Allargare la concezione della prassi fotografica: questo sembra essere il proposito della collettiva inaugurata da Metronom. In più, cercare di ribadire l’ambivalenza degli oggetti che, dietro la loro quotidiana veste di ‘cose comuni’, nascondono sempre qualcosa di magico, di straordinario.
Annabel Elgar, Niccolò Morgan Gandolfi ed Eeva Hannula sono gli artisti chiamati a ricordarcelo, con le loro pratiche così diverse e così estremamente vicine.
Per la prima, recuperare vecchie tele da ricamo corrisponde a riconfigurare la tecnica del disegno nella nuova forma del punto a croce: il racconto per immagini di Lockdown Cross-Stitch (2020-2021), intrapreso nel marzo 2020, in concomitanza con le prime restrizioni introdotte a seguito della pandemia, si articola attraverso una serie di vignette ispirate da una fotografia di William Marriott, mago inglese dei primi anni del Novecento, famoso per la sua attività di smascheramento dei falsi medium.
Lo storyboard creato da Elgar non poteva, pertanto, non risentire dell’atmosfera inquietante della cosiddetta fotografia spiritica, con uomini, donne e bambini non identificati ripresi in situazioni ambigue e indecifrabili. In questi lavori, la duplice veste magica e quotidiana di cose all’apparenza semplici e insignificanti si sviluppa, quindi, su due livelli: il primo costituito dalla pratica del ricamo, elevata a rinnovato dispositivo di espressione; il secondo dalle scene raffigurate, in bilico tra realtà e fantasia, tra mistero e desiderio di conoscere.
Lo stesso accade in Flight Formation (2015), primo lavoro di Niccolò Morgan Gandolfi dedicato ai reperti fotografici. Anche qui il binomio ordinario/straordinario assume una duplice valenza, proprio come nel caso di Lockdown Cross-Stitch: da una parte abbiamo la prassi dell’artista, che trasforma quotidiane attività di esplorazione di sentieri montuosi e boschivi in vere e proprie performance dal forte accento esperienziale; dall’altra, il recupero di oggetti marginali – termine che, a mio parere, esprime perfettamente la natura periferica degli stessi da un punto di vista geografico e concettuale, essendo questi ai margini delle strade, dei centri abitati e, soprattutto, del nostro interesse – oggetti che, nelle mani dell’artista, divengono a tutti gli effetti opere d’arte. Come nel caso di Elgar, inoltre, anche nella pratica di Gandolfi il dispositivo fotografico compie un ulteriore passo sfociando nelle dimensioni scultorea e installativa, senza perdere, comunque, alcun tratto della propria essenza.
In The Structure of Uncertainty (2011-2014) di Eeva Hannula il discorso non cambia: la fotografia supera sé stessa attraverso le scomposizioni e vivisezioni operate mediante l’uso di prismi e lenti binoculari. Le composizioni, frutto, quindi, di forti manipolazioni, danno vita a situazioni aberranti, scene nelle quali la figura umana si mescola a quella geometrica in un mix di colore e movimento. Ed è proprio in questo che è racchiuso il duplice valore magico e comune di ciò che è contenuto nelle sue opere: nella semplicità di gesti abituali che, sapientemente alterati, stimolano continuamente la nostra percezione.
Del resto i costumi cambieranno molto
Fino al 30 settembre 2021
metronom.it