ATP DIARY

2 mostre, 2 spazi espositivi e 2 curatori alla galleria Eduardo Secci, Firenze

[nemus_slider id=”53484″] La galleria Eduardo Secci di Firenze ha aperto un nuovo spazio espositivo in Piazza Goldoni 2. Lo scorso 25 febbraio sono state inoltre inaugurate due mostre: ATTITUDES>SCULPTURE #1, curata da Daniele Capra e TENSIONI STRUTTURALI #1, a cura di Angel Moya Garcia. ATPdiary ha deciso di porre alcune domande alla direttrice di galleria Ottavia […]

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La galleria Eduardo Secci di Firenze ha aperto un nuovo spazio espositivo in Piazza Goldoni 2. Lo scorso 25 febbraio sono state inoltre inaugurate due mostre: ATTITUDES>SCULPTURE #1, curata da Daniele Capra e TENSIONI STRUTTURALI #1, a cura di Angel Moya Garcia. ATPdiary ha deciso di porre alcune domande alla direttrice di galleria Ottavia Sartini e a Daniele Capra.

Ad Ottavia Sartini  per la galleria Eduardo Secci. 

ATP: Come mai avete deciso di aprire un nuovo spazio espositivo?

Ottavia Sartini: Abbiamo maturato questa decisione negli ultimi due anni quando abbiamo iniziato a progettare insieme ai nostri artisti grandi opere site specific per musei e spazi pubblici e maturando il desiderio di volerlo fare anche nei nostri spazi. Si era fatta sempre più forte l’esigenza di avere uno spazio che potesse accogliere anche questo tipo di progetti, che avesse e potesse dare respiro alle opere dei nostri artisti. Questo nuovo spazio è perfetto; oltre ad avere una superficie davvero ampia ha una suddivisione per sale ottimale per un certo tipo di allestimenti, ci sembrava avesse delle caratteristiche che ben si accordano con il nostro modo di lavorare e di fare galleria. Inoltre volevamo fare questo passo in avanti continuando a puntare su Firenze, la nostra città, che spesso si rivela molto visto che crediamo fortemente nel suo potenziale; investire qui è una sfida che vogliamo vincere.

ATP: Ci saranno delle differenze tra le due gallerie? Diverse linee di ricerca, sperimentazione, approfondimento? O saranno due spazi complementari di un’unica visione unitaria?

OS: Fino al mese di Maggio avremo due spazi espositivi attivi, in Via Maggio saremo aperti con la mostra Attitudes Sculpture, curata da Daniele Capra e in Piazza Goldoni con la mostra Tensioni Strutturali, curata da Angel Moya Garcia. Volevamo dare alla città la possibilità di conoscere in maniera completa quello a cui la galleria sta guardando e lavorando. E anche lasciare la zona dell’Oltrarno, che in questi anni ci ha accolti in modo splendido, con una certa gradualità. La mostra sulla scultura curata da Daniele Capra sarà infatti l’ultima che presenteremo in quella sede. Ci sembrava perfetta per chiudere un ciclo iniziato proprio con una importante mostra con sculture e installazioni di Paolo Grassino, co-curata anch’essa allora da Daniele Capra. E’ una quadratura del cerchio perfetta!

Il nuovo spazio di Piazza Goldoni quindi da Giugno sarà la nostra unica galleria in città dove presenteremo i nostri artisti, i progetti, le nuove collaborazioni: proseguiremo con artisti italiani e internazionali, alternando mostre collettive a personali, con uno sguardo curatoriale attento e mai scontato.

Alcune domande a Angel Moya Garci

ATP: Tensioni Strutturali #1 è la prima di tre mostre che verranno presentate nel nuovo spazio della galleria, in Piazza Goldoni 2. di cosa si tratta?

Angel Moya Garci:  Tensioni strutturali è stato pensato come un progetto organico suddiviso in tre mostre, indipendenti ma interconnesse tra di loro, che saranno presentate gradualmente nei nuovi spazi della Galleria Eduardo Secci Contemporary. La mia idea prevedeva l’invito a una serie di artisti, divisi in tre momenti espositivi, per riflettere sull’idea di tensione attraverso tre declinazioni diverse (spazio percepito, materia e realtà circostante). La prima mostra vede Carlo Bernardini, Monika Grzymala, Roberto Pugliese e Esther Stocker lavorare sul ruolo centrale dell’individuo nella costituzione dello spazio percepito, mentre la seconda analizzerà successivamente le diverse possibilità della materia come elemento di rappresentazione e, infine, la terza studierà i processi entropici dell’ambiente quotidiano.

ATP: Cosa ti interessa del lavoro dei quattro artisti invitati: Carlo Bernardini, Monika Grzymala, Roberto Pugliese, Esther Stocker? E come credi si possa allacciare alla linea di ricerca di questo ciclo di mostre?

AMG: Mi interessa fortemente la capacità di ognuno di loro di modulare, modificare, limitare o dilatare la realtà, in modalità completamente diverse, attraverso installazioni ambientali che mettono l’individuo davanti alla responsabilità di creare, ipotizzare o intuire il proprio spazio percepito. In particolare, Roberto Pugliese attraverso installazioni sonore proietta le tensioni strutturali verso lo spettatore, che si trova di fronte a composizioni elaborate tramite la traduzione di tutte le misure di una determinata stanza in frequenze sonore. Monika Grzymala disegna tridimensionalmente drammatiche deflagrazioni, con filamenti di nastro nero che trafiggono lo spazio, ingannando la gravità e paralizzando lo sguardo dello spettatore. Carlo Bernardini realizza installazioni permeabili in fibra ottica, in cui è la stessa luce a generare lo spazio attraverso un disegno geometrico in negativo, che rimbalza fra il pavimento, le pareti e il soffitto. Infine, Esther Stocker, attratta dai paradossi formali e dagli “errori”, realizza installazioni ambientali configurate tramite elementi di disturbo e interferenze che sfidano i limiti e le possibilità della percezione e modulano lo spazio architettonico. Un primo ciclo, contestualizzato all’interno della prima declinazione sullo spazio percepito che accennavo prima che, considerando il trasferimento di sede della galleria, si inserisce come una sorta di omaggio soggettivo e eterogeneo a questo nuovo spazio, sfruttando le proprie caratteristiche.

ATP: Le due tematiche principali della mostra sono lo spazio esperienziale della realtà e il ruolo dell’individuo nella sua costituzione. Credi che l’opera di un artista possa interagire nella relazione uomo-spazio? O addirittura possa aiutare le persone a relazionarsi ad un luogo (portandole, magari, ad attivare stati di coscienza anche nei “non-luoghi”, in spazi di annullamento relazionale e ingolfamento individuale nel cellulare, ecc.)?

AMG: Più che di due tematiche, parlerei di una sola composta da due elementi intersecanti o addirittura inscindibili. Sono convinto della funzione fondante della realtà di determinate pratiche artistiche e su questa base sono consapevole che gli artisti si situano come attivatori, come demiurghi del dubbio, che deve essere risolto singolarmente da ogni individuo. Questo presupposto è alla base di un’interazione o una relazione tra uomo-spazio che trovo estremamente interessante poiché determinate installazioni obbligano al visitatore a fare delle scelte, a rivedere il contesto in cui si trova con nuove prospettive e, di conseguenza, alla necessità di ripensare continuamente lo spazio circostante in cui agisce quotidianamente. Naturalmente dipende dalle poetiche e dalla tipologia di ricerca, ma credo sia necessario nel panorama attuale un coinvolgimento più diretto del pubblico, meno elitario senza diventare banali, meno esclusivo ma in grado di essere decodificato da chiunque abbia la sensibilità e la curiosità per voler leggere un’opere. In quest’ottica determinate installazioni o altre restituzioni formali con una estetica e un’impostazione concreta, così come le dinamiche relazionali e partecipative possono attivare stati di coscienza spesso addormentati.

Ludovico Bomben,   R436,   2016,   rosaries,   enviromental dimensions
Ludovico Bomben, R436, 2016, rosaries, enviromental dimensions

Seguono alcune domande anche al curatore Daniele Capra.  

ATP: La mostra che curi alla galleria Eduardo Secci in Via Maggio 51R, dal titolo attitudes>sculpture#1, si propone di indagare quali siano i diversi approcci alla scultura, nonché le varie “forme” con cui questa viene declinata da diversi artisti contemporanei. Perché credi che la scultura contemporanea sia difficilmente definibile? Quale pensi che sia, invece, la caratteristica principale che ci consenta di riconoscerla sempre in quanto tale?

Daniele Capra: Penso che la scultura sia vittima, ben più della fotografia o della pittura, dell’estetica dell’incertezza e della stupida tendenza a giustificare come concettuali modalità, forme e processualità che invece conducono ad un infecondo ripiegarsi su sé stessi. Senza inutili eroismi, ma penso che la scultura sia “geometrica potenza”, motivata da istanze artistiche di volta in volta differenti. Siamo invece abituati a considerare come scultoreo qualsiasi manufatto o intervento relativo alle tre dimensioni frutto di intervento artistico, ormai senza che ci susciti alcun interesse. Troppo facile, non è così. Non tutto è scultura, benché essa si possa fare con tutto. È scultura ciò che conserva l’energia significativa necessaria per reggersi, grazie all’intervento dell’artista. Il resto spesso sono chiacchiere che abbisognano di manipolazioni e fiumi di parole per stare in piedi. Questa mostra rivendica l’opera come dispositivo in cui si condensano pensiero e azione, anche nella forma oggettuale di un manufatto.

ATP: In base a quali criteri hai scelto gli artisti invitati: Ludovico Bomben, Nick Hornby, Charlotte Mumm, Jonathan Sullam?

DC: Per comodità e approccio metodologico ormai da qualche tempo tendo a descrivere il lavoro di ciascun artista come una nuvola di tag, alcuni molto puntuali, altri più sfumati nella loro valenza. Ho immaginato questa mostra – ma lavoro simile sarà condotto nelle successive – come un confronto tra differenti polarità, approcci, attitudini incarnati dagli artisti. Ciascuno è significativo perché, nella sua unicità, è anche elemento significativo di una categoria. Nella pratica di Ludovico Bomben è fondamentale la fase del progetto che soggiace alla realizzazione dell’opera, con grande enfasi alla geometria, e l’uso simbolico di materiali contemporanei. Il lavoro di Nick Hornby invece mette in discussione le tipologie della scultura classica (come ad esempio il busto, la figura intera, ecc.) compiendo un’enorme lavoro sulla forma, spezzando lo sguardo dell’osservatore. Charlotte Mumm incarna invece l’idea di scultura come frutto di un’elaborazione gastrica, in cui condividono istinti più razionali a strutture più libere ed informali, che si manifestano con una libertà onirica. Nella pratica di Jonathan Sullam è invece fortissima la capacità di condensare i concetti in formato testuale, con grande libertà di materiali e di approcci, e con un’attenzione, non sempre dichiarata, all’aspetto psicanalitico.

ATP: Si tratta della prima tappa di un ciclo di mostre intorno a tale tematica. Come vorresti proseguire questa ricerca? E cosa ti piacerebbe far emergere?

DC: Se è difficile sviluppare le mostre in modo apertamente tassonomico non disponendo di un confronto istantaneo tra tutte le opere, penso alle successive mostre come ad ulteriori campionamenti alla ricerca di ulteriori attitudini. L’idea è quella di creare una piccola carta geografica, benché frammentaria ed incerta, in cui poter segnare i punti cardinali, tracciare linee di forza, inquadrarne propensioni, sensibilità e tendenze.

Jonathan Sullam,   I killed my mom,   2015,   black metal and blown neons,   300 x 140 x 240 cm,   ?ph. M. Falke,   courtesy of Maison des Arts de Schaerbeek
Jonathan Sullam, I killed my mom, 2015, black metal and blown neons, 300 x 140 x 240 cm, ?ph. M. Falke, courtesy of Maison des Arts de Schaerbeek
Monika Grzymala,   ”Raumzeichnung (fusion)",   2016,   Courtesy l’artista & Eduardo Secci Contemporary
Monika Grzymala, ”Raumzeichnung (fusion)”, 2016, Courtesy l’artista & Eduardo Secci Contemporary