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La “febbre” di Beatrice Meoni | Galleria Cardelli & Fontana, Sarzana

E’ in corso fino al 3 settembre, alla galleria Cardelli & Fontana di Sarzana, Febbre la mostra personale di Beatrice Meoni. L’artista presenta la sua recente produzione, un corpus di lavori che hanno come filo conduttore il fenomeno del tarantismo, che nell’intersezionalità dei suoi significati le dà la possibilità di sfiorare e percorrere una trama […]

Beatrice Meoni, Frantumaglia 2,2023, olio su tavola 35×45 cm. Courtesy Cardelli & Fontana
Beatrice Meoni, Installation view, Febbre, 2023, courtesy Cardelli & Fontana

E’ in corso fino al 3 settembre, alla galleria Cardelli & Fontana di Sarzana, Febbre la mostra personale di Beatrice Meoni. L’artista presenta la sua recente produzione, un corpus di lavori che hanno come filo conduttore il fenomeno del tarantismo, che nell’intersezionalità dei suoi significati le dà la possibilità di sfiorare e percorrere una trama intricata di legami con la natura, con gli insetti, con i corpi, con la magia, con i riti collettivi, con le tradizioni popolari e con la danza. Si tratta di opere che segnano in modo più netto quella graduale evoluzione che sta investendo la sua pratica.

Pubblichiamo il testo di Simona Squadrito che accompagna la mostra Febbre di Beatrice Meoni.

Febbre

Con la mostra Febbre Beatrice Meoni presenta la sua recente produzione, un corpus di lavori che hanno come filo conduttore il fenomeno del tarantismo, che nell’intersezionalità dei suoi significati le dà la possibilità di sfiorare e percorrere una trama intricata di legami con la  natura, con gli insetti, con i corpi, con la magia, con i riti collettivi, con le tradizioni popolari e con la danza. Si tratta di opere che segnano in modo più netto quella graduale evoluzione che sta  investendo la sua pratica.  La taranta non è infatti un pretesto, ma è più che altro un tema capace di far convergere diverse riflessioni e che le consente di organizzare il  materiale emotivo, poetico, formale e spirituale. 
Basta osservare la sua passata produzione per accorgersi che le opere presentate in questa occasione sono l’effettivo principio di una nuova ricerca, di un nuovo codice linguistico e rappresentano la scoperta di inedite soluzioni. 
Sono dipinti che testimoniano l’emersione di una nuova sensibilità contrassegnata dal coraggio di mostrare qualcosa in più che prima restava celato e veniva rimosso dal quadro, mentre ora appare in modo prepotente.  Alla stregua delle tarantolate che una sola volta all’anno agivano fuori dall’ordine costituito, esprimendo in modo selvaggio, compulsivo e isterico le proprie angosce, Beatrice sconvolge l’ordine del suo linguaggio pittorico (quello a cui ci ha abituati), per mostrare ciò che prima rimaneva sotterrato.
E’ come se l’artista vedesse una connessione  tra il fenomeno della taranta e la pittura. Se infatti con  il termine  “tarantismo” si  vuole indicare  sia la malattia che  la cura, in modo simile per  Beatrice la  pratica pittorica è al contempo malattia e cura.  Questi dipinti ritraggono tutto il suo mondo, svelandolo nella sua apparente caoticità.  Non sono, infatti, solo delle rappresentazioni di oggetti, ma dipinti-confessione, autoritratti dell’artista in forma di composizioni di piccole cose che popolano in modo sempre più prepotente la dimensione del quadro. 
Sono oggetti e immagini cerniera tra il dentro e il fuori, che provengono dal passato e dal presente,  dalle parole, dai ricordi, dai desideri, dalle cose e dai corpi.

Beatrice Meoni, Installation view, Febbre, 2023, courtesy Cardelli & Fontana

Beatrice non si rivolge solo ai simboli, agli oggetti sacri che provengono dalla tradizione iconografica e popolare, ma risignifica anche gli aspetti più banali del quotidiano.  
Piccoli souvenir, scarpe, bucce di banana, attrezzi da cucina,  ritagli di giornale, libri, appunti e  bambole di carta  trovano una loro dimensione e una loro voce.  Si fa strada una metafisica del reale, dove la pittura è interpretazione e emersione dell’esperienza personale e collettiva, che si dà nella sua dimensione fisica, psicologica e spirituale.
E così come accade con il segno, gli elementi dipinti migrano da una dimensione a un’altra, dal fuori al dentro del dipinto e viceversa. In questa nuova affollata dimensione pittorica che esalta soprattutto l’oggetto, anche il corpo acquisisce una dimensione più carnale e fisica.  Le figure dipinte, “le tarantolate” prendono spessore e volume, sono corpi scossi, contorti, febbricitanti, tremuli  di una possessione e che infuoca la pelle. 

Questi soggetti/oggetti convivono tra loro in un piano totale dell’immagine e, aggiunge Beatrice: “sono parte integrante della visione anche perché spostano il tempo e lo spazio”, lo spostano avvicinandolo. 
Il tempo e lo spazio vengono compressi in un solo momento, nell’istante di un’unica visione: nello spazio entropico e centripeto del tavolo da lavoro, nelle pareti affollate del suo studio o in un corpo disteso. L’hic et nunc di una vita circoscritta e contingente si concretizza in una modalità di indagine che afferma un’intuizione sul significato dell’esistenza umana, che proprio nel suo darsi, testimonia la permanenza di quei riti, di quei simboli e di quegli archetipi collettivi, che in queste superfici pittoriche entrano in un’armonica collisione con la dimensione personale, domestica, privata e intima dell’artista. 
Queste composizioni, come insiste Beatrice: “stanno in una sorta di stretta relazione con uno sguardo centripeto in cui tutte le forze dello spazio pittorico ruotano intorno all’oggetto a ritrarre le singole angolazioni, sfaccettature.” In questi “ambienti” gli elementi assolvono contemporaneamente a diverse funzioni: sono accenti che danno ritmo e dinamicità al quadro, reminiscenze, appunti visivi e figure di sostituzione. 
Le idee diventano “cose” espresse dalle linee, dai  suoi innumerevoli  movimenti:  densi, pulsanti e leggibili man mano che l’immaginazione dell’artista lavora e avanza, dipinto dopo dipinto.    
Gli elementi sobbalzano, scivolano, si interrompono in un ritmico accarezzamento delle forme. I segni, a volte nervosi e capricciosi, stanno in equilibrio in un universo caotico all’interno di un cielo sereno e privo di nuvole.   Composti dalla stessa materia pittorica, i corpi e gli oggetti presenti all’interno della dimensione  spazio-temporale del dipinto stanno in una concentrazione dinamica  con  ciò che li circonda. 

Beatrice Meoni, Installation view, Febbre, 2023, courtesy Cardelli & Fontana
Beatrice Meoni, senza titolo, 2023, olio su tavola 120×152 cm. Courtesy Cardelli & Fontana

La forma ricorrente dei piedi o delle scarpe può navigare ad esempio alla deriva come una barca abbandonata in mezzo al mare e via via scomparire oltre i limiti del quadro, oppure può lottare violentemente per uscire dalla sua dimensione affollata e claustrofobica. L’esperienza di Beatrice si cristallizza attraverso la lettura dei suoi lavori, che  estendono gli aspetti più seri della tradizione pittorica, popolare e religiosa in una visione organica e personale orchestrata da un’immaginazione che anima la sua mano e il suo corpo in una danza che si consuma tra le pareti del suo studio e che trova il palcoscenico  intimo e   più esposto nella superficie del quadro. 
Non si tratta solo della ricerca e della manifestazione dei costrutti sociali, ancestrali e pulsionali che animano l’immaginario umano, ma soprattutto dell’espressione diretta di sé.
I molteplici spostamenti di distanza, di direzione, di ritmo, di clima emotivo che percepiamo, sono indizi di una molteplicità di significati proiettati e introiettati della sua immaginazione operante.  
Nel ciclo pittorico esposto in Febbre, il fenomeno del tarantismo è introiettato dall’artista, i dipinti sono composti da due livelli: quello formale e narrativo e quello inconscio e onirico.  Beatrice si cala in un’altra realtà usando i mezzi della pittura, recuperando quello che sta dietro di essa. Si tratta di una realtà arcaica, mitica, religiosa, irregolare e visionaria. Parlandoci della taranta vuole rappresentare la realtà nella sua forma originale e primordiale. 
La taranta, infatti, non viene intesa come una favola, come un retaggio antico del nostro passato contadino, ma nel suo aspetto rituale-mitico, ovvero come produzione stessa della realtà. Questa riflessione sul rito le serve per ritrovare una visione autentica delle cose, le credenze di un’intera comunità. Il senso del rito è infatti qualcosa di concreto, non solo simbolico, è un contatto vero che avviene nel momento di esaltazione collettiva: nelle litanie, nei canti, nelle preghiere, nelle danze, laddove si sperimenta l’unione con gli altri, con gli  antenati e con la tradizione.
Nella tragica e pur consolante consapevolezza di essere parte di un’unica narrazione, Beatrice tesse come un ragno la tela della propria vicenda personale all’interno di una tradizione secolare, che non arriva fino a noi  intatta e pura,  ma  contaminata dallo spirito del nostro tempo.
Febbre, dice Beatrice Meoni, come quella che scuote i corpi delle donne pugliesi  morse dalla taranta, come quella che muove il pittore nel suo fare, il pittore per il quale la pittura è autenticamente un modo di vivere.

Beatrice Meoni, Installation view, Febbre, 2023, courtesy Cardelli & Fontana