Non capita certamente tutti i giorni di soggiornare all’interno di un castello, uno di quei luoghi magici che abbiamo imparato ad immaginare da piccoli. Civitella Ranieri Foundation ha appunto sede in un castello medievale a metà strada tra Perugia e Città di Castello e anche quest’anno ha ospitato, per la seconda edizione, Casting the Castle, progetto curato da Saverio Verini. (L’edizione del 2018 raccontata da Vasco Forconi )
Casting the Castle ha certamente il merito di far rivivere gli spazi del Castello aprendone le porte al pubblico e dimostrando, per altro in occasione dei 25 anni di attività della Fondazione, l’interesse di questa stessa non soltanto verso una partecipazione attiva della comunità radicata in quei territori ma anche verso un programma di valorizzazione del patrimonio storico e artistico che culmina nelle residenze per artisti visivi, scrittori, compositori e ricercatori provenienti da tutto il mondo.
Alla base del progetto vi è una pratica curatoriale che chiaramente si radica nel contesto, ricercando un ponte di continuità tra i luoghi, da intendersi come territori abitati e permeabili, attraversati da mutamenti e svolgimenti continui, e gli artisti invitati a prendere parte al progetto, chiamati a tornare ancora una volta a Civitella.
Questa seconda edizione di Casting the Castle si è rivolta principalmente alla performance, con gli interventi, dislocati tra il salone, la biblioteca e la cantina del castello, degli artisti Cristian Chironi, Francesca Grilli, Cesare Pietroiusti, alumni di Civitella Ranieri Foundation rispettivamente nel 2012, 2017 e 1996, insieme a una mostra di collage di Mark Strand, Director’s Guest a Civitella nel 2012.
Ad accogliere gli spettatori, presso la Galleria della Fondazione, la mostra di collage del Premio Pulitzer Mark Strand, un insieme di piccoli lavori di straordinaria intensità realizzati dal poeta tra il 1989 e il 2014 e mostrati in anteprima in Italia proprio a Civitella. I collage di Strand, che in gioventù studiò a Yale e fu allievo di Josef Albers, dimostrano una forte sensibilità per il colore – certamente frutto anche degli anni di studio a contatto con Albers – che si radica nella scelta di optare per un controllo formale radicale dell’“immagine” – sempre astratta, e restituita in potenza – originata dalla giustapposizione lenta e metodica di piccoli lacerti di carta colorata. I collage, paesaggi mentali che si inerpicano sui sentieri del colore disegnando una geografia intima e raccolta, risultano essere quasi degli esercizi di concentrazione assorta, mementi.
Chironi ha presentato Cutter, performance sviluppata dall’artista durante la sua residenza a Civitella; mediante un bisturi, l’artista sottrae, con una precisione quasi chirurgica, dalle pagine di alcuni libri accatastati su un lungo tavolo immagini di fondali marini, vulcani, piante, insetti, volti, catapultando gli spettatori all’interno di un mondo fantastico all’insegna di un ideale viaggio in cui si sovrappongono e scambiano il piano del reale e quello dell’illusione. Con uno sguardo a metà strada tra l’approccio antropologico e quello del viaggiatore sognante, la pratica performativa di Chironi recupera una gestualità minima che si impossessa della giustapposizione in chiave analogica di immagini, suono e azione.
Gold Revolution è invece la performance che Francesca Grilli ha ambientato negli imponenti spazi della biblioteca del Castello, che custodisce, tra gli altri, un fondo librario donato a Civitella proprio da Strand. Un falco, presenza a un tempo minacciosa e poetica, volteggia sulle teste dei visitatori, invitati a sedersi e a leggere alcune pagine di testi incentrati sulla politica, sull’educazione civica, sul concetto di rivoluzione tout court. Nel silenzio assorto di questo ambiente, due performer si aggirano nella sala, mentre il falco plana rumorosamente sui tavoli facendo la spola da un lato all’altro della biblioteca.
L’interesse di Pietroiusti “per le situazioni paradossali o problematiche nascoste nelle pieghe della ordinarietà dell’esistenza” si è sostanziato in una performance quasi rituale attraverso cui l’artista, avvolto nell’oscurità infittita dal denso odore del fumo, brucia in tempo reale alcuni fogli di carta. Nella semi-oscurità si scorgono gli anelli concentrici delle bruciature compiute su alcuni dei fogli lasciati a terra a consumarsi lentamente, mentre all’esterno, su di un tavolo, il pubblico è invitato a partecipare attivamente alla performance portando con sé i fogli lasciati in dono dall’artista.
C’è un aspetto che certamente si lega in maniera imprescindibile alla performance, questo aspetto è il tempo. Attraverso gli interventi performativi, tempo e performer diventano un unico e si sovrappongono scambiandosi costantemente con i luoghi e con chi quei luoghi li attraversa. Gli interventi di Chironi, Grilli e Pietroiusti sono in questo accomunati dall’interesse verso una forma di temporalità che sospende il tempo ordinario, quello del quotidiano, enfatizzando in modo determinante una congerie di forme di temporalità partecipata che altro non è che una incursione nei territori del misterioso e del magico. Questa incursione diviene lo strumento privilegiato attraverso cui aprire le porte di un luogo ammantato di fascino, un luogo in cui il tempo scandito dalle lancette dell’orologio cede il passo a un tempo interiore votato al silenzio e al raccoglimento. Spesso si fa ritorno in un luogo, ancor prima che quel luogo sia stato esperito.