Quanto è complesso e difficile cogliere l’attuale natura in divenire dell’Europa come comunità? Molteplici visioni fotografiche raccontano questa identità inquieta al Festival di Fotografia Europea di Reggio Emilia, diretto per questa XVIII edizione da Tim Clark (editor 1000 Worlds & curator Photo London Discovery), Walter Guadagnini (storico della fotografia e direttore di CAMERA a Torino) e Luce Lebart (storica della fotografia, co-autrice di Une histoire mondiale des femmes photographes, curatrice e ricercatrice sia per la Collezione dell’Archive of Modern Conflict che indipendente).
Il cuore del Festival restano i Chiostri di San Pietro. Qui la rassegna si apre con la mostra The Island di Mónica de Miranda, artista e ricercatrice portoghese di origine angolana, fodatrice del progetto Hangar a Lisbona nel 2014. De Miranda è nota per le sue indagini metafisiche postcoloniali attraverso cui mette in luce l’autonomia e la diversità delle storie e culture africane pietrificate da un sistema egemonico eurocentrico. L’autrice attraverso quest’opera evocala ‘Isola dei Neri’, con riferimento ad una comunità africana stabilitasi sulle rive del fiume Sado, in cui fantasmi coloniali portoghesi e forze geologiche antiche si intersecano. La contro-narrazione poetica di Mónica de Miranda declassa le nozioni standard di identità fondate su razza e genere. La sua prospettiva femminista nera – ampiamente estranea e difficile da capire per uno sguardo eurocentrico – valorizza le vite di uomini e donne afrodiscendenti nella società portoghese, mettendo in atto uno “sguardo antitetico” che, come indicato da bell hooks (1992), nega allo spettatore il piacere di guardare. Gli abiti di scena coloniali e militari in Whistle for the Wind alterano il concetto stesso di temporalità, lasciando aperta la porta ai fantasmi dell’Europa di fare il loro ingresso.
Jean-Marc Caimi e Valentina Piccinni in Güle Güle – che in turco significa arrivederci – lavorano sul confine tra Est e Ovest, sui cambiamenti profondi che interessano Istanbul e la società turca. Scelgono la formula del dittico fotografico per raccontare la gentrificazione, lo stato delle classi sociali più deboli, la discriminazione delle comunità LGBTQ+, l’immigrazione siriana e la problematica turca attraverso la costante messa in discussione dell’identità fissa dell’immagine. I loro scatti, realizzati in contesti e situazioni diverse, proposti in prossimità, creano un cortocircuito su un immaginario messo in crisi attraverso un contatto con quel substrato umano a cui i media dedicano spesso solo uno sguardo pietistico.
Merrie Albion & The Brexit Lexicon ci porta in un immaginario che Simon Roberts ha costruito nel corso di quindici anni, fotografando eventi e luoghi in Gran Bretagna in cui le persone si riunivano in esperienze pubbliche e comuni. Merrie Albion: landscapes studies for a small island, pubblicato nel 2017 in forma di monografia, è un progetto fotografico socio-politico che racconta il Regno Unito alla luce del trionfo nazionalista della Beexit: Brexpocalypse, Brexpulsion, Brexshitshow, Brexsick, Brexternity, Brextremist & co sono condensati in una cronaca visiva in forma di tableaux. Simon Roberts presenta al Festival di Fotografia europea 2023 anche The Brexit Lexicon, una doppia proiezione video in cui un presunto speaker televisivo legge in un gobbo i termini più comuni usati nelle discussioni sulla Brexit, in un dialogo pieno di intoppi nella lettura degli stessi.
The Archive of Public Protest è un collettivo fondato nel 2019 da Rafael Milach, insieme ad altri fotografi e scrittori, per documentare le proteste post 2015 in Polonia. A-P-P si allontana dai canoni del fotogiornalismo per privilegiare la partecipazione quale naturale evoluzione dell’attività giornalistica, ed anche per prolungare la vita delle immagini oltre la pubblicazione sulla stampa, affinché il monito contro xenofobia, omofobia, misoginia e crisi climatica sopravviva alla parentesi breve dell’attenzione mediatica.
Alessia Rollo con Parallel Eyes crea un apparato evocativo del patrimonio rituale tuttora vivente nel Sud Italia, prendendo le distanze da una spinta neo-realista – informata da spedizioni tra etnografia, antropologia, fotografia e politica, destinate a segnare l’immaginario del meridione – attraverso manipolazioni espressive e festose, che vogliono sfuggire lo stereotipo.
Geoffrey Mathieu in L’or Des Ruines ripropone l’immaginario wardiano dei raccoglitori di piante selvatiche, aromatiche o medicinali e nella narrazione di queste economie, informato sia dalle ricerche di Flaminia Paddeu che di Lowenhapt Tsing, propone anche trittici apribili come frutti, rivelando la possibilità di immaginare nuovi modi di vivere collettivamente.
Samuel Gratacap ci porta, invece, con Bilateral nel territorio alpino italo-francese, interessato da movimenti di migrazione. Gratacap propone un’installazione “ad ostacoli”, attraverso cui suggerisce le tracce degli esiliati nelle Alpi, prendendo le distanze e della fotografia di fotoreportage, anche in un clima di sfiducia verso i media.
La reputazione di Odesa quale città libera durante l’epoca sovietica guida Yelena Yemchuk nel dare un contesto più ampio alle vite di quei ragazzi e ragazze dell’accademia militare di Odesa che combattevano contro l’invasione russa della Crimea nel 2014-15, in un’ode alla città che l’autrice porta avanti dal 2019.
Infine Cédrine Scheidig mette in dialogo le due serie “It is Blessing to be the Color of Earth” (2020) e “Les mornes, le feu” (2022- in corso), rivelando le connessioni tra la diaspora afro-caraibica nella periferia parigina e la vita a Fort-de-France in Martinica, per mezzo di una fotografia non documentaria, bensì poetica ed emozionale, volta a “normalizzare la diaspora… e radicarla in fotografie”.
Le politiche di inclusione ed esclusione sono uno degli aspetti su cui questa selezione focale del Festival posa la sua attenzione, riflessi che ritroviamo anche nei progetti ai Chiostri di San Domenico Protege Noctem di Mattia Balsamini, Grande Padre di Camilla de Maffei e in quello di Miriam Meloni.
Tra le mostra partner del Festival, oltre all’appuntamento classico che Reggio Emilia dedica al fotografo Luigi Ghirri – per il 2023 si tratta di Un piede nell’Eden.Luigi Ghirri e altri sguardi. Giardini in Europa e l’architettura degli alberi a cura di Ilaria Campioli – nel Palazzo dei Musei si trova anche la mostra Giovane Fotografia Italiana, curata da Ilaria Campioli e Daniele De Luigi. La mostra presenta i progetti di sette artistǝ: Eleonora Agostini, Andrea Camiolo, Sofiya Chotyrbok, Davide Degano, Carlo Lombardi, Giulia Mangione ed Eleonora Paciullo. Vincitrice di questa edizione della open call è Giulia Mangione con la serie di fotografie The Fall, che guarda ai miti popolari attorno al tema dell’Apocalisse e alle teorie del complotto ad esse associate. L’indagine condotta da Giulia Mangione è stata sviluppata tra La Palma nelle Isole Canarie, gli Stati Uniti e l’isola greca di Patmos. Un’audio accompagna le immagini della serie, combinando fotografia documentaria e finzione “per riflettere sulle paure collettive della società”.
FOTOGRAFIA EUROPEA 2023
“EUROPE MATTERS: VISIONI DI UN’IDENTITÀ INQUIETA”
Reggio Emilia, sedi varie
28.04-11.06.2023