Pile di oggetti accatastati, vestiti, borse, gioielli, opere d’arte, libri, mobili e arredi in disuso; non è un grande magazzino o un bazaar e neanche uno dei tanti negozi di souvenir che invadono le calli del centro storico di Venezia; è “l’ordinato caos” che Christoph Büchel crea negli ambienti di Ca’ Corner della Regina, sede permanente della Fondazione Prada dal 2011.
L’artista svizzero realizza un progetto espositivo sui generis partendo proprio dalla rilettura della storia dell’edificio: dimora nel XVIII secolo della famiglia dei mercanti Corner di San Cassino, il palazzo divenne successivamente proprietà della Chiesa e dal 1834 al 1969 ospitò il Monte di Pietà, istituto ecclesiastico destinato a concedere prestiti a basso tasso di interesse. Concepita come un’unica istallazione immersiva, la rassegna, che prende il titolo di Monte di Pietà, ricostruisce un banco dei pegni in fallimento basato sull’aspetto originale del posto. Riflettendo sul concetto di debito come veicolo primario attraverso il quale vengono esercitati il potere politico, economico ma anche culturale, Büchel indaga i meccanismi di dominio e di controllo espletati dal denaro e, oggi ancora di più, dalla moneta virtuale.
Il percorso espositivo si articola tra gli spazi dell’androne, del mezzanino solitamente chiuso al pubblico, e del piano nobile, dove vengono ricreati degli ambienti specifici come il Banco Alimentare, la Cappella della Pietà dell’Istituto Cavanis di Venezia, l’ala dedicata alla pignorazione dei beni preziosi o le stanze di un casinò. Oggetti di diverso tipo, dai quadri alle armi, si susseguono ovunque, in ogni angolo, causando una crescente saturazione visiva. Camminando in questo labirinto, a tratti claustrofobico, ritornano in mente le parole di Italo Calvino che nel 1980 scriveva: “Ce ne siamo accorti da un pezzo: il magazzino dei materiali accumulati dall’umanità – meccanismi, macchinari, merci, mercati, istituzioni, documenti, poemi, emblemi, fotogrammi, opera picta, enciclopedie […] – non si riesce più a tenerlo in ordine”. Eppure, il microcosmo generato da Büchel non si è autogenerato, l’artista infatti ha studiato accuratamente dove posizionare ogni singolo pezzo.
In questa polifagia dell’accumulo si mimetizzano diverse opere d’arte provenienti da collezioni pubbliche e private. I visitatori più attenti, o quelli più fortunati, potranno riconoscere un piccolo bozzetto dell’artista futurista Giacomo Balla (Fallimento, 1902), il ritratto di Caterina Cornaro realizzato da Tiziano nel 1542, varie versioni di Merda d’Artista di Piero Manzoni o un comune barattolo contenente delle monetine firmato da Andy Warhol (Heinz Kosher Dill Pickles Jar with Alarm,1974), oltre alle produzioni dello stesso Büchel come The Diamond Maker (2020-), una valigia contenente diamanti artificiali creati in laboratorio.
Tra i capolavori che si perdono in mezzo a questa meditata stratificazione, si trovano anche al pian terreno i registri del Monte di Pietà di Venezia insieme ad alcune fotografie storiche del palazzo.
Una mostra che provoca e disorienta, a partire proprio dall’entrata, dove i cartelli segnaletici “House of Diamonds” e “Compro oro vendo oro” che incorniciano la porta d’ingresso di Ca’ Corner della Regina sviano il pubblico (perfino quello abituale); così come alcuni dei manifesti – “Liquidazione totale”, “Fuori tutto”, “Vendesi” – affissi sulla facciata esterna del Palazzo che si prospetta sul Canal Grande.
Inaugurata durante i giorni di pre-apertura della 60. Esposizione Internazionale d’Arte, la rassegna curata da Büchel si impone come una critica velata e sottile al sistema dell’arte, tanto che al piano nobile appare una copia della tela, girata e con su scritto nel retro “la Biennale è fascista”, che l’artista Gastone Novelli presentò durante l’esposizione del 1968.
Non è poi cambiato molto dagli anni Sessanta, l’invettiva contro la Biennale d’Arte continua nel manifesto presentato all’inizio della mostra che riflette sul sistema-biennale che incrementa la speculazione della città “una volta un gioiello di cultura e comunità” oggi “un parco giochi distopico per ricchi”, e “alimenta questo ciclo distruttivo, attirando orde di facoltosi turisti”. Con quelle che potrebbero essere le parole di qualunque residente del centro storico si legge: “l’over-turismo ha trasformato le nostre strade in spazi invivibili, le nostre case in unità Airbnb e la nostra cultura in una merce per il miglior offerente”. Il manifesto si conclude con suggerimento: “invitiamo il Comune di Venezia ad ascoltare la sua gente e ad agire con coraggio”. Chissà se saremo capaci di ascoltare quest’ennesimo grido.