Confine.
Linea costituita naturalmente o artificialmente a delimitare l’estensione di un territorio o di una proprietà, o la sovranità di uno stato, questo recita il lemma corrispondente nel vocabolario.
Confine.
Una linea di demarcazione nata per delineare arbitrariamente la divisione tra appartenenze differenti.
Confine.
Un segno intangibile che determina le differenze fra popoli, la loro lontananza, la frammentazione coatta tra lingue, culture, strutture sociali, che si sviluppano diramandosi distanti l’un l’altra come un’edera rigogliosa.
Confine, il segno totalmente tangibile della frattura della terra, della spaccatura di quel mappamondo che l’artista Filippo Berta percorre, in lungo e in largo, per tracciare il percorso di quei confini fatti di filo spinato, che ancora oggi dividono i popoli. One by One, il nuovo progetto a cura di Giorgià Calò e Francesca Ceccherini, che Berta presente negli spazi della Nomas Foundaiton a Roma, è la litania dolorosa di un rosario dedicato, quello che l’artista invita a recitare per diversi minuti agli abitanti delle terre fra Ungheria e Serbia, Slovenia e Croazia, Turchia, Grecia, Macedonia del Nord, Bulgaria, Stati Umiti d’America e Messico. Si tratta di confini di costruzione recente – a partire dagli anni Dieci del Duemila – eppure riconducono indietro verso un’ancestrale problematica che attanaglia tutti i Paesi del mondo.
Un’azione collettiva che si traduce in un canto corale, fatto della ripetizione di una preghiera laica, in cui la reiterata azione di scambiare i grani tra le dita, viene sostituita dal gesto di contare le spine che compongono il filo spinato utilizzato per ben definire un territorio dall’altro. Spine che vengono piegate nel simbolo dell’otto rovesciato, quell’infinito che sta a testimoniare quel susseguirsi della stessa dinamica senza soluzione di continuità. Una serie di storie e di drammi quelle scritte in ognuna di questi tasselli taglienti, in grado di ferire e fisicamente e psicologicamente. Seppur vissute in contesti diversi, finiscono per accumunare quegli uomini e quelle donne che le hanno subite e che tutt’ora ne subiscono le conseguenze.
La ferita condivisa si traduce nel corridoio decorato con le mani di tutti i partecipanti che accompagna il visitatore fino al video multicanale realizzato proprio per questo progetto.
Nella performance toccante di Berta gli abitanti sono portati a contare il numero di spine per ciascun perimetro, una ad una, Berta si scontra faccia a faccia con la definizione stessa di impedimento, che separa i destini dei popoli. Nella proiezione, questi individui apparentemente slegati e distanti fra loro nelle dimensioni di spazio e di tempo, si trovano insieme a riscrivere una vicinanza collettiva nei video che si incontrano in una narrazione che somiglia ad un antico rituale. Al di qua del filo spinato si è esclusi da ciò che accade dall’altra parte, così come al di là si costituisce l’azione di esclusione verso l’altro.
Dall’ingresso in mostra una busta viene affidata al visitatore sino all’uscita dagli spazi espositivi: al suo interno Berta lascia una spina, traccia indelebile che faccia anche da monito a non ergere nuovi muri, a non dover abbattere nuove linee immaginarie che l’uomo costruisce ogni giorno con le azioni e con i pensieri, restituendo un mondo frammentato che fa fatica a riconciliarsi con sé stesso. Non resta che pregare e continuare quella litania su quel rosario fatto di spine, aspettando che possa dirsi finalmente concluso.
Il progetto One by One è stato realizzato grazie alla cooperazione e collaborazione di centinaia di persone residenti nei paesi attraversati che hanno creduto e condiviso la visione del progetto. Un ringraziamento speciale va ad enti, associazioni, fondazioni, collettivi, operatori culturali, insieme agli abitanti e ai performer, senza i quali l’intera produzione non sarebbe stata possibile. Premiato alla quinta edizione dell’Italian Council – il programma di promozione internazionale dell’arte italiana voluto dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura – il progetto è stato realizzato in partnership con l’Unità di Ricerca Aestetics in the Social, DiSSE dell’Università “La Sapienza” di Roma.
Fino al 29 ottobre 2021, Nomas Foundation, Viale Somalia 33 – Roma