A pochi giorni dalla data di chiusura, Archaeology Now – l’ultimo progetto firmato da Damien Hirst per gli spazi della Galleria Borghese a Roma, curato da Anna Coliva e Mario Codognato – fa ancora parlare di sé. L’ultima trovata dell’artista originario di Bristol, che ha abituato il proprio pubblico internazionale con una sorpresa dopo l’altra – basti pensare allo squalo in scala 1:1 nella vasca in formaldeide dal titolo The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living presentato nel 1991 e l’iconico calco di un teschio tempestato di diamanti For the Love of God del 2007 – riprende le fila dell’ultima grande mostra presentata a Palazzo Grassi e a Punta di Dogana nel 2017, coinvolgendo nel progetto romano un corpus di ottanta opere della serie Treasures from the Wreck of the Unbelievable.
L’idea è assolutamente geniale: il grande tesoro destinato a un leggendario tempio dedicato al Dio Sole in oriente, proprietà del liberto Aulus Calidius Amotan conosciuto come Cif Amotan II, rimasto vittima del naufragio della nave Unbelivable, viene ritrovato nella profondità dei fondali marini e restituito finalmente alla luce. Si tratta di una collezione ricchissima, fatta di statue in marmo, bronzo, corallo, cristallo di rocca e pietre dure che tornano finalmente visibili, portando le tracce del loro lungo soggiorno negli abissi. Grazie alla costruzione di un perfetto equilibrio tra realtà e fantasia, Hirst racconta una leggenda frutto della propria feconda creatività, mettendo in scena un universo parallelo fittizio nel quale si viene totalmente immersi e affascinati, mentre ci si continua a domandare se si tratti o meno di una storia vera. L’sperimento è perfettamente riuscito anche nel caso della nuova mostra ospitata nelle stanze del Cardinale Scipione Borghese, resa possibile grazie al prezioso contributo di Prada, da anni impegnata nella valorizzazione della creatività contemporanea: se a Venezia a colpire l’aspettativa generale era stata certamente la teatralità della vicenda ricostruita, a Roma le sculture della nave perduta dialogano perfettamente con la collezione ricchissima della Galleria Borghese.
Sebbene la bellezza della Paolina Borghese canoviana o delle sculture iconiche di Lorenzo Bernini non possa competere con le installazioni contemporanee, quel che è certo è che il risultato è pienamente convincente e ogni opera trova sua perfetta corrispondenza con la statuaria classica, mentre i dipinti della serie Colour Space – che arrivano in Italia per la prima volta – si inseriscono nella monumentale e raffinata quadreria rinascimentale della Galleria. Nati come evoluzione stilistica degli Spot Paintings, questo nuovo gruppo pittorico è per Hirst una sorta di rappresentazione delle cellule viste al microscopio, come tante palline colorate fluttuanti nello spazio statico della tela bianca, che provano ad uscire dai confini della bidimensionalità dell’opera.
Negli spazi esterni del Giardino Segreto dell’Uccelliera svetta imponente la scultura colossale dal titolo Hydra and Kali: la spaventosa Idra affronta lo scontro titanico con la Dea Kali, pronta a sferrare un colpo mortale da una delle numerose lame che tiene fra le mani. In un lasso di tempo che ha visto proprio a Roma un analogo tentativo di inserimento dell’arte contemporanea in una collezione museale – quello, altrettanto riuscito, della retrospettiva di Eugeny Antufiev in dialogo con i cimeli di ETRU Museo nazionale Etrusco di Villa Giulia – Damien Hirst convince per la sua irriverente capacità di stupire pur traendo tutti in inganno: in un susseguirsi di vecchi cimeli tra croste di coralli e spugne, scheletri di teste di unicorno e teste di Medusa, incensieri in oro e argento e iconografie egizie, anche i visitatori più miscredenti cercano conferma nelle didascalie per conoscere la datazione di questi antichi manufatti. A svelare il mistero è il gruppo dei Five friends presi in prestito all’universo Disney che, a differenza di tutto il resto, non riescono a ingannare.
Fino al 7 novembre, Galleria Borghese, Piazzale Scipione Borghese – Roma