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Intervista a Elena Mazzi | Polifonie Italiane – Salotto Longhena di Ca’ Pesaro, Venezia

Protagonista della rassegna “Polifonie Italiane”, dedicata ad artisti formatisi presso l’università IUAV di Venezia, Elena Mazzi presenta due opere video, in cui la piscina diviene sfondo di una narrazione personale e collettiva, strettamente legata all’architettura. Nella sua pratica artistica, Elena Mazzi esplora territori specifici, rileggendone patrimoni naturali e culturali, storie e leggende, per analizzare e tentare […]

Elena Mazzi, Encounters, 2024, Still da video

Protagonista della rassegna “Polifonie Italiane”, dedicata ad artisti formatisi presso l’università IUAV di Venezia, Elena Mazzi presenta due opere video, in cui la piscina diviene sfondo di una narrazione personale e collettiva, strettamente legata all’architettura. 
Nella sua pratica artistica, Elena Mazzi esplora territori specifici, rileggendone patrimoni naturali e culturali, storie e leggende, per analizzare e tentare di risolvere il conflitto uomo-natura-cultura. Una pratica quasi antropologica, che dialoga con le comunità locali in cui la ricerca si sviluppa ma che non teme di affrontare anche il vissuto biografico e personale. Un viaggio che l’artista ha voluto raccontarci in questa intervista. 

Veronica Pillon: Fino al 14 aprile 2024 sarà allestita una tua personale a Ca’ Pesaro (Venezia), parte della rassegna “Polifonie Italiane” – Salotto Longhena, a cura di Camilla Salvaneschi e Angela Vettese per IUAV. Che opere hai scelto per l’esposizione?

Elena Mazzi: Ho scelto di esporre due opere video, girate in posti diversi, in momenti diversi. Il fil rouge che li lega è l’ambiente piscina. In entrambi i video, infatti, sono presenti due architetture particolari: due piscine scavate nella roccia dall’essere umano a inizio Novecento. La prima in Islanda, costruita da un pescatore per insegnare alla comunità locale a nuotare e a ridurre il numero delle morti in mare; la seconda in Friuli, costruita dagli alpini durante la prima guerra mondiale, come luogo di ricreazione e cura del corpo. La cura è infatti l’aspetto che lega le opere e le azioni che avvengono all’interno delle particolari architetture.

VP: Hai compiuto i tuoi studi in arti visive in IUAV: qual è il tuo ricordo del periodo formativo e che legami conservi con l’università e con la città di Venezia in particolare?

EM: E’ stato un periodo di crescita fondamentale per me, sia a livello personale che di pratica artistica. Lo IUAV mi ha insegnato molto, dal lavorare in gruppo, alla cura della fase di progettazione, all’importanza del confronto continuo tra pari. Torno sempre volentieri sia in Università, dove negli ultimi anni ho lavorato anche come insegnante, che in città, dove ho vissuto per molti anni, e che considero un po’ come la mia seconda casa.

Elena Mazzi, POÇ, still da video

VP: Nella tua pratica artistica, multimediale, adotti come punto di partenza l’esame di territori specifici: che relazione intercorre tra patrimonio culturale – naturale e comunità locale nella produzione dei tuoi lavori?

EM: Vi è spesso un dialogo costante tra i tre elementi, direi in quasi tutte le mie opere. In Encounters, uno dei due video esposti a Ca’ Pesaro, vi è meno la presenza della comunità locale, in quanto è un video incentrato su una mia vicenda personale (è anche una delle poche opere dove sono presente e mi relaziono al mio corpo). Anche se la relazione con la comunità non è direttamente presente, lo è comunque indirettamente, attraverso la scelta della piscina, intesa come luogo dedicato alla collettività. Diversamente in POÇ, il secondo video, la comunità è il punto di partenza, strettamente legato all’architettura della piscina, su cui si basa l’intera narrazione.

VP: Le tue opere riflettono su grandi temi d’attualità – il rapporto uomo-natura, l’inclusione sociale, il linguaggio, solo per citarne alcuni – e spesso vengono realizzate grazie a strumenti di partecipazione attiva es. workshop: per te, che ruolo hanno arte e artista nella società contemporanea? Pensi che possano proporre soluzioni alle fratture del nostro tempo?

EM: Vedo l’arte come mezzo per esplorare il mondo che mi circonda, costituito da dinamiche sociali complesse. Credo che l’arte sia un ottimo strumento di lavoro collettivo, proprio perché libero da concetti predefiniti. Lo spazio è il luogo in cui ci muoviamo, ci incontriamo, interagiamo. Noi siamo spazio. Le nostre emozioni, paure, fragilità, tensioni, interazioni derivano soprattutto dalle conformazioni geofisiche dei luoghi in cui ci troviamo, dagli ambienti che viviamo. Noi e tutti gli esseri viventi. Se l’arte è uno strumento utile ad esplorare questo spazio, è inevitabile che questo rientri anche nel contesto espositivo, trasformandolo.

VP:Qualche anticipazione sui progetti futuri? 

EM: Grazie a una borsa di ricerca dell’Italian Council sto unendo le mie ricerche di dottorato pratico presso Villa Arson a Nizza, con ricerche sul campo in regioni artiche, nello specifico la prossima tappa sarà in Svezia, tra Kiruna e Umeå.

Inaugurerò una personale presso la mia galleria di Roma Ex Elettrofonica a inizio maggio, mentre è visitabile fino al 19 aprile la mia personale presso Artopia Gallery a Milano.

A maggio presenterò anche un’installazione permanente a Baldissero d’Alba, su invito dell’associazione Creativamente Roero, mentre a fine giugno inaugurerà un intervento semipermanente e diffuso a Pettenbach (Austria), parte del circuito di European Capital of Culture Bad Ischl Salzkammergut 2024.

Elena Mazzi, POÇ, still da video