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Emma Talbot. Visions | Mucciaccia Gallery Project

La pratica di Emma Talbot parte dal disegno, dalla pittura e dall’installazione per favorire l’esplorazione di un panorama interiore che, correlandosi al pensiero e alle storie individuali, è in grado di tessere un legame stretto con gli ambiti più disparati della narrazione e dell’affettività.
Emma Talbot. Visions | Mucciaccia Project – Installazion – Courtesy Mucciaccia Gallery Project
Emma Talbot, Arcadia, 2024, acquerello su carta Khadi, 33.5 x 43 cm Courtesy Mucciaccia Gallery Project

Visions è il titolo della prima mostra di Emma Talbot (1969, Stourbridge, Regno Unito) in una galleria privata italiana. Mucciaccia Gallery Project, in via Laurina a Roma, ospita 10 dipinti su seta e 14 disegni dell’artista britannica che da qualche anno ha scelto di vivere in Italia, a Reggio Emilia. 
Nel suo testo curatoriale, significativamente intitolato “Mito, significato e una visione femminista di possibilità”, Wells Frey-Smith, curatrice del Barbican Centre, scrive: «In questi dieci nuovi dipinti su seta esposti nella mostra Visions, l’incertezza viene resa visivamente. La tipica figura senza volto di Talbot volteggia, fluttua e precipita in mezzo a terreni tempestosi e infiniti. L’opera di Talbot è piena di suggestioni di potere, ma non raffigura mai la violenza atroce e la distruzione che pervadono la vita contemporanea. Tuttavia, l’incertezza abbonda. Infatti, l’artista è ripetutamente circondata – di immagine in immagine, di seta in seta – da spirali vorticose simili a piccole tempeste che la fanno roteare. Per quanto belle possano essere, le spirali sono dei minacciosi vortici di caos, delle tempeste esterne che rappresentano tutto ciò che è destabilizzante per la nostra esistenza».
La pratica di Talbot parte dal disegno, dalla pittura e dall’installazione per favorire l’esplorazione di un panorama interiore che, correlandosi al pensiero e alle storie individuali, è in grado di tessere un legame stretto con gli ambiti più disparati della narrazione e dell’affettività. Nel fare ciò, l’artista rintraccia i suoi referenti all’interno di un contesto che afferisce alla mitologia e alle storie femminili integrando una narrazione che si lega, a uno sguardo più attento, con le dinamiche di pensiero relative alle questioni contemporanee dominanti. Incorporando testi scritti da lei stessa o citazioni da altre fonti, Talbot investiga un universo personalissimo, reso accessibile da una pittura e da un disegno che sembrano proiettare chi guarda al di là di una soglia. Vortici, visioni, cadute sono gli elementi generatori di una composizione che diventa piano magnetico, in grado di attirare e incorporare lo sguardo. Investigando il privato come elemento politico, di genere, sociale, Talbot crea un’intersecazione di piani percettivi secondo cui la natura, la tecnologia e il linguaggio diventano un tutt’uno con l’immagine, le forme, i colori. 
Con il progetto vincitore del Max Mara Prize for Women in Art, Talbot ha messo in discussione concetti profondamente radicati come quelli di autorità, governance e rappresentazioni femminili, a partire da uno stimolo e da un punto di vista personali, sondati per vagliare le potenzialità di un’apertura sul piano collettivo e universale. In quella circostanza, l’artista aveva impiegato come starting point Le dodici fatiche di Ercole (1905) di Gustav Klimt, opera che ritrae, con un’espressione di presunta vergogna, una donna anziana nuda in piedi. L’artista si è così proposta di infondere nella figura della donna anziana un senso di libero arbitrio, presentandola mentre supera una serie di sfide simili alle fatiche di Ercole. Attraverso queste prove moderne, Talbot intende conferire alla donna la capacità di riformare la società contemporanea, contrastando le visioni negative prevalenti sull’invecchiamento. 

Emma Talbot. Visions | Mucciaccia Gallery Project – Installazion – Courtesy Mucciaccia Gallery Project

Nel progetto per il premio Max Mara, così come nell’intervento realizzato in occasione della 59esima edizione della Biennale d’Arte di Venezia, per la mostra del Padiglione Centrale curato da Cecilia Alemani, nell’ambito della collettiva The Milk of Dreams, Talbot ha continuato a percorrere il sentiero tracciato in precedenza ideando un’installazione in cui diversi campi di forza – la pittura, il segno, la parola – strutturano una pratica e un linguaggio in grado di rapportarsi, tout court, con lo spazio e il soggetto percipiente. Le narrazioni introdotte hanno echi ancestrali in cui figure mitologiche e corpi in caduta disegnano un immaginario che si intreccia con il nostro presente. 
In una conversazione con Catherine Loewe, Talbot ha specificato: «Visions è una serie di opere dipinte su seta, che esplorano la capacità di sintonizzarsi con un modo di pensare che va oltre la normalità, di riconoscere una voce o un segno che alimenta l’immaginario dello spettatore. Le mie figure sono molto spesso in caduta libera o fluttuanti, si allungano o precipitano, nel tentativo di instaurare una connessione con qualcosa che può sostenerle. Nel dipinto Ancients, ad esempio, due figure sembrano allo stesso tempo cadere e arrampicarsi in uno spazio decorato da motivi etruschi, quasi come se scavassero alla ricerca di un’archeologia misteriosa per mettersi al riparo di un radioso e protettivo sguardo antico. I miei dipinti riflettono sul desiderio emotivo di essere guidati verso un futuro sicuro, sui nostri legami con la natura, con gli antenati, con la tecnologia e con l’amore».
In un passaggio del primo capitolo di Una stanza tutta per sé, Virginia Wolf descrive così il guizzo di un piccolo pensiero, che finisce col diventare un pensiero generativo: «Ahimè, una volta sull’erba, com’era piccolo, com’era insignificante questo mio pensiero; proprio uno di quei pesci che il buon pescatore butta di nuovo nell’acqua perché possano divenire più grossi e meritare un giorno la padella. […] Ma per quanto piccolo, possedeva tuttavia quella misteriosa qualità che hanno tutti i pensieri della sua specie: non appena immerso nella mente, immediatamente diventava molto eccitante e molto importante; guizzando e sommergendosi come un dardo, scintillando qua e là, creava attorno a sé un turbine tale di altre idee, che non si riusciva più a stare seduti». Le opere di Emma Talbot possiedono questa forza straordinaria, in grado di propagarsi come i cerchi concentrici che nascono sul pelo dell’acqua appena si lancia un sasso. Le cromie – ricche e vibranti, con toni che evocano la terra e il fuoco – insieme ai corpi disposti in modo tale da irradiarsi dalla luce che proviene, naturalmente, da ciascuna opera restituiscono una danza ideale in cui si avvicendano suggestioni e visioni di un mondo nuovo. 

Accompagna la mostra un catalogo pubblicato da Dario Cimorelli Editore, con l’intervista all’artista di Catherine Loewe e il testo di Wells Fray-Smith.

Emma Talbot. Visions | Mucciaccia Gallery Project – Installazion – Courtesy View Courtesy Mucciaccia Gallery Project
Emma Talbot. Visions | Mucciaccia Gallery Project – Installazion – Courtesy View Mucciaccia
Emma Talbot, Love Is a Wound Buried Deep, 2024, acrylic on silk, 200 x 150 cm – Courtesy Mucciaccia Gallery Project