A margine e complemento del Video Sound Art Festival, rassegna itinerante milanese che per l’edizione 2024 è approdata al quartiere Lodi Corvetto (ne abbiamo parlato qui), la curatrice Laura Lamonea con la collaborazione di Marta Cereda ha coordinato altri due progetti autonomi, differenziati nelle modalità di attuazione e nelle tematiche trattate. A Place to Stay di Cecilia Mentasti (Varese, 1993), allestita per tutto il mese di ottobre negli spazi di Careof, è l’esito di una ricchissima ricerca condotta dall’artista in archivi e biblioteche di tutta Italia, tra cui la Biblioteca della Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, l’Archivio ASAC della Biennale di Venezia e quelli dell’Università Statale di Milano e della stessa sede di Careof, e volta a indagare la storia e la poetica di ben 200 artist* italian* del Novecento, con un’attenzione prevalente alle poetiche meno battute, più distanti dal sistema dell’arte; oppure, nei casi dell* artist* più conosciut*, privilegiando opere meno note della loro produzione. Il corpus peraltro manifesta uno sguardo privilegiato (per quanto scaturito in modo spontaneo) verso il proprio territorio di origine. Da questo grande bacino di informazioni grezze l’artista ha elaborato una serie di storie, ponendosi nel solco dei celebri storiografi del passato (tutti uomini), ma al contempo sovvertendolo nell’atto di raccontarle ad una serie di ascoltatori peculiari, ovvero altrettanti cani di razze e indoli differenti, incoraggiati a prendere parte all’operazione grazie ad alcuni biscotti prodotti dalla stessa Mentasti (ed esposti come opera da Careof). Il pubblico umano può ascoltare questa storia anticonvenzionale dell’arte italiana del Novecento solo dopo che questa è stata adattata e trasmessa ad altri destinatari. “Mi sembrava che il cane fosse un interlocutore più idoneo dell’essere umano, anche per la leggerezza che volevo che l’opera avesse – spiega Cecilia Mentasti – raccontare in forma linguistica un’opera è una forzatura, quindi mi sembrava adeguato rivolgermi a un cane, perché questo sente qualcosa ma a un diverso livello di comunicazione”, un livello evidentemente più empatico ed istintivo; per raccontare predilige del resto modalità espressive adatte ai propri interlocutori non umani, le cui presenze e identità sono ben percepibili nelle registrazioni. L’artista conferma: “Il rapporto che ho con queste storie è estremamente emotivo”; e ricorda ad esempio la storia del Gruppo Immagine Varese, il primo collettivo di artiste femministe a partecipare alla Biennale di Venezia, così legato al contempo al suo territorio. Se nella mostra viene presentata come unica opera sonora una selezione di 75 storie, il progetto trova una sua seconda restituzione in un prodotto complementare, vale a dire una pubblicazione edita da Corraini in cui, di fronte all’impossibilità di trascrivere l’antologia orale di biografie, si è scelto invece di dare spazio alla componente visiva dei ritratti fotografici degli animali. Il volume è completato da una serie di saggi che approfondiscono le tematiche inerenti al linguaggio e al rapporto con la storia dell’arte affrontate nel lavoro.
Rispetto alla modalità dell’evocazione in assenza e dell’opera come flusso etereo e sfuggente di storie che connatura A Place to Stay, è sulla forte presenza del corpo che si fonda la performance Utopia Gym di Marilisa Cosello (Salerno, 1978), messa in atto il 19 ottobre scorso presso la Palazzina dei Bagni Misteriosi del Teatro Franco Parenti. Da anni l’artista riflette sulla capacità rappresentativa della gestualità e dei riti dello sport, o della loro degenerazione, che, una volta decontestualizzati, sono in grado di rivelare le strutture di potere vigenti nella società contemporanea. In questo caso un gruppo di atlete professioniste di ginnastica artistica esegue una coreografia di gesti scandita dai suoni preregistrati dei movimenti e dei respiri delle atlete, mentre viene proiettata, a contrasto, un’opera video in cui invece queste sono mostrate mentre sono immerse in un sonno profondo. “Il corpo femminile diventa un corpo politico e il simbolo di una costruzione sociale – commenta l’artista – se attraversiamo la storia dello sport a partire dal mondo greco-romano si vede come questa pratica è sempre risultata essere la formalizzazione di un’idea di ambizione, di realizzazione estetica, di un potenziale ipotetico dell’essere umano. Lo sport sotto alcuni punti di vista è meraviglioso, perché l’artista è pienamente cosciente del suo corpo e lo padroneggia in libertà, e questo è un caso raro nell’epoca contemporanea in cui solitamente il corpo è vissuto piuttosto come un involucro oggettificato. Eppure, allo stesso tempo, se si cala lo sport nel contesto sociale, il corpo deve rientrare in una serie di regole ben definite all’interno di un apparato. Tutto questo è sempre legato a determinati linguaggi e a forme di traduzione in immagine di questi schemi. Dunque, il mio proposito era stravolgere questi codici e creare una forma di rottura”. Le giovani atlete di Utopia Gym nel corso della performance divergono rispetto al tradizionale binomio bellezza-perfezione; quando iniziano a muoversi sono bellissime e perfette, ma ad un certo punto qualcosa si rompe, capita sempre più spesso che falliscano i movimenti fino a cadere ripetutamente. “Sono errori semplici e terribili”, a cui fa da contraltare il video del loro riposo “tranquillo e meraviglioso”, “un’altra forma di ribellione”. La performance è concepita come un’opera lirica a capitoli e si rapporta allo spazio suggestivo della Palazzina dei Bagni Misteriosi, a contrasto con gli spazi connotati che portano con sé altre narrazioni: un salone centrale più industriale, scandito da un colonnato; una libreria con il soffitto azzurro; altri corridoi pieni di porte chiuse che non conducono da nessuna parte. La coreografia, pur diramata in simultanea su tutti gli ambienti, si sviluppa in sequenza come un’onda fino al climax della caduta simultanea delle ginnaste, ognuna vittima di un proprio personale fallimento, e si conclude con la costituzione di una palestra utopica, un’immagine quasi fissa di corpi che si allenano mentre sullo sfondo quegli stessi corpi sono mostrati mentre dormono in una pace idilliaca. Utopia Gym è frutto dell’invito avanzato all’artista dall’associazione VIDAS, che dal 1982 offre assistenza sociosanitaria gratuita per cure palliative a persone affette da malattie inguaribili, mettendo al centro fino all’ultimo istante la dignità della persona e il suo attaccamento alla vita, attraverso e nonostante la precarietà della sua dimensione corporea.