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Epifania dell’orizzonte. Piero Guccione | Ferrara

Un ritorno a Ferrara quello che percorre l’opera di Piero Guccione, maestro dell’azzurro al quale Fondazione Ferrara Arte dedica “Piero Guccione. Mistero in piena luce”. La mostra, a cura di Vasilij Gusella e in collaborazione con l’Archivio Piero Guccione e...

Pietro Guccione, Linee del mare, 2006 Olio su tela, cm 70 x 91 Collezione privata © by SIAE 2022

Un ritorno a Ferrara quello che percorre l’opera di Piero Guccione, maestro dell’azzurro al quale Fondazione Ferrara Arte dedica “Piero Guccione. Mistero in piena luce”. La mostra, a cura di Vasilij Gusella e in collaborazione con l’Archivio Piero Guccione e Il Cigno Arte, si svolge al Padiglione d’Arte Contemporanea di Ferrara fino all’8 gennaio 2023 e restituisce in modo cronologico l’intera iperbole pittorica del pittore di Scicli, presentando oltre settanta opere tra dipinti e pastelli ordinate in due capitoli: gli anni a Roma e il ritorno in Sicilia.

Tra gli anni Sessanta e Novanta, la memorabile attività espositiva di Franco Farina fa di Ferrara una capitale dell’arte d’avanguardia. Palazzo dei Diamanti si fa quindi sede di grandi mostre monografiche e antologiche: è il caso di “Immagini degli anni ‘60. Poesia e verità”, una mostra-saggio che, a primavera del 1966, intende porsi come piattaforma discorsiva sui due stili per fare pittura: realismo e astrattismo. In questa occasione, Guccione espone per la prima volta nella città estense il Giardino su muro giallo. È ancora il Guccione romano, che dal 1954 lo vede vicino al gruppo della Galleria Il Pincio, vicino a Renato Guttuso, tanto da essere per anni suo assistente all’Accademia di Belle Arti di Roma, quindi vicino al gruppo Il pro e il contro. “La mia andata a Roma significava essenzialmente che volevo fare il pittore. Mi piaceva la pittura e volevo diventare pittore”, dichiarava. Lo dimostra con una produzione spuria e onnivora di temi e soggetti, dove il dipingere diventa un esercizio di sensibilità ma soprattutto di ricerca. Dalla serie dei giardini e dei cancelli, tentativo di “restituire la pienezza e la fisicità” allo sguardo sull’ordinario, segue l’interessante momento dei riflessi, nel quale il piglio naturalistico pare avvicinarsi alla cultura pop. In questo caso, Guccione si dedica alla rappresentazione di superfici riflettenti, come specchi in un interno ma soprattutto superfici brillanti di carrozzerie streamline. 

Una sinuosa portiera di una cabriolet diventa ora una finestra su un bosco notturno, dove la maniglia cromata pare una cometa, ora l’occasione per ritrarre una siepe fiorita. E il cofano di un Maggiolino diventa uno specchio fantastico per il cielo. “Ho dipinto i paesaggi riflessi sulle carrozzerie” dichiara Guccione “con la stessa naturalezza con la quale avrei dipinto qualunque paesaggio tradizionale; soltanto che in questo caso c’era il problema di rappresentare alcune materie specifiche – la lamiera, l’alluminio – dando consistenza plastica alle superfici e individuando allo stesso tempo i segni propri della natura”. 

Lo sciogliersi del gruppo Il pro e il contro, nel 1964, apre la strada a una ricca serie di successi espositivi per Guccione. Oltre alle mostre in diverse gallerie italiane, è il momento di importanti riconoscimenti internazionali che culminano con la doppia esposizione alla Biennale di Venezia del 1966 e del 1969. Nel solco di questi successi si inserisce la sua prima mostra monografica che il maestro Farina ospitò a Ferrara nell’estate del 1971, forte del supporto della galleria romana Il Gabbiano, esponendo ben centodiciassette opere nell’allora Centro per le Attività Visive. Proprio in quegli anni completava il ciclo Attese di partire, Quelli che vanno, Quelli che verranno, una serie di undici dipinti la cui eco boccioniana agli Stati d’animo adduce una rivoluzione sostanziale sul soggetto pittorico: sono infatti i primi tentativi di comprensione e rappresentazione dello spazio abitato e della sua profondità. 

Pietro Guccione, Autoritratto nel paesaggio, 1971 Olio su tela, cm 94 x 86 Bologna, collezione privata © by SIAE 2022

Ai treni di futurista memoria, Guccione preferisce raccontare l’aeroporto di Roma Fiumicino. Grandi sale d’attesa, dove il silenzio è interrotto dall’incidere della luce e dalle lunghe ombre, profili di viaggiatori senza volto, lontane code di aerei che si riflettono sulle enormi vetrate compongono un’impaginazione fortemente modernista, ma altrettanto sensibile al sapore metafisico, già ben noto a Ferrara, e altrettanto a quel silenzioso realismo all’American way di Edward Hopper. 

Dichiarerà Alberto Moravia in un suggestivo dialogo con l’artista: “Quel che mi interessa nei tuoi quadri – e che mi ha sempre interessato, dalle prime mostre che ho visto al Gabbiano, fino a quel che ho visto alla Biennale quest’anno – è il lavoro di interiorizzazione della realtà visiva che tu compi. È un tipo di interiorizzazione non espressionista. Nell’espressionismo avviene una sorta di esteriorizzazione del soggetto, invece che una interiorizzazione dell’oggetto. La tecnica espressionista fa violenza all’oggetto, lo sopraffà. Quando parlo di interiorizzazione, invece, intendo un modo di rendere dialettica la realtà. L’artista assimila il dato oggettivo al proprio vissuto: o lo esistenzializza. Questo, nella tua pittura, è molto evidente. Tu sei un figurativo, in qualche modo. Ma i luoghi della tua figurazione sono luoghi estremamente elusivi: sono luoghi – ti prego di non fraintendermi – improbabili per l’angolazione singolare che prendono. Questa singolarità è il segno, o il corrispettivo, di ciò che chiamavo interiorizzazione”.

Dal 1970, Guccione ritorna in Sicilia con la necessità nostalgica di respirare il paesaggio natio. In effetti, il rientro sull’isola inaugura un periodo della nuova soggettività, ovvero un progressivo “riannodarmi alla base della mia esistenza, alla fisicità delle radici: dunque ai luoghi dove il mio occhio e il mio cuore hanno imbastito le prime impressioni, le prime emozioni”. Questo capitolo biografico si sviluppa nell’ambiente al primo piano, che permette di immergersi in quei mari e in quei cieli che fanno di Guccione colui che, come scrive Vittorio Sgarbi, “dopo la morte di Fontana, Gnoli e Burri ha rappresentato la sintesi suprema di pittura figurativa e astratta”. In effetti, dal naturalismo del paesaggio l’artista astrae, evoca la meraviglia cantando lo spazio. E lo fa identificando l’archetipo dell’orizzonte: quel confine tra i due elementi naturali, acqua e aria, quindi mare e cielo, diventa un vero e proprio topos emotivo, ben oltre quello visivo. Non a caso, infatti, la vista non è più soddisfacente: spesso quella linea si fa labile, evanescente, arcana. Non sempre l’orizzonte è manifesto. Il cielo e il mare si fondono in un unicum azzurro, un oceano d’aria o un cielo d’acqua: un vero e proprio momento meditativo e assoluto, in questo senso profondamente spallettiano. Figurazione o astrazione? Orizzonti siciliani o interminati spazi leopardiani? Impossibile escludere alcuna opzione. Guccione disegna frammenti di poesia visiva. È un poeta dello spazio, cioè un creatore di uno spazio metafisico e lirico che evoca quell’ossessione dell’azzurro di Mallarmé. Raccontava: “Se dipingessi il mare come si dipinge il mare, se dipingessi il nero come si dipinge il nero, finirei col dipingere un quadro, mentre io vorrei che questa immagine fosse una pura emozione”. Emozione che, per citare Susan Sontag, proviamo ancora oggi.

Pietro Guccione, Studio di fiori. Vita e morte dell’Ibiscus, 1978 Pastello su cartoncino, cm 50 x 65 Collezione privata © by SIAE 2022
Pietro Guccione, Paesaggio, 1975 Olio su tela, cm 71 x 105 Ca’ la Ghironda – ModernArtMuseum © by SIAE 2022