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La ninfa Calipso, che tenne prigioniero Ulisse nell’isola di Ogigia per lunghi anni, non abita più lì: vive, secolarizzata, come immaginaria custode – e maîtresse – dell’omonimo night club che Cleo Fariselli ha creato come teatro della sua personale alla galleria Clima di Milano.
Colei che nasconde – questo il significato etimologico del nome della divinità greca – manifesta il mistero femminino e il desiderio di escapismo in una dimensione visionaria che ottunde e ovatta la percezione del reale.
La mostra è un invito a seguire l’artista all’interno di un ambiente illusorio, lasciandosi condurre e “ascoltando con gli occhi” – come scrive Fariselli nel testo-guida al percorso – quindi sospendendo l’abitudine, il pregiudizio e l’approccio razionale per condividere l’esperienza estetica dell’incontro con le presenze fantasmatiche che abitano il suo immaginario. Il sentiero è tracciato dalle parole del racconto onirico e dalle note di un brano musicale, composizione originale di Federico Chiari e Patrizio Fariselli, dall’omonimo titolo e dall’omonimo genere – calipso, appunto, portato al successo sul finire degli anni cinquanta – che mescola influenze caraibiche a sonorità jazz e orchestrali.
Tre stanze dense di presenze: la prima è affollata da numerose teste poste su alti plinti. Non si tratta di ritratti ma di fisionomie in divenire, prive di occhi e di bocche, dalle quali emergono dita, forse quelle della stessa artista che le ha plasmate. È come se la materia contenesse a priori la sua forma che solo la mano dell’artefice può liberare nell’opera, con grande virtuosismo plastico, riuscendo a imprimere nella presa rapida del gesso effigi che contengono potenzialmente tutti i volti possibili. Accanto a queste, nelle quali sembra predominare l’impeto, nella seconda stanza, altre sculture: vasi concavi, raffinatissimi, offrono alla vista le loro cavità, dove sono impresse tracce di mani. Sono metafore del femminile alle quali fanno da contraltare due ovali irregolari, a muro, che rimandano a vulve o anche a specchi ciechi con le loro barocche cornici. La terza stanza è quasi un boudoir, la cui semioscurità è illuminata dai bagliori di una mirror-ball. Le finestre sono schermate da pesanti tende ornate con pendagli a forma di teste, che fanno eco a quella posta al centro dell’ambiente, su un piedistallo: cranio cavo con un foro sulla nuca dal quale si può guardare voyeuristicamente all’interno, e, attraverso i fori delle orbite vuote, la stanza. È un oracolo che si consulta guardando e che pone chi osserva in bilico tra due mondi, uno nitido e l’altro nebuloso (Fariselli): sta allo spettatore scegliere quale via d’uscita prendere per liberarsi dalla malìa della dea e terminare così il fantastico viaggio.
Fino al 21 gennaio 2017