Come l’omino giallo che si fa trascinare su Google Street View, la Fondation Louis Vuitton ci afferra e ci fa planare su un ampio sentiero viola che ondeggia tra le colline. Da un lato un accumulo di case rosso fragola, dall’altro tronchi giallo limone accatastati vicino ad alberi azzurri che, in lontananza, si curvano su se stessi in un vortice incessante. Poi una strada rosa corallo costeggiata da cespugli zoomorfi e fitte chiome in movimento che sembrano invase da simpatici baccelli. Lo sbocciare impetuoso della primavera dà vita a un tripudio di forme e colori in cuipersino le ombre si dimenticano di scurire.
Siamo nel fantastico mondo di David Hockney, uno dei più importanti artisti britannici viventi che dagli anni ‘60 continua a incantare intere generazioni con i suoi paesaggi idilliaci. Un vero talento nella pittura, nel disegno, nella scenografia e nella fotografia che non si è lasciato intimidire dalle nuove tecnologie, sperimentando anche la pittura digitale su iPad. Oggi, alla soglia dei novant’anni, continua a stupire con opere che aprono nuovi orizzonti sulla spiritualità e sulla storia.
La Fondation Louis Vuitton gli dedica una grandiosa retrospettiva con più di 400 opere visitabile fino al 31 agosto, a cura di Sir Norman Rosenthal. Come suggerisce il titolo David Hockney 25, la mostra si concentra sulla produzione degli ultimi venticinque anni, dedicata ai paesaggi della campagna inglese e quella francese, in particolare lo Yorkshire e la Normandia, ma riunisce anche dipinti recentissimi, alcuni lavori rimasti nascosti per decenni nello studio dell’artista o in collezioni private, e opere iconiche come A Bigger Splash e Mr and Mrs Clark and Percy, in prestito dalla Tate.



Una galleria è dedicata ai ritratti delle persone a lui più vicine — amici, artisti, ma anche figure come il suo dentista o la governante. Un’altra ospita la serie Flowers: bouquet di fiori realizzati su iPad ma incorniciati in legno intagliato a mano. Le sale si susseguono mettendo in luce l’instancabile creatività dell’artista e la sua passione per l’opera, la danza, la letteratura, la musica, le sigarette, le piscine di Los Angeles.
Ma c’è una parentesi in cui la luce si attenua e il ritmo rallenta. Una sala con quindici dipinti su iPad e due su tela, in cui Hockney segue il movimento della luna e le variazioni della luce dalla sua casa in Normandia: è la Moon Room (Sala della Luna). Ispirato dalla lettura del racconto di Guy de Maupassant Clair de lune (1882), Hockney ci presenta un paesaggio notturno in cui il tetto spiovente della sua casa, il lago e le siepi sono immersi nel chiaro di luna, tra riflessi dorati e tonalità profonde di blu e nero. Quasi si percepisce la brezza che passa tra le foglie e l’odore dell’erba bagnata. Non ci sono persone, ma nonostante questo c’è un senso di umanità e di verità in questo scenario.
Ritroviamo tutta la profondità emotiva, psicologica e spirituale dei grandi maestri – da Piero della Francesca a Tiziano, da Caravaggio a Rembrandt, da Van Gogh a Munch – che Hockney raccoglie in The Great Wall, un mosaico dei suoi riferimenti.
L’artista trasforma la semplice osservazione della natura davanti ai suoi occhi in un manifesto di una visione di vita, ed è un’ode. Un invito ad onorare ogni passaggio di stagione, ogni inizio primavera perché, come fa notare lui stesso: Remember, they cannot cancel the spring. La fine della mostra ci coglie di sorpresa, ma in questo brusco ritorno alla realtà forse c’è un colore che non avevamo ancora visto.





