Testo di Guia Agazzi —
A tutti sarà capitato di prendersi cura di una pianta, o di un mazzo di fiori. Nella loro trasformazione la nostra attenzione quotidiana è fondamentale. Hanno bisogno di idratazione, ma non solo, dobbiamo farci fautori di un atto di rinnovamento attraverso un gesto veloce, ma delicato, che prevede di prendere l’infiorescenza ormai secca tra il pollice e l’indice, esattamente alla sua base, vicino alle foglie, e con un leggero movimento spezzarne i piccioli, lasciando così spazio alla crescita di nuove foglie e fiori in primavera. Questa azione, che racchiude una forma di romanticismo, si fa metafora e diventa il titolo dalla mostra di Yto Barrada a Fondazione Merz a Torino. DEADHEAD è quindi un ritorno all’essenziale necessario per liberare nuove energie creative.
In questa sottile suggestione è racchiusa la personalità dell’artista da cui ci si deve aspettare un continuo gioco di rimandi, a volte apparentemente indecifrabili, che poi appaiono improvvisamente risolti e che sono il punto di partenza e la caratteristica stessa dei lavori che troviamo nella mostra curata da Davide Quadrio con Giulia Turconi e realizzata in collaborazione con il MAO Museo d’Arte Orientale.
Yto Barrada (nata nel 1971 a Parigi, vive tra New York e Tangeri), vincitrice della quarta edizione del premio internazionale dedicato all’arte e alla musica Mario Merz Prize, è un’artista multidisciplinare la cui pratica unisce film, fotografia, scultura, pittura, stampa e attività editoriale, mentre le sue installazioni sono spesso concepite da lavori inediti e oggetti di riutilizzo.
È questo il caso dell’opera al centro della prima sala, Lit-ras-d’eau, commissionata per la Biennale del Québec del 2023. Due taniche rosse di alluminio sorreggono quello che apparentemente sembra essere un letto, ma che la presenza di due grandi cime trasforma in una imbarcazione precariamente galleggiante, forse una zattera. Chissà se l’artista ha in mente la celebre opera di Théodore Géricault, parte del suo retaggio culturale francese. In ogni caso, all’instabilità e alla casualità trasmesse dal lavoro, si aggiunge una riflessione identitaria, suscitata dal lenzuolo a strisce che sembra essere una bandiera, baluardo di una appartenenza rivendicata ma messa in discussione dalla condizione di migrante.



Barrada decide di approfondire la riflessione tra luogo d’origine e sradicamento attraverso la narrazione di storie subalterne raccolte nell’arco di otto anni tra Antartide, America e Marocco. L’esito è un film, Continental Drift, frutto del montaggio di diari e filmati di scarto.
Nella seconda sala, After the Parade introduce delicatamente un’altra tematica cara all’artista. Si tratta di un costume da bambino a forma di onda, realizzato con una scatola di cartone e abbandonato a terra a New York dopo una protesta per il clima.
Ancor più esplicito invece è il muro composto da trappole per granchi collocato al fondo della seconda sala: un inevitabilmente simbolo di denuncia della crisi ecologica. Il titolo di questa installazione, Tangier Island, riflette sui destini paralleli di Tangeri, la città marocchina d’origine dell’artista, e Tangier Island in Virginia, spesso definita come capitale mondiale del granchio molle, un’isola minacciata dall’innalzamento del livello de mare.
Le interconnessioni tra instabilità geopolitica e crisi ecologica sono illusoriamente alleggerite da un insieme di gioiose opere colorate che sintetizzano la ricerca di Barrada sulla teoria del colore e che caratterizzano tutto l’itinerario di visita. Le sue riflessioni partono dal pioneristico manuale del 1902: Color Problems: A Practical Manual for the Lay Student of Color. L’autrice, Emily Noyes Vanderpoel (1842 – 1939), trasforma gli oggetti in rivoluzionarie griglie geometriche di analisi cromatica, adottate dalla stessa artista nella serie Color Analysis composta da opere di cotone, seta, velluto e tinture naturali.
A questa tematica è legata anche la serie After Stella che prende il nome dall’artista americano Frank Stella. I suoi campi cromatici sono sovvertiti da Yto Barrada che sostituisce le vernici industriali con tessuti tinti con pigmenti naturali e cuciti a mano, volendo esaltare il valore dell’artigianato indigeno e domestico.
L’artista è stata selezionata per rappresentare la Francia alla prossima Biennale di Venezia del 2026.
DEADHEAD – Yto Barrada
a cura di Davide Quadrio con Giulia Turconi
20 febbraio – 18 maggio 2025
Fondazione Merz Via Limone, 24, Torino
in collaborazione con il MAO Museo d’Arte Orientale

