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Non v’è più bellezza, se non nella lotta – Conversation Piece Part V | Fondazione Memmo, Roma

“Noi cerchiamo l’autenticità del gesto di rivolta e non la sacrificheremo né all’organizzazione né al proselitismo”. Così si concludeva il manifesto di Rivolta femminile, basato su un testo elaborato da Carla Lonzi, Carla Accardi  ed Elvira Banotti, comparso nel luglio del 1970 sui muri di Roma. Molto tempo è trascorso da quel lontano 1970, il […]

Rebecca Digne, A Perdere, 2018, undici sculture,ceramica,sabbia,corda,cera,bronzo,dimensioni variabili, courtesy l'artista, photocredits Daniele Molajoli
Rebecca Digne, A Perdere, 2018, undici sculture,ceramica,sabbia,corda,cera,bronzo,dimensioni variabili, courtesy l’artista, photocredits Daniele Molajoli

“Noi cerchiamo l’autenticità del gesto di rivolta e non la sacrificheremo né all’organizzazione né al proselitismo”. Così si concludeva il manifesto di Rivolta femminile, basato su un testo elaborato da Carla Lonzi, Carla Accardi  ed Elvira Banotti, comparso nel luglio del 1970 sui muri di Roma.

Molto tempo è trascorso da quel lontano 1970, il paesaggio urbano è mutato, le necessità dei suoi abitanti allo stesso modo si sono trasformate, ma da più parti si avverte l’ineluttabile constatazione di una nuova urgenza, discorsiva, comunicativa, politica nell’accezione etimologica del termine, di infiltrazione della componente soggettiva ed esistenziale all’interno dei meccanismi poco oliati di una società che sembra disprezzare la partecipazione e l’aggregazione, negando la necessità di spazi di libertà in un universo sempre più incancrenito dallo scorrere ineluttabile e ordinario del tempo. Che cosa intendevano Lonzi, Accardi e Banotti quando sostenevano di ricercare l’autenticità del gesto di rivolta? Quale rivolta è possibile attuare in questo preciso momento storico? Quali strategie di resistenza?

Non siamo soltanto degli osservatori passivi. Da un lato, la città e le sue istanze di cambiamento, dall’altro, una modalità di diffusione di massa, quella del manifesto, che ha a che fare con contenuti non esclusivamente politici, o meglio non soltanto, ma che in un’ottica ampliata va inteso come ferma dichiarazione identitaria, ferma perché suscettibile esclusivamente allo scorrere del tempo e alle sue ritrattazioni. Il manifesto, che perciò è culturale e politico, che testimonia un’epoca insieme alle sue perplessità e ai suoi raggiungimenti, temporanei o meno che siano, è il centro della riflessione avviata da Marcello Smarrelli con la nuova edizione di Conversation Piece. La collettiva inaugurata presso gli spazi della Fondazione Memmo a Roma ha nel sottotitolo, Non v’è più bellezza, se non nella lotta, mutuato direttamente dal Manifesto del futurismo del 1909, il sottotesto sensibile del dialogo messo in atto all’interno degli spazi della Fondazione mediante il confronto tra le opere di Rebecca Digne, Invernomuto, Julian Rosefeldt e Marinella Senatore, realizzate appositamente per la mostra o riadattate per essa.

Se l’intento precipuo del progetto è quello di monitorare la scena artistica contemporanea della città, attraverso un’attività di ricerca che, con il concorso di accademie e istituti di cultura stranieri, garantisce un fertile dialogo tra istituzioni e artisti presenti anche solo temporaneamente a Roma, al contempo il nuovo ciclo espositivo testimonia con fermezza, nella scelta degli artisti presentati e nella logica stessa del progetto, una necessità chiara che è quella di fare del manifesto e delle sue declinazioni – sociali, politiche, esistenziali – un’espressione della riflessione che accomuna pratiche artistiche e linguaggi anche molto distanti tra loro.

Rebecca Digne, A Perdere, 2018, undici sculture,ceramica,sabbia,corda,cera,bronzo,dimensioni variabili, courtesy l'artista, photocredits Daniele Molajoli
Rebecca Digne, A Perdere, 2018, undici sculture,ceramica,sabbia,corda,cera,bronzo,dimensioni variabili, courtesy l’artista, photocredits Daniele Molajoli
Rebecca Digne, Tracer le vide, 2017, film in Super 8 e 16 mm, trasferito su digitale, 8’, courtesy l'artista, photocredits Daniele Molajoli
Rebecca Digne, Tracer le vide, 2017, film in Super 8 e 16 mm, trasferito su digitale, 8’, courtesy l’artista, photocredits Daniele Molajoli

Rebecca Digne, borsista presso l’Accademia di Francia a Roma, ricrea in mostra un microcosmo intimo e appartato, scandito da pannelli divisori semitrasparenti che suddividono lo spazio in due ambienti modellati per accogliere il video Tracer le vide (2017) – girato in super 8 e 16 mm e poi trasferito su digitale – e la serie di sculture a cera persa A perdere (2018). Tracer le vide girato tra Napoli, dove l’artista ha vissuto, e Marsiglia, città in cui è nata, è l’alternarsi fantasmatico di still a colori e in bianco e nero, è il racconto per immagini di un tentativo, quello di tracciare, impiegando delle corde, un ideale collegamento tra le due città. Quello ricreato da Digne è un percorso alternativo rispetto a quelli consueti – i tracciati delle linee di confine politico, invalicabili, per esempio – che disegna un paesaggio intimo, uno spazio della mente alla ricerca di un tempo ciclico che sfugga alla rigida dittatura della causa e dell’effetto.
A perdere è invece una costellazione di undici sculture realizzate con la tecnica antica della cera persa, sculture astratte ricoperte di un sottile strato di sabbia, a metà strada tra forme organiche e inorganiche. Le architetture utopiche di Buckminster Fuller così come lo scavo stratigrafico tipico delle discipline archeologiche e una forma di temporalità legata alla memoria sono per Digne gli elementi interagenti di una ricerca che fa del manifesto l’espressione di una pratica che ritrova nell’interiorità il suo spazio di azione. Se ad essere sperimentato è il senso di precarietà che rivaleggia contro il carattere immutato degli oggetti, allo stesso tempo, nella dimensione personale di un tempo che è quello del vissuto, l’artista rintraccia delle alternative possibili, ponendosi a confronto con la storia di luoghi e oggetti da cui si origina una archeologia della memoria e del soggetto.

Invernomuto, Repeater, Fundi, Bass, 2018, fanzine, courtesy gli artisti e Pinksummer Genova, photocredits Daniele Molajoli
Invernomuto, Repeater, Fundi, Bass, 2018, fanzine, courtesy gli artisti e Pinksummer Genova, photocredits Daniele Molajoli

Invernomuto con la graphic novel Repeater, Fundi, Bass (2018), stampata in migliaia di copie e distribuita in contemporanea da MEGA a Milano, impiega il manifesto, in questo caso sotto le vesti di una fanzine, come strumento fondamentale di diffusione di una storia minore, legata alle sottoculture e alle modalità di ricezione e diffusione di una storia altra, per certi aspetti laterale, quando non apertamente sommersa. Repeater, Fundi, Bass nasce dall’incontro con un anziano Rasta jamaicano di nome Salmm, conosciuto da Invernomuto nel 2015 durante le riprese di Negus (2011-2016), il lungometraggio che esplora il sostrato mitico, culturale e storico dietro la figura dell’ultimo imperatore d’Etiopia Haile Salassie I. L’anziano ha donato agli artisti una serie di tavole illustrate, chiedendo che venissero diffuse il più possibile in modo da poter fornire la sua personale storia del Rastafarianesimo e del suo culto. Da qui, la scelta di anteporre al principio di autorialità l’intento di veicolare tramite il mezzo a stampa una storia minore, sospesa tra oralità e mito. In collaborazione con la web radio Radio Raheem, è stata inoltre trasmessa una traccia audio montata da Invernomuto e composta dalle parole di Salmm e dalle canzoni da lui citate nel testo della graphic novel – The Ethiopians, Joe Higgs, Dennis Brown e altri.
La parola, il linguaggio e la dimensione del racconto divengono dunque i fili conduttori del percorso di dialogo suggerito dalla mostra. Da una prospettiva dichiaratamente personale ed esistenziale a una dimensione politica e sociale, il valore paradigmatico del manifesto torna a essere centrale in un momento storico in cui aveva gradualmente perduto la propria funzione connettiva.

Julian Rosefeldt, La parola è sempre l'avanguardia dell'azione (monumento equestre), 2018, tessuti cuciti a mano, struttura in legno, monitor/video, 4 cavalli, dettaglio, courtesy l'artista e König Galerie, photocredits Daniele Molajoli
Julian Rosefeldt, La parola è sempre l’avanguardia dell’azione (monumento equestre), 2018, tessuti cuciti a mano, struttura in legno, monitor/video, 4 cavalli, dettaglio, courtesy l’artista e König Galerie, photocredits Daniele Molajoli
Julian Rosefeldt, La parola è sempre l'avanguardia dell'azione(monumento equestre), 2018, tessuti cuciti a mano, struttura in legno, monitor/video, 4 cavalli, courtesy l'artista e König Galerie, photocredits Daniele Molajoli
Julian Rosefeldt, La parola è sempre l’avanguardia dell’azione(monumento equestre), 2018, tessuti cuciti a mano, struttura in legno, monitor/video, 4 cavalli, courtesy l’artista e König Galerie, photocredits Daniele Molajoli

La parola è sempre l’avanguardia dell’azione (monumento equestre) di Julian Rosefeldt consiste in una performance – avvenuta in occasione dell’inaugurazione della mostra – e, successivamente nel montaggio di un video della performance svoltasi per le strade del centro di Roma, in prossimità del Palazzo del Quirinale e delle sue Scuderie – in cui quattro cavalli indossano altrettante gualdrappe su cui sono stati ricamati alcuni articoli della Costituzione Italiana. Quella di Rosefeldt è una riflessione puntuale non soltanto sulla deriva xenofoba e populista attualmente in corso e sull’ambivalenza del portato rivoluzionario/reazionario insito nel concetto di avanguardia, ma è anche una espressione della inalienabilità di diritti che, presentati come tali, dimostrano di essere i principi costitutivi alla base della storia del pensiero e dell’umanità.
Se attraverso l’iconografia del monumento equestre Rosefeldt indaga il principio di autorità e il carattere di contraddizione che si cela dietro di esso – chi fa da guida? a chi è demandata la funzione di controllo e di governance? chi tutela i diritti fondamentali? – allo stesso tempo, attraverso gli strumenti espressivi della performance, dell’immagine in movimento e della scrittura, indaga il potenziale rivoluzionario della parola e del pensiero. “I nuovi warlord della sematica e terroristi globali sono in mezzo a noi”, scrive l’artista nel testo che accompagna il suo intervento, e prosegue: “La parola è sempre l’avanguardia dell’azione. Nel bene e nel male. Per la prima volta da settant’anni, oggi è di nuovo necessario difendere la lingua”.

Marinella Senatore, installation view presso la Fondazione Memmo, Roma, photocredits Daniele Molajoli
Marinella Senatore, installation view presso la Fondazione Memmo, Roma, photocredits Daniele Molajoli

Infine, l’ambiente immersivo ricreato da Marinella Senatore, attraverso un corpus di lavori che ne esemplifica in maniera rappresentativa il percorso di artista e attivista, è frutto di una riflessione di lunga durata sulle modalità, relazionali e partecipative, della sua pratica artistica. Con gli stendardi di Palermo Procession (2018) e The Struggle Continues (2017), i wallpapers York Symphony e Protest Forms (2017) e la luminaria Renn lieber, renn (2018), Senatore amplifica la tensione rivoluzionaria del gesto e della parola, con un’attenzione costante rivolta alla storia, alla cultura, alle strutture sociali e di potere.
Impiegando media che spaziano dal collage al film, dalla performance alla danza, passando per la musica, la fotografia e l’installazione, l’artista indaga i temi dell’uguaglianza e dell’emancipazione, i contesti di aggregazione e le condizioni di lavoro, con uno sguardo lucido e disincantato sui meccanismi generativi di un sistema fin troppo fagocitante. Attraverso l’attuazione di una dinamica collaborativa, Senatore sviluppa nuove possibilità di espressione e condivisione per il pubblico; è a questo punto che il lavoro dell’artista diviene, compiutamente, il manifesto di una volontà assertiva in grado di coinvolgere una molteplicità di livelli di senso che si strutturano mediante un pensiero che si fa azione.
The Struggle Continues non è soltanto un motto, ma è anche l’auspicio e l’invito a rinnovare e allenare costantemente uno sguardo vigile e un’attitudine critica. Spingere la curiosità a indagare i meccanismi posti alla base di processi e fenomeni diviene a questo punto lo strumento fondamentale per guadagnare una nuova consapevolezza che sia anche la garanzia della possibilità di lottare giorno dopo giorno per riaffermare la propria posizione nel mondo e nella realtà contingente. La collettiva Conversation Piece Part V, attraverso un dialogo plurigenerazionale e un’attitudine alla ricerca, promuove da questa prospettiva una panoramica puntuale sulle rinnovate possibilità del discorso mediante l’arte e attorno all’arte.

Marinella Senatore, Palermo Procession, 2018, nove stendardi, tecnica mista, dimensioni variabili, courtesy l’artista e Laveronica Arte Contemporanea Modica
Marinella Senatore, Palermo Procession, 2018, nove stendardi, tecnica mista, dimensioni variabili, courtesy l’artista e Laveronica Arte Contemporanea Modica
Marinella Senatore, installation view presso la Fondazione Memmo, Roma, photocredits Daniele Molajoli
Marinella Senatore, installation view presso la Fondazione Memmo, Roma, photocredits Daniele Molajoli
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