall’artista così come il suo potente immaginario visivo si spostano dal mito al presente per invitarci a riflettere sul valore della verità in un mondo contemporaneo dominato dal caos.
L’installazione ideata per lo spazio torinese riflette l’aspirazione di Le Bas verso la creazione di opere d’arte totali, in cui pittura, scultura e performance si uniscono per formare un’unica architettura narrativa. Ben visibili già dalla strada, due lunghi tessuti di organza ridisegnano lo spazio, creando la percezione di un labirinto dove a ogni angolo si rivelano elementi nuovi e inaspettati. Al suo interno Le Bas ha inserito opere dipinte, ricamate e assemblate in tessuto, tutte decorate dalle immagini vivaci che la contraddistinguono, tra le quali spiccano i suoi cavalli, i teschi e i cuori scarlatti.
Ogni soggetto è un collage di pezzi anatomici, architettonici e animali, assemblati in maniera casuale dall’artista insieme ai suoi più intimi collaboratori attraverso il gioco surrealista del cadavre exquis. Allo stesso modo, Le Bas concepisce anche le proprie mostre come dei “cadaveri squisiti”, incorporando di volta in volta opere storiche e più recenti, insieme a nuove creazioni che vanno a incrementare il suo ricco repertorio simbolico. In questo caso il tassello inedito è una piccola scultura in tessuto con la testa di cavallo e gambe umane.
Dipinte su teli di organza lunghi tre metri, due figure statutarie e solenni, simili ad antiche cariatidi, dominano lo spazio quasi a sostenere l’architettura stessa con la loro compatta presenza. I loro corpi simili a bambole assemblate in un gioco infantile, uniscono ritagli umani e animali, squame e teste femminili ornate da piccoli fiori. I volti sono mascherati da passamontagna rosa che lasciano intravedere solo occhi e bocca in un’espressione a metà tra l’estasi e il delirio.
Nella sua pratica femminista, Delaine Le Bas si è a lungo occupata di straordinarie figure femminili come dee, visionarie e streghe, le cui vite sono state soppresse o dimenticate. In questa tradizione si inserisce la storia della Pizia Pannychis XI – protagonista del racconto di Friedrich Dürrenmatt “La morte della Pizia” che dà il titolo alla mostra – la sacerdotessa di Delfi che, stanca della vuota credulità dei suoi devoti, decise di prendersi gioco di loro e di dispensare oracoli fittizi, gettando così l’intera Grecia nel caos.
Il segreto di Delaine Le Bas risiede nella sua capacità di raccontare tante storie in una. Così, restituendo voce al singolo personaggio, mette in scena il proprio vissuto personale, le vicende della comunità Rom a cui appartiene, insieme a quelle di tutte le donne e le soggettività escluse e marginalizzate.
In questo gioco di ruoli, Le Bas è regista e attrice protagonista ma riesce a coinvolgere anche gli spettatori, spingendoli a porsi interrogativi che vanno al di là della semplice contemplazione.
Così come la sacerdotessa di Delfi, Delaine Le Bas dispensa oracoli che mettono in crisi l’ordine della civiltà occidentale. Quanto la ricerca di verità personali ci difende dall’insensatezza del nostro agire? Questo sembra essere il grande enigma che ci pone l’artista, lasciandoci cercare nel caos la risposta alla nostra domanda.