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Enrico Baj, Plastics 1967-1969 | Giò Marconi Gallery

[nemus_slider id=”51478″] “La cravatta è la struttura minimale sulla quale mi sono focalizzato nel mio lavoro recente. La cravatta è la decorazione preferita dell’uomo moderno perché sostituisce interamente le medaglie e le decorazioni civili e militari. La cravatta è il...

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“La cravatta è la struttura minimale sulla quale mi sono focalizzato nel mio lavoro recente. La cravatta è la decorazione preferita dell’uomo moderno perché sostituisce interamente le medaglie e le decorazioni civili e militari. La cravatta è il miglior simbolo della cultura occidentale contemporanea.”

Con queste parole, nel suo libro del 1970 intitolato La Cravatte ne vaut pas une Médaille, Enrico Baj descriveva l’accessorio maschile, alla rappresentazione del quale si era dedicato in quegli anni, facendone motivo di sperimentazione e di ironica critica sociale. L’anno precedente, questo oggetto iconico fu protagonista anche di una personale allo Studio Marconi, cui questa mostra rende omaggio presentando una selezione di quindici opere dal gusto pop realizzate con materiali plastici tra il 1967 e il 1969 tra cui le cravatte – con la celeberrima La cravatta di Jackson Pollock – e alcuni collage. La cravatta – indubbio simbolo fallico – diventa il pretesto per irridere la società borghese di cui è la nuova divisa, ma anche e soprattutto una forma quasi astratta e un campo di esperimenti tecnico-stilistici con i materiali plastici, allora definiti “nuova materia” per le arti visive.

I lavori in mostra sono il culmine di una ricerca sull’uso della plastica iniziata negli anni immediatamente precedenti con la realizzazione del multiplo Punching General nel 1961 e, successivamente, con l’inserimento di mattoncini Lego e di metacrilati in alcuni lavori del 1963. Uno sperimentalismo materico che implica anche una presa di posizione polemica nei confronti del consumismo: i raffinati e complessi assemblaggi di Baj sono la scelta consapevole di un’arte del riciclo che recupera la sovrabbondanza del consumo – destinata alla rapida obsolescenza e alla veloce trasformazione in scarto – dandole nuova vita e nuovo senso. L’artista decontestualizza il kitsch borghese consolatorio e rassicurante, emblema ben confezionato di una sostanziale incultura del gusto, e lo trasforma in espressione critica autonoma, sempre attenta ai risvolti sociali.

Lo sperimentalismo di Baj è indice della sua inesauribile curiosità e libertà da ogni pregiudizio, come dimostra l’adesione nel 1957 al manifesto nucleare Contro lo stile in cui si affermaTappezzieri o pittori: bisogna scegliere […] Noi affermiamo l’irripetibilità dell’opera d’arte”. Ma i livelli di lettura dell’arte di Baj sono molteplici: del resto l’artista ha sempre voluto essere trasversale, esponente di un irrazionalismo estatico che lo ha portato ad essere protagonista vivace della scena del secondo dopoguerra. Ma Baj voleva essere anche popolare, comprensibile e avvicinabile, e in questo senso recupera una figurazione naïf, come in questi collage e assemblage – tra gli altri, Pink Period, Passeggiata a Centrale Park – o ancora nei due “monocromi” realizzati con fogli di alluminio – Monumento e Fantasma-Ghost – dagli esiti grotteschi. Qui la figurazione espressionistica, che in opere quali i Generali assume esiti deformanti, si traduce in uno stile infantile che comunque evidenzia con incisività alcuni caratteri tragicomici dell’uomo contemporaneo.

Giò Marconi Gallery –  Fino al 31 gennaio 2016.

 Enrico Bay,   Plastics 1967-1969. Courtesy Gio? Marconi,   Milano
Enrico Bay, Plastics 1967-1969. Courtesy Gio? Marconi, Milano
Enrico Bay,   Plastics 1967-1969.Courtesy Gio? Marconi,   Milano
Enrico Bay, Plastics 1967-1969.Courtesy Gio? Marconi, Milano
Enrico Baj  Passeggiata al Central Park,  1969 Collage made of various plastic materials 75 x 116 x 2,  5 cm (framed). Courtesy Gio? Marconi,   Milano
Enrico Baj Passeggiata al Central Park, 1969 Collage made of various plastic materials 75 x 116 x 2, 5 cm (framed). Courtesy Gio? Marconi, Milano