Termina il 25 aprile la mostra Doppio Circuito. Cantieri d’Arte, Design e Artigianato, un percorso diffuso che attraverso le opere di tre artisti – David Casini, Claudia Losi e Sabrina Mezzaqui – permette di esplorare la città di Scandicci e i luoghi dell’hinterland fiorentino.
Facendo fede al titolo, la mostra coinvolge più luoghi, quasi ci trovassimo in un vero e proprio “circuito Scandicci”: Piazza della Resistenza, ideale collegamento, in prospettiva, con la città di Firenze; l’auditorium progettato dall’architetto Richard Rogers, contenitore mimetico che ospita sculture, installazioni e opere grafiche dei tre artisti; e infine la Fermata della tranvia di Villa Costanza, punto di passaggio dell’intera regione a metà strada tra paesaggio urbano e raccordo autostradale, che ospita un grande monolite in cemento, opera di David Casini dal titolo Solo un pezzo, solo dai.
L’esposizione è in realtà la tappa conclusiva di un progetto più ampio, iniziato lo scorso autunno, a cura di Matteo Zauli, promosso e organizzato da Fondazione Museo Montelupo Onlus e dal Comune di Scandicci. Nell’autunno scorso Zauli ha coinvolto i tre artisti appena citati, dando vita ad una serie di residenze e workshop nati con l’intento di far dialogare l’arte contemporanea con la grande manifattura della zona metropolitana a Nord di Firenze, compresa tra Scandicci e Montelupo Fiorentino, area che da sempre caratterizza l’identità toscana.
Abbiamo fatto qualche domanda al curatore Matteo Zauli e agli artisti coinvolti per scoprire qualche dettaglio in più sul progetto, sulle opere e sulla relazione che si è instaurata con le eccellenze artigianali locali
Irene Sofia Comi: In vista di un programma di workshop e laboratori così “site–specific” – e considerando il coinvolgimento delle aziende locali e del loro know how – come è avvenuta la selezione degli artisti?
Matteo Zauli: Abbiamo voluto coinvolgere tre artisti con una spiccata vocazione all’utilizzo di materiali diversi, ad una riflessione dialettica con le aziende e gli artigiani coinvolti nel progetto, artisti che tra le pieghe della propria ricerca mostrassero nitidamente un’inclinazione alla laborialità ed un’attenzione alla preziosità dei materiali. Un’attenzione ed una versatilità che emergono chiaramente scorrendo il regesto delle opere prodotte, realizzate utilizzando ceramica, pelle, metalli, argilla cruda, carta, cemento e tecnologia acustica avanzata.
Irene Sofia Comi: Quali sono stati gli aspetti di cui ha tenuto maggiormente conto, dal punto di vista curatoriale, nel creare un dialogo intrinseco con la città?
Matteo Zauli: Il modello di “cantiere d’arte contemporanea” già seguito in precedenza nelle esperienze a Montelupo Fiorentino, è l’architrave sul quale sono stati costruiti i contenuti del progetto. Un cantiere alimentato dal dialogo continuo tra artista ed artigiano (o azienda), ed a cui hanno partecipato le istituzioni coinvolte ed anche gli studenti selezionati dall’Accademia di Belle Arti di Firenze.
Un cantiere in cui sono fioriti elementi quali la riflessione sul vuoto, sull’attesa, sulla poesia anche minima di materiali e tecniche che solitamente sono destinate alla serialità, e nelle quali di conseguenza è molto difficile cogliere la preziosità tecnica realizzativa e la potenzialità lirica.
Irene Sofia Comi: In una sorta di circuito, il percorso della mostra si sviluppa attraverso più luoghi della città. Mi piacerebbe che mi raccontasse come si sviluppa l’esposizione negli spazi e quali relazioni si innescano tra le opere, se preferisce anche attraverso una sua suggestione.
Matteo Zauli: Innanzitutto la mostra è stata l’occasione per lasciare che due aziende del territorio, Crea Fx ed Idee Partners, solitamente impegnate in prototipazione per l’alta moda e in realizzazione di effetti speciali per cinema e teatro, realizzassero ispirandosi ai temi del progetto un’introduzione visiva alla mostra in Piazzale Resistenza, luogo che è centro urbano e punto di passaggio al tempo stesso. Mostra che poi si sviluppa nel grande Auditorium Rogers, luogo solitamente utilizzato per convegni, che doppio circuito ci svela per la prima volta nella purezza e preziosità del proprio vuoto, accarezzato o soltanto scalfito dalla presenza delle opere di David Casini, Claudia Losi e Sabrina Mezzaqui. Dal grande silenzio di questo spazio si passa poi al fragore dell’installazione permanente che è nata grazie al nostro progetto. Un grande monolite di cemento grezzo progettato da David Casini come monumentale cassa amplificata per la chitarra elettrica, e posto alla fermata della tramvia di Villa Costanza che, a sole due fermate da Resistenza, conclude l’itinerario di mostra in questo luogo di perenne via vai, tra autostrada del Sole (di cui il luogo è parcheggio scambiatore e porta verso Firenze) zona industriale e superstrada Firenze – Pisa – Livorno, non distante.
Un grande amplificatore che. gratuitamente, consentirà a tutti di attaccare il jack della propria chitarra e suonare a potenza-stadio, candidandosi quale luogo di mitologia urbana per le presenti e future generazioni.
Irene Sofia Comi: Le specificità di un contesto produttivo già fortemente connotato culturalmente è sicuramente un contesto stimolante per conoscere nuove tecniche. Quanto e come questo fattore è stato per voi determinante nelle fasi di ideazione e produzione delle opere realizzate ad hoc per la mostra? Vi viene in mente un momento o un lavoro in particolare? Quel che mi interessa è avere un vostro parere sull’esperienza, e capire in che modo le realtà artigianali con cui avete collaborato – e il loro know how – hanno influito nel processo creativo. Cominciamo da te, David?
David Casini: Direi che è stato fondamentale, i progetti sono nati anche pensando alle specificità dei materiali e delle tecniche di ogni singola azienda, e soprattutto attraverso il dialogo con le persone che ci lavorano, senza il quale non avrei mai potuto progettare questi nuovi lavori. Sono arrivato in residenza con la mente molto “libera”, lasciandomi trasportare da quello che vedevo e ascoltavo, e ne sono felice, perché è stata un’esperienza grazie alla quale ho imparato moltissimo.
Nel mio lavoro, c’è sempre una componente manuale, artigianale, che io stesso realizzo, quindi dove e quando è possibile, mi interessa apprendere ogni tipo di tecnica e svilupparla. Mi riferisco all’esperienza fatta con le Ceramiche d’Arte Dolfi, gli incontri con le aziende Verniani, specializzata in pochette, e Metalstudio che ha eseguito le microfusioni in bronzo. Con Powersoft, invece, che ha realizzato la tecnologia audio del monolite, è stato interessante sviluppare insieme il contenitore esterno, capendo le caratteristiche sonore del materiale e le dimensioni corrette per ottenere il risultato migliore.
Un momento particolare che mi viene in mente? Una limpida e fresca fine giornata, al tramonto, insieme alle persone che avevano terminato di rifinire l’opera Solo un pezzo, solo dai, un monolite di cemento alto due metri e mezzo che al suo interno nasconde un sistema audio hi-tech: ci siamo presi uno spritz al bar accanto e per la prima volta abbiamo ascoltato il suono potente proveniente dalla chitarra elettrica di una ragazza di Scandicci, venuta per l’occasione ad esibirsi per noi. Bellissimo,
emozionante.
Irene Sofia Comi: Per quanto riguarda Sabrina e Claudia, invece?
Sabrina Mezzaqui: Comincerei io, all’inizio mi sono sentita molto in difficoltà. Questo non è il mio modo usuale di procedere, quindi l’esperienza è stata fin da subito interessante. Di solito parto da un’idea, da una visione, da un’immagine, da una lettura, da qualcosa di immateriale, che mi cattura e che guardo, assaporo, studio… e cerco la tecnica e i materiali più consoni alla realizzazione. In questo caso invece sono stata condotta a procedere in maniera inversa: abbiamo preso visione di possibilità artigianali, tecnologiche e materiali con cui poter lavorare. Ho passato i primi 2 mesi a vagare a vuoto nei laboratori e nelle aziende, non sapendo che fare. Poi, pian piano, parlando con le persone, leggendo, soggiornando, si sono rivelate delle possibilità di lavoro. Bello vedere le trasformazioni sottili di un rametto di fiorellini di carta in ceramica e in metallo smaltato, per esempio. O mettere a terra in ordine armonico le decorazioni di ferro usate per fare lampadari. Fare l’esperienza del tornio, che richiede forza e delicatezza. Aspettare i tempi della ceramica. E soprattutto collaborare con persone sapienti, pazienti e molto disponibili, con un loro entusiasmo che rigenera.
Claudia Losi: Le relazioni lavorative e, in alcuni casi, amicali nate da queste collaborazioni con aziende e artigiani d’eccellenza sono state ricche di sorprese, in alcuni casi complesse, ma tutte davvero formative. Formative in senso letterale: han dato forma. Tutto si è giocato nel rapporto con la forma, nel cambio di funzione, nello spostamento dello sguardo rispetto alla pratica consueta, mia e loro. Il processo di ideazione del lavoro ha seguito un andamento inverso rispetto alla modalità consueta: pensare a che fare con la ceramica, con lastre di ferro o con con gli scarti degli scarti di pellami meravigliosi reinseriti in un percorso di economia circolare dall’azienda ospite, obbliga a uno spostamento anche all’artista.
Ci si è ascoltati, si sono guardate le possibilità e, personalmente, si è imparato molto. E quale soddisfazione trovare chi ti da retta e si mette alla prova anche rispetto alle proprie competenze acquisite!