Finalmente Verona ha un museo d’arte moderna e contemporanea che può competere con i vicini di casa: non si tratta della collezione civica d’arte moderna della città – esposta invece a Palazzo della Ragione dal 2014 e un tempo fulgida galleria d’arte con mostre e percorsi didattici a Palazzo Forti – né di un nuovo allestimento delle collezioni antiche del bel Castelvecchio. Si tratta piuttosto di un palazzo che chiude, con la sua facciata barocca, un lato della centralissima Piazza delle Erbe: Palazzo Maffei.
L’edificio è frutto di un imponente lavoro di ampliamento eseguito nel corso del Seicento dai banchieri Marcantonio e Rolandino Maffei: ora, fresco di inaugurazione e di restauro, è stato trasformato su idea museografica di Gabriella Belli in una casa museo, per l’importante e bellissima collezione privata (oltre 350 opere) di Luigi Carlon, imprenditore e collezionista veronese. Si oltrepassa l’arco d’ingresso del palazzo e si resta immediatamente stupiti dalla sua bellezza: è composto da due corpi di fabbrica raccordati da due corti comunicanti, dove si aprono finestre dal piano nobile tutt’intorno, affacciandosi su un balcone a ringhiera. Meraviglia di più, tuttavia, la scala elicoidale autoportante che si percorre verso l’alto, per raggiungere il piano nobile dove inizia la visita al percorso museale.
Questo si sviluppa cronologicamente e per temi, lungo 18 sale, ognuna con una sua personalità: se nella prima parte si privilegia il dialogo con gli ambienti, per ricreare l’idea di una dimora privata e il senso di una wunderkammer in cui si mescolano le arti, tra linguaggio antico e contemporaneo, arte decorativa, arredi e opere pittoriche; nella seconda parte, dedicata al Novecento e all’arte contemporanea, è stata creata una vera e propria galleria museale. Carattere peculiare della collezione è inoltre la presenza forte della storia artistica veronese con una raccolta d’arte antica e moderna che narra molte e variegate visioni della città scaligera nel tempo (tra le altre, ci sono opere di Altichiero e Liberale da Verona, Nicolò Giolfino, Antonio e Giovanni Badile, Giambettino Cignaroli).
La prima sala si affaccia su Piazza delle Erbe, ospitando manufatti d’arte antica tardo-gotici (reliquiari, placchette a sbalzo, altaroli da viaggio, cofanetti nuziali) e un ciclo di tele a parete di soggetto mitologico. La seconda e la terza sala, di piccole dimensioni, sono invece scrigni tematici e mistici: una a tema spirituale in rapporto con il contemporaneo e l’altra che indaga la storia della maternità e della figura mariana nei secoli, fino all’arcaismo moderno di Arturo Martini. Tra i capolavori della seconda sala c’è la pittura trecentesca veronese con un’opera attribuita al Secondo Maestro di San Zeno e una tavola del fiorentino Lippo d’Andrea: in mezzo a questi due fondi oro, emerge un “concetto spaziale” rosso di Lucio Fontana, la cui forza vitale e simbolica si esprime in maniera perfetta.
La sala successiva, dedicata ai santi e agli eroi, ripercorre la storia della pittura veronese tra XVI e XVIII secolo, offrendo alla vista molte opere dipinte su lavagna o su pietra di paragone, caratteristica della collezione Carlon: questa tecnica era molto usata nel primo Seicento in area veronese e bresciana, per la vicinanza con la Val Brembana e col Monte Baldo, dove si trovava facilmente il materiale, garantendo ai dipinti effetti luministici d’ispirazione caravaggesca. L’ira funesta è il tema della quinta sala dove si incrociano le armi dei combattenti tra 1700 e orrore della guerra nel contemporaneo: la terracotta informe di Leoncillo, le lacerazioni di Alberto Burri e il cavaliere disarcionato di Marino Marini fanno il paio con i corpi aggrovigliati di Antonio Calza e del veneziano Matteo Stom, pittori di battaglie. Nella settima stanza ci sono Veneri e bellezze femminili: ammodo o sensuali, eroine o anonime, adulte o fanciulle, mogli o madri, gentili o aggressive, tutte protagoniste di questa quadreria dal carattere intimo. Dall’altro lato, nell’ottava, si procede con un focus su Verona: si trovano vedute, con architetture antiche contornate dal fiume, giardini e palazzi affacciati sulle rive, ma trova posto anche la pittura di paesaggio con scorci cittadini di carattere laborioso, tutto scaligero.
Una stanza davvero eccezionale dal punto di vista dell’allestimento eclettico – che corrisponde al gusto della collezione – è il salotto blu dove convivono pezzi di arredo e di design del XX secolo (come la Red and Blue Chair del 1917 del designer olandese Gerrit Rietveld) con preziosi mobili in lacca cinese e oggetti d’arredo del XVIII secolo.
Superate le stanze degli stucchi e delle maioliche e de “La Monachella”, eccoci infine nella parte del percorso che racconta la collezione novecentesca e contemporanea in forma di galleria d’arte: pareti pulite e neutre che danno spazio alle opere. Attraversiamo la sala “Intermezzo”, che è un’introduzione al linguaggio di rottura del futurismo: e infatti siamo accolti da Mario Schifano e il suo Futurismo rivisitato a colori, in cui omaggia Marinetti, Carrà, Russolo, Boccioni e Severini, in una foto scattata a Parigi nel 1912. Percorriamo “Futurismo” e arriviamo a “La Vita Segreta delle cose: Metafisica, Surrealismo, Realismo Magico”, dove l’oggetto e il suo mistero sono in primo piano attraverso la pittura di de Chirico, di Morandi e di Casorati – del quale sono esposti pezzi davvero interessanti e inusuali – accanto ai sogni magici e surreali di Ernst e di Duchamp.
Si prosegue con l’ “Arte Astratta nel Secondo Dopoguerra”, il dibattito vivo tra “Figurazione versus Astrazione” a partire dalla Biennale di Venezia del 1948 e intorno al redivivo mito di Picasso, per concludere con la bella sala dedicata a “Materia, Spazio, Idea” e una domanda sospesa: “Quale contemporaneo?”. Quest’ultima sala si sviluppa a partire da Il saluto dell’amico lontano di Giorgio de Chirico del 1916, per interrogarsi sullo sguardo dell’uomo contemporaneo, che è meravigliato dal mondo ma anche indagatore e razionale, perché cerca di spiegare il senso delle cose. E dell’arte.
Il futuro della collezione e di Palazzo Maffei
Ci si può domandare a questo punto quale sarà il futuro di questa collezione e del palazzo: le ambizioni sono parecchie e le strategie messe in campo altrettante. C’è in atto una convenzione con il Dipartimento di Culture e Civiltà dell’Università degli Studi di Verona con la quale si cercherà di aprire una piccola biblioteca specialistica, al piano superiore del percorso espositivo. E si cercherà di avviare relazioni con scuole di restauro per tirocini e formazioni, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Verona, Rovigo e Vicenza.
Quello che al momento manca è un dipartimento educativo strutturato, vero e proprio, con visite guidate, laboratori didattici e creativi, attività per il pubblico e le famiglie: il palazzo e la collezione si dovranno far conoscere alle scuole del territorio e non solo, per ricordarci che l’arte è un viaggio per tutti e non per pochi. Altra sfida interessante sarà quella di nutrire e affezionare un pubblico veronese incapace di sintonizzarsi sul linguaggio contemporaneo, se non nel periodo di ArtVerona o quando atterra il mostrificio di Linea d’Ombra con Goldin capitano.
Palazzo Maffei
Piazza delle Erbe,
38 37121 Verona