«L’immersione — ricorda Emanuele Coccia nel saggio La vita delle piante. Metafisica della mescolanza (2019) — è, prima di tutto, un’azione di compenetrazione reciproca tra soggetto e ambiente (…)». Accedendo alla mostra Claudia Comte. Come crescere e avere sempre la stessa forma a cura di Carolyn Christov-Bakargiev e Mariana Vecellio presso il Castello di Rivoli (Torino) — e visitabile sino al 23 febbraio 2020 —, l’impressione è quella di muoversi, con gli occhi e con il corpo, nel cuore pulsante di una metamorfica radura digitale. Lì, tra i flussi di linee e di segni germinanti che costituiscono gli undici interventi murali realizzati dall’artista specificamente per il terzo piano del museo, le tradizionali categorie spazio-temporali sono annullate in favore di un tempo espanso e di uno spazio virtuale dinamizzato. Il mondo naturale e il mondo digitale coesistono nella rarefazione del significante. Siamo parte di un unico respiro: pneuma, il soffio vitale che permea l’universo. Siamo, nella molteplicità che determina l’identico, parte integrante della “società dello zig-zag”, neologismo coniato da Claudia Comte in cui, come ci specifica in conversazione con lei, «ogni singola linea possiede un suo valore, ogni singola linea muta in qualcosa di differente e contribuisce alla creazione di un pattern che definisco la società dello zigzag». Intorno a questi punti e a tematiche quali il dibattito ecologico, l’influsso modernista e il valore dell’esperienza della spettatorialità, la redazione di ATP diary ha incontrato Marianna Vecellio, curatrice dell’esposizione.
Valentina Bartalesi: Natura/cultura, natura/minimalismo. Ad un primo sguardo, l’opera di Claudia Comte pare distinguersi per una poetica del doppio e del complementare. Tale dualità sembrerebbe oscillare tra una rarefazione progressiva, propria di una ricerca che dal “realistico” si sublima nell’astratto, e un movimento inverso di emozionalizzazione del segno. Il ruolo dell’elemento tecnologico parrebbe altresì di rilevante importanza. Come è nato il progetto per il Castello di Rivoli? Quali elementi ,a tuo parere, caratterizzano il lavoro di Claudia Comte e ne determinano l’attualità?
Marianna Vecellio: Il primo elemento che mi preme esprimere riflettendo sul lavoro di Claudia Comte è che esso combina elementi naturali e elementi digitali. Ciò che vediamo è una forma naturale che si trasforma e quei tratti non immediatamente percepibili dell’elemento naturale stesso, sono tali proprio in virtù del processo trasformativo di cui lo esso risulta parte: è la natura che si digitalizza ed il digitale che, a sua volta, diviene organico. Quello che mi pare nodale nell’approccio di Comte è la presa in considerazione di una realtà postumana e postumanizzata, in cui ci siamo già ibridati con il digitale e non sappiamo più discernere i due elementi — il naturale dal digitale per l’appunto — in quanto potentemente intrecciati tra di loro, in uno stato di perenne trasformazione. L’elemento minimalista risulta presente nei termini di riduzione delle forme, seppur con un valore estremamente differente. L’esposizione dal titolo Claudia Comte. Come crescere e avere sempre la stessa forma si compone di undici Wall-painting: ogni sala possiede uno o due Wall-painting e l’intero percorso espositivo appare sovrastato da una fascia nera che rappresenta sia il dodicesimo Wall-painting, sia l’elemento generatore dell’intero organismo. Nella creazione di esso, l’artista ha riflettuto a lungo sul luogo in cui siamo, in quanto il castello di Rivoli è innanzitutto una struttura costruita in cima ad una collina dalla quale è possibile godere dello spazio circostante. É come se, in questo modo, fossimo contemporaneamente al-di-sopra di tutto e al-di-sotto di qualcosa, sotto il tetto ligneo del museo e nel contempo sotto tale fascia nera, sorta di mondo sottomarino. Quando parliamo di natura riferendoci al lavoro di Claudia Comte intendiamo di fatto la natura in tutte le sue manifestazioni: in questo senso, nell’estate del 2019 l’artista ha svolto una ricerca sul mondo sottomarino in Jamaica che l’ha messa in contatto con peculiari realtà naturali. Una delle vicende che maggiormente ha colpito Comte è stata quella relativa ai coralli, per cui ha realizzato una mostra sottomarina presentando dei cactus-scultura collocati sul fondo nel mare. Anche nel caso della sua personale a Rivoli l’artista ha immaginato che queste forme potessero assumere una valenza sottomarina. Considerato quanto detto, siamo in un luogo per così dire ambiguo: mi piace pensare che siamo immersi in uno spazio in cui percepiamo la trasformazione della vita presente, animata da elementi naturali, organici e animali, anche se oramai tradotti in dati digitali.
VB: L’immagine della natura prodotta dall’artista, oltre che riecheggiare i temi più complessi del tempo presente – tra i quali l’antropocene, il dibattito ecologista e l’attenzione ad una filosofia del vegetale – pare riflettere l’eco di un universo intimo e autobiografico, regolato da ritmi dilatati. Come descriveresti questa stratificazione di significati, se essa esiste?
MV: Da un lato credo che Claudia Comte affronti l’aspetto naturale per ragioni biografiche, considerando che l’artista nasce nel 1983 a Grancy (Svizzera), un piccolo paesino tra le montagne vicino a Losanna, ai piedi del Mont Tendre, nel massiccio del Giuria. Crescendo in quei luoghi, Comte ha avuto la possibilità di conoscere i boschi, di confrontarsi con la natura, le piante, gli alberi, gli animali e con tutte le qualità intrinseche di essi. D’altro canto, proprio per il fatto di vivere in un paese così piccolo — e talvolta annoiandosi — l’artista ricorda di aver trascorso molto tempo giocando ai video giochi e di essere stata tra le prime persone a possedere un gioco della Nintendo. Tali matrici, quella digital e quella naturale, ancora una volta, sono unite inesorabilmente.
Tornando all’elemento naturale, in esso coesistono spunti iconografici effettivamente personali: nella prima sala è ospitata la scacchiera di ElectricBurst (Line sandZigzags) del 2018, costituita da una serie di coni nero su bianco. Definita successivamente The Tasmanian Devil, il diavolo della Tasmania, l’opera fa riferimento ad un animale a rischio di estinzione ed al protagonista dei Looney Tunes — il celeberrimo Taz, un mostriciattolo che vortica su se stesso scoprendo i denti. Comte ricava queste forme di colore dalle fauci di Taz e tale appropriazione rimanda idealmente alla sua storia personale, al suo amore per il linguaggio dei cartoons e per quel linguaggio immaginario che consente di stilizzare le forme, “trascendendo” le medesime. Si tratta di un vero e proprio flow, di un flusso di informazioni in movimento.
Un ulteriore aspetto che l’artista intende far emergere è quello della dimensione democratica del suo lavoro. Dinnanzi alle opere di Claudia Comte siamo tutti uguali, percepiamo tutti i medesimi elementi in quanto forme ottiche: in altri termini, ognuno di noi è soggetto alle medesime regole visive. Come sostiene l’artista “Le mie opere non sono gerarchiche, siamo tutti uguali dinnanzi ad esse e siamo immersi in esse nella stessa maniera”. Se da un lato esistono dunque elementi autobiografici che influenzano il lavoro dell’artista, dall’altro la dimensione collettiva ricopre un ruolo altrettanto importante. Vi è in ciò inoltre una peculiare attenzione per il tema della diversità nell’identico. Per descrivere tale peculiare approccio Comte ha spesso utilizzato la metafora del formicaio che, ospitando formiche apparentemente identiche, diviene una figura di confronto con i Wall-painting. Ad un primo sguardo infatti, i Wall-painting possono apparire identici nei loro pattern: tuttavia, ciascuna linea di essi risulterà sempre differente dalle altre, oltre che realizzata manualmente. Chiaramente per far ciò Comte si avvale anche del linguaggio digitale, tracciando linee aventi uno sviluppo autonomo che, coprendo l’intera superficie della parete, generano un’intensità fondata su parametri ottici e visivi. L’artista intende questo fenomeno in termini di “visione dall’alto”. Per esempio, nel Wall-painting di 360 gradi Curves and Zigzags(colorfulgradient) del 2019, la metamorfosi della linea è ciclica e continua: così, la linea da diritta diventa a zigzag per poi sfumare nella linea curva e ricominciare d’accapo la metamorfosi. Quest’organismo di linee eterogenee viene definito dall’artista “società dello zig-zag”, una società della biodiversità in cui tutti contribuiamo alla creazione di un unico pattern attraverso la molteplicità dell’identico.
VB: Scorrendo la produzione di Comte emerge immediatamente l’estrema versatilità con cui l’artista si rapporta a media e tecniche differenti – installazioni ambientali, performance, sculture, pitture e interventi murali per citarne alcuni. La personale di Comte presentata al Castello di Rivoli, per altro sua prima in Italia in uno spazio pubblico, affronta in maniera esaustiva e monografica la produzione parietale dell’artista. Potresti spiegarmi le ragioni dietro a tale particolare approccio mediale? Quali narrazioni la mostra avvia o favorisce?
MV: Su questi temi è possibile riscontrare una sorta di statement di tipo concettuale, legato a tematiche quali l’inquinamento ambientale: l’artista desiderava infatti realizzare un’opera che letteralmente “non aggiungesse altro”. Si tratta così di un’opera effimera, un’installazione che non si esplica in altri oggetti e che perciò può essere definita ecologica. Da un punto di vista curatoriale tale scelta risulta piuttosto radicale, considerando la complessità di progettare una mostra basata soltanto su questo genere di opere. A mio parere è fondamentale l’esperienza di appartenenza che la mostra, essendo composta da pareti interamente dipinte, favorisce: è come se ci addentrassimo in un bosco, in cui percepiamo e non percepiamo la vegetazione che ci circonda. Siamo immersi in esso ed esperiamo una forma paradigmatica di esistenza, in una mostra che corrisponde alle sue stesse pareti. A questo riguardo ho letto il libro straordinario di Emanuele Coccia “La vita delle piante. Metafisica della mescolanza”, che mi ha molto aiutato e in cui credo di poter ravvisare elementi di prossimità rispetto ad alcuni assunti elaborati in mostra.
VB: Volendo provare a cogliere la complessità dei lavori di Comte i termini di confronto si rincorrono. Gli eventuali riferimenti al Minimalismo di Sol Lewitt, all’Astrattismo, ad una forma di naturalismo geometrizzato o tradotto in archetipo – vengono alla mente gli “alberi“ di Mondrian – paiono agire simultaneamente, in un’interazione fondamentalmente autonoma, generando un disegno spaziale immersivo. Quali sono, se presenti, i riferimenti alla Storia dell’Arte e alle figure del Novecento?
MV: Le sue fonte di ispirazioni da un punto di vista storico sono molteplici seppur mai riprese in modo pedissequo. Tra di esse possono essere annoverate il Minimalismo, l’Arte concettuale — nelle figure di Sol Lewitt e Frank Stella per esempio — oppure l’Hard edge painting di Bridget Riley, o ancora l’Optical art. Comte fa inoltre espressamente riferimento alla Gesamtkunstwerk, l’opera d’arte totale, che in qualche modo richiama l’attività di John M. Armleder, artista svizzero a cui lei guarda molto soprattutto per la capacità di raccontare: militando in Fluxus l’artista possedeva sia una tensione propriamente performativa, sia — e soprattutto — la capacità di connettere nella creazione artistica elementi proveniente dalla cultura bassa e alta. Per questa mostra l’artista ha citato inoltre la figura di Piet Mondrian in relazione al Wall-painting Fishes in the stream, un intervento assolutamente astratto simile al codice Morse. L’artista ha inizialmente definito i diversi Wall-painting con titoli che poi è andata a modificare nel tempo: nel caso in esame esso in un primo momento si è intitolato Morses, per poi essere chiamato Pesci nella corrente. Il riferimento a Mondrian da parte di Comte, non essendo totalizzante, si focalizza sulla fase di progressiva astrazione formale perseguita dall’autore.
VB: Muovendosi attraverso l’esposizione il tema della “percezione” dei Wall-painting risulta nodale. I segni tracciati da Comte ci avvolgono, vibrano generando una sorta di campo magnetico esteso, che “fuoriesce” dalla parete. Quale ruolo viene assegnato allo spettatore e all’esperienza spettatoriale da parte dell’artista, se un interesse del genere sussiste?
MV: A mio parere lo spettatore deve sentire e provare un sentimento di partecipazione ad una naturale dimensione di appartenenza: deve avvertire un fluire, sentirsi parte di un tutto. Un tema che vorrei evidenziare rispetto alla qualità pittorica dei lavori di Comte, è che tutto ciò che è lasciato bianco è pensato come tale; il bianco non è un elemento passivo, ma risulta anch’esso esito di un intervento voluto dall’artista. Il contributo dello spettatore ha in qualche modo a che vedere con la metamorfosi dell’essere vivente. Comte fa spesso riferimento all’eredità delle pitture parietali rupestri, prime ancestrali rappresentazioni attraverso cui l’essere umano ha auto-affermato la propria esistenza, raffigurando il proprio rapporto con la realtà e con gli animali. Lo spettatore partecipa a tutto questo: Comte concepisce i Wall-painting come prossimi a quelle testimonianze, le quali assurgono forse la versione più asciutta e antica di arte.
In occasione della visita al Castello di Rivoli abbiamo avuto inoltre modo di confrontarci con l’artista Claudia Comte, e di trarre alcune preziose informazioni sul suo modus operandi, oltre che sul sostrato semantico che regge la sua poetica.
Claudia Comte (tradotto dall’inglese): É stato per me un privilegio avere la possibilità di lavorare in questo spazio per così tanto tempo, considerando che sono stata qui per un mese con un team di 15 persone. É importante segnalare che tutto ciò che compare sulle pareti risulta interamente dipinto. Sotto un profilo operativo, il primo step è stato quello di ottenere la planimetria del museo che ho misurato e ri-misurato migliaia di volte, per poi creare i rendering al computer dei differenti morfismi. Si tratta di un momento divertente, in quanto per molti mesi vivo letteralmente immersa nei rendering e poi, una volta giunta sul posto, metto in atto l’appropriazione materiale del contesto. Qui prende avvio l’elaborazione concreta degli interventi, per cui porto con me tutto il materiale occorrente – matite, nastri, materiale pittorico – per creare le forme nello spazio. Il confronto tra progettazione digitale e trasposizione nella realtà costituisce un momento nodale: il gruppo di lavoro è in questo senso fondamentale. I riferimenti sottesi ai morfismi che realizzo sono principalmente connessi al mondo della fauna e della flora.
La stanza di Curves and Zigzags (colorful gradient) è molto importante per me, in quanto si tratta del più grande Wall-painting che abbia sinora realizzato: esso si genera dal centro con una serie di linee rette – ogni singola linea muta in qualcosa di differente – procedendo così dalla linea dritta, alla linea a zig zag, alla linea curva, perpetuando poi tale sequenza. Ogni singola linea possiede un suo valore e contribuisce a creare un pattern che definisco società dello zigzag. Un altro elemento fondamentale è costituito dalla fascia nera che corre al di sopra dell’intero percorso espositivo, arrivando a rappresentare a sua volta il Wall-painting più lungo che abbia realizzato. Si tratta del dodicesimo Wall-painting pensato per la mostra che unisce e contiene tutti gli altri elementi: questo fascio costituisce il punto di partenza dell’interno organismo.
Claudia Comte. Come crescere e avere sempre la stessa forma
A cura di Carolyn Christov-Bakargiev e Marianna Vecellio
31 ottobre 2019 – 23 febbraio 2020
Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Torino