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Deadweight di Dominique White è il progetto vincitore del Max Mara Art Prize for Women 2022-2024

Dominque White è la vincitrice della nona edizione del Max Mara Art Prize for Women, il premio biennale avviato da Whitechapel Gallery e Max Mara nel 2005. Il progetto, intitolato Deadweight, ha portato White a sviluppare la propria ricerca tra Agnone, Palermo, Genova, Milano e Todi, esplorando la nozione di "deadweight tonnage" (tonnellaggio di portata lorda), una misura tecnica utilizzata nell'industria marittima per determinare la capacità di carico di una nave.
Dettagli dell’opera di Dominique White, nel suo studio a Todi durante la residenza in Italia / 2024 Ph. Zouhair Bellahmar

Produzione e promozione legate alle arti visive sono due degli aspetti la cui importanza rimane nevralgica nel contributo che l’arte contemporanea può ricevere in un campo tanto rilevante quanto è quello della ricerca e della progettazione. Il Max Mara Art Prize for Women è il premio biennale avviato da Whitechapel Gallery e Max Mara nel 2005, a cui nel 2007 si aggiunge la Collezione Maramotti come terzo partner.
Unico premio per le arti visive dedicato ad artiste emergenti nel Regno Unito, rivolto a persone cisgender, transgender e/o non-binarie che non hanno ancora esposto il loro lavoro in una mostra personale, il Max Mara Art Prize conferma, per questa sua nona edizione, la propria mission rivolta alla promozione e valorizzazione del lavoro delle artiste vincitrici per fornire maggiore visibilità al loro percorso artistico attraverso il sostegno necessario a portare avanti una ricerca ambiziosa.
La giuria – in questa edizione composta dalla gallerista Rozsa Farkas, dall’artista Claudette Johnson, dalla scrittrice Derica Shields e dalla collezionista Maria Sukkar, e presieduta dalla curatrice ospite del Premio, Bina von Stauffenberg, in collaborazione con Gilane Tawadros, Direttrice di Whitechapel Gallery – ha premiato il progetto Deadweight di Dominique White (1993, Regno Unito), selezionata all’interno di una rosa di nomi che comprendono le finaliste Rebecca Bellantoni, Bhajan Hunjan, Onyeka Igwe e Zinzi Minott.

Il Max Mara Art Prize for Women, che nel corso della sua lunga storia ha visto premiate artiste che ora occupano una posizione di rilievo all’interno del composito panorama legato al contemporaneo – Emma Talbot (2019-22), Helen Cammock (2017-19), Emma Hart (2015-17), Corin Sworn (2013-15), Laure Prouvost (2011-13), Andrea Büttner (2009-11), Hannah Rickards (2007-09), Margaret Salmon (2005-07) – offre un periodo di residenza di sei mesi in Italia, organizzato dalla Collezione Maramotti, nonché la realizzazione di un progetto espositivo – con due mostre personali, una presso Whitechapel, a Londra, la seconda negli spazi di Collezione Maramotti a Reggio Emilia. È in quest’ottica che il Premio sostiene le artiste vincitrici incarnando una prospettiva più ampia che investe diversi ambiti della produzione e del finanziamento, della ricerca e del collezionismo. Probabilmente si tratta di uno degli esempi più virtuosi in cui la catena ricerca-finanziamento-sviluppo-promozione rimane intatta e salvaguardata da un’autentica volontà di valorizzazione del lavoro, fornendo alle artiste gli strumenti adeguati – professionisti del settore che coordinano il periodo di residenza, ricerca sartoriale delle realtà artigianali in grado di sviluppare la ricerca delle artiste durante il periodo di residenza e sperimentazione – il tutto in favore di una ricerca progettuale libera. La residenza è infatti sviluppata sulla base delle esigenze e degli interessi specifici della proposta presentata, con una serie di field trip attraverso cui l’artista ha modo di entrare in contatto con ricercatori e ricercatrici, come anche con un sapere artigianale inestimabile per conoscenze e applicazione pratica.

Dominique White ha vinto il Premio con il progetto Deadweight, sviluppando la propria ricerca tra Agnone, in Molise, Palermo, Genova, Milano e Todi, tappa conclusiva dell’intera residenza. White ha lavorato a un nuovo corpus di opere traendo ispirazione dalla nozione di “deadweight tonnage” (tonnellaggio di portata lorda), una misura tecnica utilizzata nell’industria marittima per determinare la capacità di carico di una nave. Esplorando e interrogando il significato storico e contemporaneo di questa misura, White la correla al passato coloniale e alle tratte degli schiavi, così come alla drammatica realtà dello spostamento di interi gruppi di persone attraverso il Mediterraneo. Come ha dichiarato Gilane Tawadros in occasione dell’annuncio della vincitrice della nona edizione del Premio: “I temi che esplora nel suo lavoro risultano oggi particolarmente attuali e rilevanti: siamo dunque lieti di poterle offrire il nostro sostegno nel corso della residenza e fino alla realizzazione di una mostra personale. In un’epoca in cui il bisogno di spazi sicuri e di rifugio è tanto acuto, e il passaggio via mare di individui e comunità pone tante vite a rischio rivelando tanta ingiustizia, sembra particolarmente urgente interrogare ed esplorare i sistemi sia storici che contemporanei che controllano il movimento e l’identità”. 

Il lavoro di White è caratterizzato da un forte interesse per la creazione di nuovi mondi per la Blackness. La sua ricerca si basa sull’intersezione di teorie riguardanti la Black Subjectivity, l’afro-pessimismo e l’idrarchia. Attraverso queste lenti teoriche, White sviluppa opere che posseggono una natura duplice in quanto fragili e, al contempo, dense per la loro fisica materialità, utilizzando spesso materiali nautici e naturali come l’argilla e il ferro non trattato, oggetti trovati raccolti nei cantieri navali, come vele, corde e catene. Questa stessa apparente incompatibilità (fragile/durevole; leggero/pesante; sottile/ingombrante) si riflette nello scambio di temporalità e storie di cui queste opere si fanno testimoni e portavoce. L’interesse di White per il mare come metafora rigenerativa e il suo potere simbolico emerge chiaramente nella sua pratica artistica. Il mare rappresenta per l’artista un luogo di trasformazione e rinascita, così come un luogo imprevedibilmente incerto, in grado di custodire storie sommerse e volutamente dimenticate. Questa visione si riflette nei suoi lavori, che spesso incorporano reperti nautici, richiamando un senso di storia e temporalità legati a narrazioni molteplici. Le sue sculture evocano paesaggi marini immaginari in grado di profetizzare un nuovo mondo, sfidando costantemente le intrinseche potenzialità dei materiali – non è un caso che l’artista abbia, per esempio, deciso di immergere in acqua di mare, per circa un mese, le componenti in ferro delle proprie installazioni – le potenzialità stesse dell’artista nel confronto con l’opera, il margine di rischio correlato a una relazione con la scultura che per White sembra essere viscerale e autentica. La sensazione, anche attraverso il racconto del progetto da parte dell’artista, è quella di un legame inscindibile tra prassi e teoria, con una riflessione ad ampio spettro che tiene conto di una fase progettuale di elaborazione attraverso il disegno, la ricerca, il confronto con studiose e studiosi, l’approfondimento di tutti gli aspetti che interessano le fasi preliminari e di studio. 

Dettagli dell’opera di Dominique White, nel suo studio a Todi durante la residenza in Italia / 2024 Ph. Zouhair Bellahmar

A partire da questa prospettiva, le varie tappe della residenza in Italia hanno significato per White studio e approfondimento del progetto previsto per Whitechapel (in programma dal 2 luglio al 15 settembre 2024) e Collezione Maramotti (in programma dal 27 ottobre); ad Agnone, in Molise, l’artista ha partecipato a un laboratorio della durata di una settimana presso la Pontificia Fonderia di Campane Marinelli, una delle più antiche fonderie di campane del mondo, dove i produttori utilizzano gli stessi materiali e tecniche fin dal Medioevo. A Palermo, con Giovanna Fiume, già Professoressa di Storia Moderna all’Università di Palermo, la cui ricerca ha contribuito a gettare le basi dello studio della tratta degli schiavi nel Mediterraneo, White ha approfondito la sua conoscenza storica e contemporanea del commercio di schiavi nel Mediterraneo. Genova è stata per l’artista un centro fondamentale per approfondire la storia navale, attraverso lo studio in archivio e la conoscenza delle tecniche di costruzione, sostenuta da due tutor dell’Università di Genova, i Professori Claudia Tacchella e Massimo Corradi. Durante il suo periodo a Milano, White ha invece partecipato a un laboratorio presso la Fonderia Artistica Battaglia, con un tutor dedicato per imparare la tecnica della fusione a cera persa. Concludendo la residenza in Umbria, nella città di Todi, White ha affinato per due mesi la sua pratica di lavorazione del metallo, visitando fonderie locali e stabilimenti metallurgici. Affiancata dall’artista Michele Ciribifera, White ha appreso nuove tecniche e approcci per il suo progetto finale, lavorando all’interno dell’azienda Metalserbatoi di Torgiano, specializzata in costruzioni in ferro e acciaio inox.  

“La cultura dominante ha cercato di tenerci tutti impauriti, di farci scegliere la sicurezza invece del rischio, l’uguaglianza invece della diversità. Superare quella paura, scoprire cosa ci connette, goderci le nostre differenze; questo è il processo che ci avvicina, che ci regala un mondo di valori condivisi, di comunità significative” (bell hooks, Teaching Community: A Pedagogy of Hope, 2003). È nel segno dello studio e dell’approfondimento condivisi che la residenza di Dominique White in Italia si è dunque sostanziata attraverso l’elaborazione di un progetto sperimentale in grado di unire diversi elementi. Dalla teoria alla pratica, in una orchestrazione puntuale di tematiche e ambiti, l’artista ha assunto, sin dall’inizio, una posizione “scomoda”, che bene ha accolto, abbracciando il rischio del confronto diretto con l’opera e la sua genesi. La sua ricerca si estende oltre il tangibile, con un vocabolario visivo che combina, idealmente, le componenti di una nave distrutta in mare (vele, reti tessute a mano, ancore e boe), come fossero parti di un corpo o, meglio, un sudario ricoperto di caolino. Unendo e decontestualizzando questi elementi, White li ridefinisce come corpi resilienti attraverso la scultura e l’installazione. 

Dominique White The domination of Nothing 2023 Wrought iron (rusted), sisal, destroyed sail, mahogany (burnt), high volatile charcoal Courtesy the artist and Veda Photo: Volker Renner
Dominique White The domination of Nothing 2023 Wrought iron (rusted), sisal, destroyed sail, mahogany (burnt), high volatile charcoal Courtesy the artist and Veda Photo: Volker Renner