Si spiega ma non si spezza è un gioco di parole che dà il titolo alla seconda personale di Gianluca Codeghini alla Galleria Six di Milano. La logica del paradosso e la pratica del gioco guidano la ricerca dell’artista che mira a rompere la consuetudine, ad abbandonare i riferimenti abituali per osservare il mondo con uno sguardo portatore di una forma intuitiva, di conoscenza del mondo colto nel suo perenne divenire. È l’invito a fare uno scarto, a deviare temporaneamente dalla strada maestra, sicura e rassicurante ma priva di sorprese, per inoltrarsi nel sentiero incerto della scoperta, che presuppone il ripensamento e il dubbio ma permette lo stupore e aiuta ad affinare la vista e a scoprire aspetti nascosti e invisibili – perché mai osservati – della realtà che ci circonda, addentrandosi nelle pieghe e scrutando le parti in ombra con perseveranza e quasi con cocciutaggine: si spiega ma non si spezza, appunto.
Questo approccio invita a sfide quasi impossibili, come quella che Codeghini affronta in questa occasione: fare una mostra di pittura non essendo un pittore. L’idea nasce da una sollecitazione di Emilio Prini risalente agli anni novanta e diventa – vent’anni dopo – un esercizio in cui la pittura si cela sotto mentite spoglie e risorge inaspettata e imprevedibile, virale e pervasiva, al punto da affermare che tutto è pittura o forse niente lo è.
Pittura è segno che assume sembianze instabili e configurazioni transitorie: la personale attualmente visitabile in galleria è una tappa di un processo in corso d’opera che nell’arco di quindici giorni prima dell’inaugurazione ha visto mutare la sua organizzazione, poi intuibile dalle tracce dei numerosi passaggi e il cui senso sta nei gesti che si accumulano fino a confondersi nel limite tra pittura e scultura – o Sulla pittura e sotto la scultura, come scrive Codeghini in un testo pubblicato nel catalogo-manifesto edito in occasione della mostra.
Ricollocare significa inevitabilmente destabilizzare: una pratica che accomuna Codeghini e Prini. In mostra una selezione di sette lavori in cui la pittura si sottrae, si contradice e si afferma con spostamenti concettuali minimi o abissali: è un gioco di prestigio che prevede di atti sparizione (Quando arrivi, 1991-2019 e Don’t stop smiling, 2005-2019), di occultamento (OTP One time pad 1997-2019), di pura potenzialità (Platone di esecuzione, 2019) e perfino di transustanziazione in scultura (Cracked fingers, 2018), sempre muovendosi in uno spazio duttile, che comprende la dimensione infrasottile di duchampiana memoria.
Lavori nuovi e ripresi a distanza di tempo tracciano un percorso antologico e raccontano di una ricerca costantemente ripensata, sempre rinnovata alla luce delle nuove intuizioni, che si fa dispositivo per esperire diversamente il quotidiano.
Il catalogo in forma di manifesto pieghevole – vera e propria opera prêt-à-porter intitolato Un muto dice a un sordo, c’è un cieco che ci osserva, con testi dell’artista e l’interessante saggio Terry Atkison, nato da un confronto diretto durante il processo espositivo. Per il finissage – il 18 gennaio – è prevista una performance e la presentazione di una pubblicazione in tiratura limitata a cura de laciecamateria edizioni con una breve intervista di Elio Grazioli a Gianluca Codeghini sulla genesi della mostra, è anche in preparazione una pubblicazione della collana Segnature a cura di Paola Lenarduzzi.
PS: La documentazione fotografica non è aggiornata ad oggi: la mostra è un work in progress, succedono sempre delle cose. Invito ad andare in galleria chi non l’ha ancora vista ma anche chi l’ha già visitata…potrebbero esserci delle sorprese!