ATP DIARY

Opentour 2022 – Corneraholic | Accademia di Belle Arti, Bologna

Nei giorni di Opentour, una serie di “angoli” del tessuto urbano di Bologna è stata protagonista di altrettanti interventi ed azioni performative, ad opera di una ventina di studentesse e studenti dell’Accademia di Belle Arti, che ne hanno attivato le...

Igino di Fraia, Liber courtesy dell’artista
Lorena Bucur, Nascondino – Courtesy dell’artista

Nei giorni di Opentour, una serie di “angoli” del tessuto urbano di Bologna è stata protagonista di altrettanti interventi ed azioni performative, ad opera di una ventina di studentesse e studenti dell’Accademia di Belle Arti, che ne hanno attivato le potenzialità espressive in modi inediti. La rassegna Corneraholic è un progetto collettivo di arte pubblica concepito in occasione della fine del corso svolto in Accademia dall’artista Massimo Bartolini per i Bienni di Scultura e di Comunicazione e didattica dell’arte. La selezione dei lavori è stata condotta dall’artista in collaborazione con Giulia Poppi e Filippo Tappi.

Innescato dall’aforisma di Karl Kraus “l’arte è il collegamento più rapido fra un rigagnolo e la Via Lattea”, il percorso compiuto dall’artista insieme agli studenti è partito dal concetto di spazio minimo, quello dell’interiorità, per ampliarsi poi verso il libro come luogo di apertura mentale e di narrazione ed infine aprirsi allo spazio fisico circostante, dalla stanza alle strade della città. In questo progressivo allargamento di prospettiva, il punto di riferimento costante è sempre stato il concetto di “angolo” in tutte le sue possibili accezioni. Nelle parole di Bartolini, “l’angolo è una porzione di spazio abitabile e misurabile, un luogo ristretto all’interno del quale c’è una coerenza di azioni che possono venire sviluppate. Nell’angolo si perdono e si ritrovano le cose”. E richiama Gaston Bachelard (La poetica dello spazio, p. 168): “l’angolo è un rifugio che ci assicura un primo valore dell’essere: l’immobilità. Esso è il locale sicuro, il locale più prossimo alla mia immobilità. L’angolo è una sorta di mezza scatola, per metà muro e per metà porta”. Una catena di suggestioni che durante il corso si sviluppava anche sul piano visivo, con richiami ad opere e azioni performative legate a tutti gli stadi del zoom out, dalla mente alla piazza. Tra queste anche l’opera Corner (1968) di Maurizio Nannucci, una scritta al neon piegata a 90 gradi che recita tautologicamente il suo stesso titolo, da allestire nell’angolo di una stanza. A detta di Bartolini, il neologismo “Corneraholic”, che evoca “la passione compulsiva per l’angolo inteso come luogo”, si lega al fatto che anche l’opera di Nannucci sembra esprimere nella sua estetica la componente dell’“aholic”, di una “piccola festa svoltasi in un angolo”. I progetti di fine corso dovevano trasporre queste riflessioni sul tessuto urbano di Bologna, nella forma di “arte pubblica al limite del visibile”, “apparizioni” che operavano “momenti di sensibilizzazione” nei confronti di chi le ricercasse consapevolmente ma anche e soprattutto di chi le incrociasse per caso, volte a coagulare per un tempo limitato (gli interventi duravano tutti poche ore) il flusso del normale divenire quotidiano in corrispondenza di angoli dimenticati della città, come rocce che ostruiscono per un attimo la corrente di un ruscello di montagna, per poi essere trasportate via senza che ne rimanga traccia.

Nel perseguire questo obiettivo, molti interventi hanno scelto la strada di operare inserzioni minime ed effimere nello spazio urbano. Maria Sky con Les sculptures imaginaires colloca una serie di fotografie di particolari di sculture in marmo in luoghi nascosti, dalla fessura del canale di scolo di un marciapiede alle foglie di una pianta. Immagini diafane e pressoché invisibili, appaiono come miraggi di presenze parziali e sfocate, dai confini indefiniti. Liber di Igino Di Fraia è un altro intervento site-specific mimetizzato nello spazio urbano: colloca in più punti dell’area di Porta S. Donato (ad esempio all’interno di una cavità nel suo antico muro di mattoni) un libro stampato e rilegato in modo da assomigliare ad un blocchetto marmoreo lavorato con la subbia. Il contenuto è il testo de La scrittura delle pietre di Roger Caillois, che parla degli elementi naturali come di “segnali discreti, ambigui, che attraverso filtri e ostacoli di ogni tipo ricordano che deve pur esistere una bellezza generale, anteriore, più vasta di quella che l’uomo può intuire” (p. 7). 

Federico Zamboni, Passeggiata tra due angoli, credits Marzia Sperandio
Arianna Zama, Burattino – credits Lorenzo Pasini

Anche Multa Renascentur di Margherita Alpini mette al centro il rapporto tra parola e spazio urbano: Alpini procede a collocare sui parabrezza delle automobili di un parcheggio dei fogli di carta, che a prima vista possono sembrare delle multe ma che in realtà sono pagine strappate dagli Scritti corsari di Pier Paolo Pasolini. Gli attacchi sferzanti dell’intellettuale contro il conformismo responsabile del degrado culturale dell’Italia degli anni Settanta sono suggestioni offerte ai proprietari delle auto, scintille in grado forse di innescare cambiamenti. Il titolo del lavoro sentenzia che “molte cose risorgeranno”. Ilaria Zani sceglie invece per il suo intervento Ctrl-C di occupare lo spazio di una copisteria; fa stampare sul posto molte copie dell’Antigone di Simone Weil, uno dei testi brevi dedicati dalla filosofa alle tragedie di Sofocle e diffusi nelle fabbriche, per stimolare, grazie al buon esempio dei protagonisti, atti di resistenza al potere disumanizzante dell’industria. Zani interviene sulle stampe con un meticoloso lavoro da amanuense, tracciando alternativamente il capolettera della prima e dell’ultima pagina del testo. Tutto ruota intorno ad una dicotomia tra un lavoro manuale, lento ed antichissimo e il fulmineo e alienante processo meccanizzato di stampa. Chiara Boccardo (Invenìre) installa tre manifesti nella stazione sotterranea di Bologna Zanolini, realizzati seguendo il modello (nei font e nel tipo di carta) dei vecchi orari del treno, che riportano in ordine alfabetico un inventario di vari elementi presenti nella stazione, contati personalmente dall’artista. Tra questi, le linee gialle, i binari, le cicche abbandonate, le dediche d’amore. Il termine “invenire”, da cui deriva proprio “inventario”, significa “scoprire”, “trovare”, “giungere a qualcosa”. 

Alcuni studenti hanno deciso di optare per soluzioni ancora più eteree, impiegando il suono come unico strumento espressivo. Irene Venturini (Mangiapeccati) si è interfacciata con un luogo del centro storico ben noto, la Finestrella di Via Piella affacciata sul Canale delle Moline. I turisti fanno la fila per concedersi la vista del Canale; essendo considerata uno dei “sette segreti di Bologna”, è un po’ come fare la fila per entrare in un confessionale. Questa idea ha suscitato l’associazione con i sette peccati capitali. L’opera si configura dunque come l’audio di un elenco di peccati di diversa gravità, insignificanti o efferati, raccolti da più testimonianze, che era possibile ascoltare solo in prossimità della finestrella stessa. Miriam Lampredi (La Pulizia Acustica) ha chiesto a dieci performer di registrare i suoni dei propri percorsi a partire da una serie di punti della città decisi da lei fino ad un negozio di musica; gli audio registrati venivano poi trasmessi a tutti volume nel locale, come se fossero brani di musica concreta, impronte sonore della vita stessa della città. Unendo in modo simile il suono mel contesto urbano e l’atto del camminare, Gianlorenzo Nardi (Phum-tacutacu-tacutatacutacu) aveva installato una traccia audio all’interno di una busta della spesa, che aveva poi portato in giro. La composizione era liberamente ispirata dalle strisce che sull’asfalto segnalano i parcheggi delle autovetture.

Anche la performance Burattino di Arianna Zama consisteva nel camminare per la città, ma in questo caso la componente uditiva era totalmente annullata in favore di quella visiva. Zama indossava infatti una enorme testa in cartapesta sia cieca che sorda, perché priva di occhi e insonorizzata col poliuretano, e si aggirava per le strade con lo scopo di disorientare e inquietare i passanti che la incrociavano. L’azione si lega all’interesse dell’artista verso la figura del burattino e i frammenti di corpi, arricchita da una serie di suggestioni, tra cui principalmente l’immagine letteraria della faccia stretta in una morsa del protagonista del racconto L’uomo ghignante di Salinger, oppure l’orrore evocato da Rilke in I quaderni di Malte Laurids Brigge nel “levare gli occhi su una testa piagata a nudo, senza volto”.
Altre azioni si interfacciavano con i passanti invitando ad un confronto. Sotto un portico del centro era possibile imbattersi in Alice Mazzei, seduta su di una sedia e intenta ad inquadrare con una reflex un’altra sedia vuota davanti a lei. Ogni dieci secondi scattava una fotografia, in un’azione rituale che campionava il flusso ininterrotto di persone e di vita in tante istantanee (Autoscatto). La sedia vuota era un dispositivo che stimolava un’interazione, un invito ad offrirsi all’obiettivo, oppure un ostacolo da aggirare.

Margherita Alpini, Multa Renascentur – Courtesy dell’artista

Silvia Marchesini (Un euro al minuto), anch’essa seduta sotto ad un portico, prendeva il posto di un clochard, a cui aveva affittato la postazione in cambio dei soldi che avrebbe guadagnato chiedendo l’elemosina al suo posto. Marchesini si era vestita in modo elegante, sfidando così la noncuranza dei passanti e costringendoli ad un confronto.
Federico Zamboni (Passeggiata fra due angoli) nella sua ricognizione per le strade della città individua due angoli (in questo caso letterali) di due edifici distanti un’ottantina di metri. Sono essenziali e puliti, l’uno è convesso e grigio, l’altro concavo e rosso. La loro complementarità potenziale lo induce a collegarli mediante l’impiego di una grande quantità di monete da un centesimo, accumulate compulsivamente fin da piccolo. La fila di monete corre lungo i muri, si adatta ai contesti che attraversa: corre in bilico su una grata, si incunea in una fessura longitudinale dell’asfalto. Nei tratti esposti al sole, le monete risplendono. Il giorno dopo sono già scomparse, assorbite dal flusso della città.

Claudia Laus in Fuori dal mondo propone un altro tipo di connessione simbolica. Ispirandosi ad un passo del romanzo Il condominio di J.G. Ballard, che riflette sull’autoisolamento delle persone nei contesti abitativi, decide di mettere in atto un’azione contraria, ovvero una connessione fisica ed emotiva fra tre finestre di una facciata mediante un nastro. Nei giorni precedenti all’allestimento Laus si è recata a parlare con tutti i condòmini, raccogliendo i loro nomi, informazioni su quando si erano trasferiti lì e impressioni personali, che nel giorno dell’azione ha riportato su un quaderno liberamente consultabile dai passanti.

Altre performance si interfacciavano con alcuni luoghi di comunità. Sticking Traces di Elisa Capucci prevedeva un intervento nel Giardino del Guasto, con lo scopo di lasciarvi delle tracce ispirate dalle storie e dalle memorie dei suoi fruitori, mediante l’impiego di materiali come il gesso e di quanto offriva lo spazio stesso. Nella contingenza della performance, Capucci si è interfacciata soprattutto con dei bambini, con i quali ha costruito delle piccole sculture effimere utilizzando quanto era possibile trovare nel giardino. Nello stesso luogo, Angelika Ploumidou metteva in scena Spiti Moy Spitaki Mou (Home Sweet Home), performance in cui un panno molto grande costruito con scampoli di tessuto era mosso e tirato da vari partecipanti, vestiti con abiti realizzati nello stesso modo. Il tessuto variopinto si contorceva in movimenti fluidi, si faceva coperta e rifugio. Sempre nel Giardino, Edoardo Sessa con Homologation denunciava il processo di addomesticamento della natura da parte dell’uomo, replicandolo metaforicamente con il ritaglio mediante una dima di un grande mucchio di foglie provenienti dalle piante del centro, in modo da omologarle nella forma come se fossero state prodotte in fabbrica. Il gesto violento di mutilazione non può però annullare del tutto le differenze, rappresentate ad esempio dalle venature e dalla consistenza.

Una riappacificazione con la natura si può ristabilire solo all’Orto Botanico, dove i suoni del traffico arrivano ovattati e i tempi si dilatano. Lorena Bucur con l’intervento Nascondino allestisce nel verde una fotografia di uno scorcio di fogliame scattata in sito e stampata in scala 1:1 su tessuto non tessuto intelaiato, una quinta teatrale che si mimetizza nell’ambiente, dietro a cui si era nascosta. Il tessuto comunemente utilizzato in agricoltura per creare un ecosistema separato da minacce di agenti atmosferici e dalla fauna viene ironicamente utilizzato per proteggere l’artista dai suoi “antagonisti”. Infine, Spessore 1 di Sara Cortesi consisteva in una porzione di tessuto in lattice naturale, appeso per le quattro estremità agli alberi del giardino. Lo scopo era quello di stimolare la nascita sulla pelle-membrana di un piccolo ecosistema a partire dalla raccolta di tutto ciò che sarebbe caduto naturalmente su di essa, in un effimero tentativo di arginare il divenire.

Maria Sky, Les Sculptures Imaginaires – Courtesy dell’artista
Chiara Boccardo, Invenire – Courtesy dell’artista
Maria Angelika Ploumidou, Spiti Moy Spitaki Mou (Home Sweet Home) – Courtesy dell’artista