Un padiglione di molti suoni rappresenterà l’Italia alla 60. Esposizione Internazionale d’Arte, la cui apertura al pubblico, prevista il 20 maggio 2024, svelerà la complessa installazione sonora di Massimo Bartolini curata da Luca Cerizza dal titolo “Due qui / To Hear”. Promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, il progetto vede il sostegno di Tod’s e Banca Ifis.
A fronte dell’assonanza inglese tra two here e to hear, ovvero “due qui” e “ascoltare”, nasce quel sostanziale “tradimento voluto” di “Due qui / To Hear”: una riflessione sul tema dell’incontro e dell’ascolto, o meglio l’idea di un incontro per ascoltare e ascoltarsi che motiva l’intera installazione. Per questo, si articolerà per intero negli spazi di pertinenza del padiglione: oltre alle Tese delle Vergini, verrà incluso il giardino adiacente, identificando un percorso non univoco o lineare, ma piuttosto un itinerario di incontri e relazioni che rendono evidente il carattere esperienziale della visita.
“Se tendere l’orecchio è da considerarsi una forma di azione verso l’altro”, nota Cerizza, è spontaneo quanto il padiglione si soffermi sulla natura relazionale del suono: “quel prestare ascolto diventa uno strumento per aspirare a essere forse migliori”, prosegue. E sottolinea quanto il paradigma dell’ascolto sia da intendersi non solo in una dimensione fisica, ovvero entro uno spazio di relazione e di incontro che il padiglione rappresenta, ma soprattutto metaforica, vale a dire a tutte quelle declinazioni altre del tema dell’ascolto che hanno caratterizzato e innervano tuttora, ad esempio, la ricerca artistica contemporanea, in una traiettoria che Massimo Bartolini percorre da ormai trent’anni. Un riferimento significativo della poetica dell’artista, a questo proposito, appare essere Massimo Bartolini. Hagoromo, la recente mostra curata dallo stesso Cerizza con Elena Magini per il Centro Pecci di Prato che prende il nome dalla straordinaria installazione sonora site-specific, un enorme organo per le sale del museo.
“Gli aspetti salienti di un’alta tradizione italiana, tanto per l’artigianato d’arte quanto per la capacità ‘organara’ o ancora compositiva”, nota Angelo Piero Cappello, vengono restituiti dalla pratica artistica di Bartolini, che caratterizzerà il Padiglione con un intervento sostanzialmente privo di display. Dichiara l’artista: “L’installazione non produce architettura, ma suono: è una struttura che non occupa spazio, ma lascia passare tutti e passa attraverso tutti, generando comunità temporanee unite proprio dall’ascolto di una stessa fonte». L’intervento sarà quindi votato a far risuonare lo spazio evitando ogni operazione di effettiva “musealizzazione” delle Tese e, anzi, darà spazio a più voci, generando quella che l’artista definisce, musicalmente, jam session: un manifesto di pratica collaborativa che rende il padiglione un processo collettivo. Le due opere sonore per le Tese nascono infatti da Gavin Bryars ed i figlio Yuri, che metteranno in musica i versi del poeta argentino Roberto Juarroz in A veces ya no puedo moverme (Certe volte non riesco più a muovermi), che tratta di un essere umano che si percepisce come albero. Come in molte performance elaborate da Massimo Bartolini in riferimento diretto all’elemento ora vegetale, ora della terra e del suolo, questa prima opera sonora si incontrerà entrando dal giardino di pertinenza del Padiglione. Una seconda installazione sonora attraversabile animerà il cuore del padiglione, come a individuarne un labile punto di equilibrio, mediante l’attività di composizione di Caterina Barbieri e Kali Malone.
Quindi molte voci e poche immagini, anzi forse una sola, il Bodhisattva pensieroso: una figura appartenente all’iconografia buddista che, racconta Bartolini, “mi ha sempre affascinato, perché è un individuo che non agisce, ma riflette. Egli è una semi-divinità che esiste non in quanto agente, ma in quanto pensante”. Con questa generale supremazia dell’ascolto, l’artista si concentra quindi sul campo d’azione del suono, ovvero l’ambiente spaziale anzi, sonoro che, a differenza di un’immagine, non si limita alla dialettica esclusivamente visiva e, con l’esempio del Bodhisattva, diviene una “forma di dissenso verso una cultura dell’agire intesa come unica prospettiva”.
In piena armonia con il titolo della 60. Esposizione, Stranieri ovunque, il padiglione Italia intende dunque porsi come macchina dell’ascolto soggettiva e collettiva. Roberto Cicutto, presidente uscente della Biennale di Venezia, commenta quanto questo rapporto permeabile tra suono, ascolto e spazio sia già stato centrale nelle recentissime celebrazioni del centenario dalla nascita di Luigi Nono. La straordinaria riproposizione di Prometeo. Tragedia dell’ascolto presso la Chiesa di San Lorenzo ha difatti replicato quella première allestita da Renzo Piano nel 1964, che per prima “ha fatto dello spazio architettonico uno strumento musicale”.
Un ricco Public Program a cura di Luca Cerizza e Gaia Martino, il cui titolo coincide con le parole di John Cage Music is everywhere, if we only had ears, accompagnerà il progetto e identificherà quattro sezioni: Politica dell’ascolto / Ascoltare in relazione (17/18 maggio), Fiducia nello sfondo / In ascolto con la natura (14/15 giugno), Meditazione / In-azione (12/13 luglio) e, infine, Fai per me / Ascoltare la macchina (13/14 settembre).
Due saranno, infine, le pubblicazioni di corredo al padiglione, entrambe ad opera di Studio Folder: una guida sintetica, edita da Electa, e un secondo catalogo edito da Timeo che, in modo non tradizionale, proseguirà idealmente la traccia aperta dal Public Program e, oltre ad ospitare un ricco apparato fotografico del padiglione, presenterà una selezione di opere dalla trentennale carriera di Massimo Bartolini.