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Intervista con Carlo Gabriele Tribbioli | Galleria Federica Schiavo, Milano

[nemus_slider id=”72777″] — E’ in corso fino al 16 marzo “Intorno l’altare di un Dio sconosciuto”, la seconda personale di Carlo Gabriele Tribbioli presso la galleria Federica Schiavo. In mostra sono presenti i risultati di una ricerca che l’artista ha sviluppato tra il 2011 e il 2016, in collaborazione con Federico Lodoli, ricercatore in filosofia e […]

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E’ in corso fino al 16 marzo “Intorno l’altare di un Dio sconosciuto”, la seconda personale di Carlo Gabriele Tribbioli presso la galleria Federica Schiavo. In mostra sono presenti i risultati di una ricerca che l’artista ha sviluppato tra il 2011 e il 2016, in collaborazione con Federico Lodoli, ricercatore in filosofia e regista. Tutto il percorso espositivo è incentrato sulla tematica della violenza in guerra e della sua universalità, come evento archetipico.
Tribbioli e Lodoli hanno fatto ricerche su un territorio in particolare, la Liberia, luogo in cui gli scontri civili hanno segnato profondamente la popolazione locale fino al 2016. La narrazione di questa tematica universale è suddivisa in due momenti principali, contraddistinti dalle due sale della mostra. Un primo momento è caratterizzato dalla documentazione: analisi e archiviazione si snodano attraverso una pubblicazione, una raccolta di oggetti e dei lavori grafici su carta.
Il libroTowards the altar of a god unknown – Liberian notes, a sua volta suddiviso in tre capitoli, raccoglie i risultati della lunga ricerca effettuata e rappresenta un’elaborazione di informazioni, esperienze, immagini, nomi e testimonianze. Narrazione scritta da tramandare, da leggere con dedizione e concentrazione.

Un archivio di oggetti rende tangibile l’indagine perseguita da Tribbioli e Lodoli. Un contenitore con vari cassetti estraibili conserva strati di memoria vissuta da una popolazione in guerra. Numerosi frammenti fungono da reperti di un’archeologia del presente, ai più sconosciuta. Prova reale di quanto raccontato a parole questi cimeli sono carichi di dolore, violenza e memoria. Lo spettatore può manipolare gli oggetti alla pari di un ricercatore in un archivio.
Il terzo passaggio di questa documentazione è formato da i lavori grafici della serie Altars, i quali seguono un preciso schema compositivo: la rappresentazione figurativa di una divinità guerriera, una fotografia di un luogo in Liberia dai forti connotati simbolici uniti a una nomenclatura che riporta nomi, luoghi e date dell’esperienza. Altari in cui iconografia e iconologia sono onnipresenti.
Il secondo passaggio è sancito dall’ingresso nella sala-teatro allestita per la proiezione di Frammento 53, perno attorno al quale ruota tutta la mostra. Sette testimonianze si susseguono sullo schermo. Sette uomini raccontano di un vissuto di guerra dal quale sono stati eliminati dettagli personali o riferimenti contestuali. Questi racconti potrebbero essere stati narrati da sette soldati di qualsiasi guerra. Si tratta di un’astrazione che porta a un’ampia concettualizzazione, slegata dal contesto liberiano. Tribbioli e Lodoli hanno effettuato tagli e asciugature, creando un dizionario universale della guerra, che come un rito religioso scandisce il tempo di ogni uomo.

Carlo Gabriele Tribbioli - Intorno l'Altare Di Un Dio Sconosciuto, 2018 - Installation view at Federica Schiavo Gallery, Milan - Photo Andrea Rossetti - Courtesy Federica Schiavo Gallery
Carlo Gabriele Tribbioli – Intorno l’Altare Di Un Dio Sconosciuto, 2018 – Installation view at Federica Schiavo Gallery, Milan – Photo Andrea Rossetti – Courtesy Federica Schiavo Gallery

A seguire un’intervista con Carlo Gabriele Tribbioli.

GG: Frammento 53 è un film-documentario in grado di astrarsi dalla realtà personale dei personaggi che si raccontano nei 71 minuti di pellicola. Un racconto universale in cui non vi è traccia soggettiva. Il tema della guerra è centrale e le immagini che si susseguono sono shock visivi per l’occhio degli spettatori, in particolar modo nella nostra società contemporanea, che spesso per via della lontananza cronologica, dimentica gli orrori delle guerre. Puoi parlarmi dell’origine di questo lavoro? Come è nato e quali erano i vostri obiettivi?

CGT: L’obbiettivo era realizzare un film che si proponesse come strumento per un confronto critico con i valori legati al fenomeno della guerra, da costruire sull’esperienza di un confronto personale, faccia a faccia, fra noi (gli autori) e quelli che noi abbiamo inteso come “sacerdoti” di un dimenticato dio della guerra. Dio che siede nei pantheon di tutti i politeismi, incarnando l’espressione umana di forze di conflitto e distruzione necessarie e ineludibili; la cui identità è caduta in oblio, a mio avviso, più per una questione di moralizzazione del reale che per una distanza dal fenomeno. L’origine del lavoro è stata quindi completamente speculativa. Successivamente ci siamo messi alla ricerca di un caso di studio dove poter incontrare questo tipo di interlocutori: con una profonda esperienza di guerra, ma scevri degli strumenti del giudizio morale. Una serie di intuizioni ci hanno portato al caso della Liberia, dove abbiamo fatto un primo sopralluogo nel 2011. In quell’occasione abbiamo verificato la consonanza delle nostre intenzioni con le loro testimonianze e abbiamo deciso di procedere.

GG: Un intervento a quattro mani è sicuramente molto difficoltoso, ma pensando alla tematica affrontata e ai luoghi in cui tu e Federico Lodoli avete trascorso del tempo immagino che lavorare in coppia abbia inciso positivamente sul lavoro finale. Quali sono state le difficoltà affrontate durante le riprese e come vi siete suddivisi il lavoro?

CGT: Il lavoro del film è nato a quattro mani e così si è naturalmente sviluppato nel corso degli anni, lavorando a scrittura, riprese e montaggio sempre in due, senza necessità di dividerci compiti o scendere a compromessi. Sarà stato un caso fortunato ma non abbiamo incontrato difficoltà particolari in questo senso. Avendo lavorato in uno dei paesi più poveri e caotici del modo, direi che non abbiamo incontrato nemmeno particolari difficoltà logistiche, eravamo ben preparati sin dal primo viaggio. Diversamente, per il libro (Towards the altar of a god unknown, edito da Humboldt books, Milano) abbiamo scelto di dividere nettamente i contributi: Federico si è preso la responsabilità di sviluppare il percorso teorico che ci ha guidato, io di rendere conto dell’esperienza sul campo con una selezione di memorie e immagini di viaggio.

Carlo Gabriele Tribbioli, Archivio 2011 - 20016 - Intorno l'Altare Di Un Dio Sconosciuto, 2018 - Photo Andrea Rossetti - Courtesy Federica Schiavo Gallery
Carlo Gabriele Tribbioli, Archivio 2011 – 20016 – Intorno l’Altare Di Un Dio Sconosciuto, 2018 – Photo Andrea Rossetti – Courtesy Federica Schiavo Gallery

GG: Durante l’intera proiezione mi sono chiesta come potesse essere vivere senza consapevolezza del concetto di violenza. I sette intervistati raccontano di assassini e lotte come se il dolore non facesse più parte del loro mondo. Credi sia plausibile che l’uomo in condizioni di continua esposizione alla violenza arrivi al punto di dimenticare il dolore? Quali conclusioni avete tratto riguardo alla percezione della violenza in paesi con una lunga storia di guerra, come nel caso della Liberia?

CGT: La guerra è uno status nel quale tutte le istanze etiche vengono ricollocate, cambiano natura. La violenza è una funzione necessaria della guerra e in tale contesto non ha lo stesso significato o percezione che mantiene uno stato di pace. Questi uomini sono pervasi dalla loro esperienza di guerra, dalla violenza che si esprime tramite la loro azione, dal dolore che causano e a loro volta subiscono, nelle stesse estreme espressioni. Semplicemente non si possono comparare i due stati, quello di pace e quello di guerra, e usare gli strumenti dell’uno per comprendere l’altro. A me pare che tu intenda la parola “dolore” con una sfumatura di compassione. I nostri interlocutori hanno una così profonda esperienza del dolore, che hanno preferito vitalmente rinunciare al lusso della compassione che tu evochi – per non doverne fare maggiore esperienza. Come giudicare ciò?

GG: Il titolo Frammento 53 ha un significato particolare? E anche il titolo della mostra, Intorno l’altare di un dio sconosciuto, da cosa nasce?

CGT: Il titolo del film cita un frammento di Eraclito, quello indicato come il cinquantatreesimo nella classificazione Diels & Kranz, che recita: “Guerra (pòlemos) è padre di ogni cosa e di ogni cosa re; alcuni rivela come dei altri come uomini, alcuni rende schiavi altri liberi”. Lungi da intenzione esegetica alcuna, il frammento è stato scelto in quanto ricorso come formula guida per me e Federico durante gli anni dell’operazione. Nello stesso ruolo di formula guida è sopravvissuto nel tempo il riferimento al “dio sconosciuto” (citato dall’antico culto ateniese) nel nostro caso con riferimento arbitrario al dio della guerra. E se i sacerdoti di questo dio sono i guerrieri, l’altare su cui viene versato il sangue dei suoi olocausti è il campo di battaglia. Nel nostro caso il corpo martoriato della Liberia, dove abbiamo tentato di evocarlo.

Carlo Gabriele Tribbioli - Intorno l'Altare Di Un Dio Sconosciuto, 2018 - Installation view at Federica Schiavo Gallery, Milan - Photo Andrea Rossetti - Courtesy Federica Schiavo Gallery
Carlo Gabriele Tribbioli – Intorno l’Altare Di Un Dio Sconosciuto, 2018 – Installation view at Federica Schiavo Gallery, Milan – Photo Andrea Rossetti – Courtesy Federica Schiavo Gallery
Carlo Gabriele Tribbioli | Galleria Federica Schiavo_IndraZaiTown_2018_PrintingPaperGlassIronFrame_62x84cm
Carlo Gabriele Tribbioli , Idra / Zai Town, 2018| Galleria Federica Schiavo_IndraZaiTown_2018_PrintingPaperGlassIronFrame_62x84cm
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