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La città è un organismo complesso in perenne evoluzione in cui coesistono vite, progetti e desideri in equilibrio precario tra le opposte tensioni di ordine, controllo e progettazione dall’alto e disordine, riappropriazione, autorganizzazione dal basso. È il grande laboratorio del vivere contemporaneo, da sempre al centro dell’interesse di Carlos Garaicoa che, attento osservatore, ne rivela la stratificazione delle narrazioni e delle memorie e le dinamiche delle forze attive che compongono il suo tessuto in mutazione.
Alla Fondazione Merz l’artista presenta un progetto inedito che prende spunto anche dalla città di Torino e dalla sua realtà, alla luce delle trasformazioni che negli ultimi decenni hanno cambiato la sua fisionomia economica e sociale. Il caso Torino diventa un esempio emblematico di trasformazione urbana nell’epoca post-fordista in cui la tensione utopica primo novecentesca verso il futuro e il progresso – qui rappresentata dai due grandi pannelli prismatici rotanti posti all’inizio del percorso espositivo intitolati Limpio, brillante, inùtil e Presente Passato, Futurismo – si mescola alla presenza di un passato remoto e recente che prende forma nell’architettura, metafora del potere che modella il paesaggio a sua immagine come nella serie Edificios parlantes. Ma la città è plasmata anche dalla spinta ostinata e contraria che viene dal basso, portatrice di storie individuali e collettive, di urgenze sociali e di bisogni e aspirazioni antitetiche all’ordine costituito che entrano come coprotagoniste nella complessa installazione El Palacio de las Tres Historias, che documenta fotograficamente l’interno e l’esterno di un antico edificio abbandonato: è la Cavallerizza, architettura settecentesca che rivive attualmente come spazio autorganizzato da gruppi di cittadini, che raccontano questa esperienza in una lunga intervista. Le loro parole, testimonianza di una città che cambia e tenta di proporre nuovi modelli di utilizzo comune dello spazio pubblico, si intrecciano con i proclami di Marinetti e il sogno di una città futurista e con le considerazioni amare e sempre attuali di Pasolini, voci dal passato e dal presente che formano la colonna sonora della mostra.
Le architetture costrittive del dominio come il panoptico Campus of the Babel of Knowledge, già presentato a Documenta 11, possono essere trasformate: Garaicoa cita alcuni noti monumenti italiani e non solo – tra questi la Casa del Fascio o il villaggio SNIA di Torino – compenetrandone le ricostruzioni plastiche con forme organiche, leggere e trasparenti, in grado di dare agli edifici chiusi e monumentali nuove aperture per ripensare una città a misura d’uomo e della sua immaginazione. Un progetto che guarda al passato ma sempre nell’ottica del desiderio di una città futura.
Quasi un fuori programma il nuovo video Abismo: mani stilizzate, che ricordano quelle dei fumetti, si agitano nello spazio: potrebbero essere quelle di un direttore d’orchestra durante un concerto. Ma la musica è il Quatuor pour la fin du temps, brano composto da Messiaen ed eseguito nel 1941 nel campo di sterminio Stalag VII-A di Gorlitz e i gesti sono quelli di Hitler mentre arringa la folla durante uno dei suoi plateali discorsi: un monito a vegliare sempre sulle false seduzioni del nostro presente.