Can you feel your own voice non è un’esortazione e nemmeno una spiegazione. Senza punto interrogativo il titolo scelto per la nuova edizione di Santarcangelo Festival deve essere letto come un vero e proprio suggerimento per vivere il festival in programma dall’8 al 17 luglio.
Dopo il cinquantennale festeggiato in due atti con la direzione artistica di Motus, il più longevo evento italiano dedicato alle arti performative torna sotto la guida curatoriale di Tomasz Kireńczuk, curatore, drammaturgo e attivista polacco formatosi a Roma. È proprio lui a raccontare, negli spazi di un’altra realtà storica coetanea del Festival come il DAMS di Bologna, i contenuti del suo primo Santarcangelo in veste di direzione la cui edizione ruota intorno all’elemento della voce inteso come “strumento di comunicazione, ma anche come espressione di sé e possibile mezzo di incontro” con l’Altro e gli altri.
Cinque le linee tematiche che attraversano la programmazione di quest’anno. La prima, non per importanza ma per la sua posizione di apertura al Festival, è la prospettiva femminista e femminile scelta da Kireńczuk per portare “una visione radicale della pratica artistica”.
Ad inaugurare il programma è infatti la coreografa portoghese Mónica Calle che con Ensaio Para Uma Cartografia porta in scena dodici performers per un rito costruito sull’esperienza di ripetizione. Sulla decostruzione lavorano invece Teresa Vittucci, che indaga le origini dell’immagine del corpo femminile a partire dalle rappresentazioni religiose, e Maria Magdalena Kozłowska che ha invitato un gruppo di musicisti classici a decostruire i canoni del genere operistico per celebrare il potere del femminile proprio all’interno di un teatro dell’opera come il Teatro Galli che ospiterà lo spettacolo. La prospettiva al femminile, e femminista, è anche al centro dello spettacolo di Marina Otero love me, un manifesto teatrale – che segue il precedente fuck me – radicalmente femminista che parte da un’esperienza individuale e intimista per confrontarsi con alcune norme sociali da lei rifiutate, e ancora di My Body solo con il quale Stefania Tansini continua il suo percorso di ricerca sul corpo, esponendo il proprio lato vulnerabile attraverso un’accettazione della propria precarietà proprio anche in quanto artistica, e di Tutto Brucia di Motus, spettacolo costruito sul confronto con la figura di Cassandra, uno dei personaggi più scomodi in quanto non corrispondente ai canoni sociali che viene utilizzato dalla compagnia per restituire importanza alle narrazioni femminili e a ciò che la narrazione maschile considera debole e privo di valore.
Altra linea che percorre il programma è quella del tema della natura, già esplorato sotto forma di metamorfosi in occasione della scorsa edizione e proposto quest’anno come spazio ed elemento di sperimentazione di nuovi approcci alla vita e alla quotidianità. Annamaria Ajmone propone il suo nuovo lavoro La notte è il mio giorno preferito, una riflessione sul rapporto con l’Altro che indaga le rotte dagli animali selvatici nel tentativo di prenderne in prestito lo sguardo e intuirne le possibilità d’azione “portando sul palcoscenico” racconta Kireńczuk “lo sguardo degli animali per cambiare prospettiva”.
Altamira 2042 della performer, regista e ricercatrice brasiliana Gabriela Carneiro da Cunha è invece un’esperienza sonora ideata per raccontare i cambiamenti climatici in Amazzonia coinvolgendo la popolazione indigena. Natura alla quale la performer mozambicana Marilú Mapengo Námoda offre il proprio corpo in una performance-rito della durata di nove ore consecutive durante le quali rinuncia alle definizioni di identità ed etnia. Uno spazio e un tempo performativo all’interno della quale lo spettatore può scegliere il proprio tempo di permanenza.
Il corpo, inteso come mezzo di comunicazione con il mondo esterno, è il protagonista del terzo filone tematico. Ancora una volta l’approccio è quello della decostruzione delle rappresentazioni stereotipate, uno sguardo queer sulla contemporaneità e le sue possibilità. Se l’artista non binary Catol Teixeira sperimenta l’improvvisazione come strumento di esibizione con la peau entre les doigts, il debutto coreografico di Giovanfrancesco Giannini CLOUD_extended è una riflessione sulla politica delle immagini, sulla rappresentazione mediatica dei corpi e della violenza su essi, ispirata al manifesto del comunismo queer e alle idee di Georgy Mamedov e Oksana Shatalova, attivisti radicali del Kyrgyzstan.
Ad essere chiaro da queste prima anticipazioni del programma, è la volontà del Festival di avere quello che il nuovo direttore artistico ha definito “un ruolo politico” mettere cioè in scena, indagare e riflettere tutti gli aspetti del nostro tempo, anche quelli meno eurocentrici. Ai temi del razzismo e del post colonialismo sono rivolti lo spettacolo di Calixto Neto che riprende la coreografia O Samba do Crioulo Doido, ideata nel 2004 da uno dei più importanti coreografi brasiliani contemporanei, Luiz de Abreu per portare il corpo nero maschile ad emanciparsi attraverso la celebrazione della propria queerness, e quello della sudafricana Ntando Cele che porta sul palco di uno strano cabaret il racconto della vita di alcune artiste di colore come Sarah Baartman, Josephine Baker, Sissieretta Jones o Jessye Norman. Indagano le forme di violenza invece Violences dellla regista e performer franco-belga Léa Drouet che racconta della dolorosa esperienza di due bambine, tra cui sua nonna Mado, come emblema della violenza esercitata sulle donne delle classi emarginate, 375 0908 2334. The body you are calling is currenly not available performance di Igor Shugaleev che offre letteralmente la possibilità di fare esperienza della violenza che subiscono i manifestanti contro il regime in Bielorussia.
Ultimo tema, anche questo trasversale comunque a tutti i contenuti del Festival per loro stessa natura, quello della creazione di comunità intesa come celebrazione della diversità con spettacoli come quelli di Alex Baczyński-Jenkins, una performance “intensamente relazionale” costruita attraverso movimenti alienati e il box step, e di Cristina Kristal Rizzo che porta sul palco cinque corpi danzanti disegnano una coreografia costruita su ripetizioni e differenze.
Santarcangelo si conferma un festival site specific, per il quale anche gli spettacoli già esistenti vengono ripensati in relazione agli spazi, con la produzione di tre nuovi spettacoli: tre progetti speciali ideati per spazi non teatrali della cittadina e dei luoghi limitrofi.
La regista polacca Anna Karasińska presenta all’interno dell’ex-cementificio BUZZI-UNICEM un nuovo lavoro tra teatro documentaristico, installazione ed esperienza intimista, realizzato a partire da una residenza creativa a Santarcangelo che le ha permesso di scoprire un pezzo di storia cittadina. Oggi una cattedrale chiusa alla cittadinanza, l’ex cementificio e il suo passato valore economico diventano il punto di partenza per una riflessione sul lavoro, la migrazione e i conflitti.
Il regista, filmmaker e giornalista svizzero Mats Staub, porterà il suo Death and Birth in My Life – video installazione normalmente presentata in spazi espositivi – nei salotti di otto diversi appartamenti privati di Santarcangelo, dove restituirà i dialoghi con persone intervistate circa le loro personali esperienze con la morte e la nascita. Infine gli svizzeri Igor Cardellini e Tomas Gonzalez con Emilia Verginelli presenteranno nel centro commerciale Le Befane di Rimini il loro ultimo lavoro L’Âge d’or, un progetto che simula visite guidate all’interno di spazi della quotidianità come fossero passeggiate turistiche in siti archeologici come forme di critica all’idealogia neoliberale, al consumismo e al potere economico.
Spinto dalla volontà di continuare a supportare artiste e artisti con identità ed estetica queer, Santarcangelo sarà per alcune realtà l’occasione per sperimentare nuove possibilità di condivisione e collaborazione. Kunstencentrum Voo?uit (Belgio), Kampnagel Hamburg (Germania), Fierce Festival (UK), Imbricated Real (Svizzera) lavoreranno insieme per la creazione di Bright Room, progetto che nasce dal ribaltamento di una dark room di un club, trasformato in un ambiente per ospitare workshop, talk, wellness session, feste e incontri aperti a tutte e tutti. Tra le e gli artisti coinvolti nella programmazione di Bright Room anche Bebe Books, Queereeoké, Freddie Wulf e Oozing Gloop.
A chiudere tutte le giornate del Festival ci sarà la musica nel cui programma torna quest’anno, dopo una pausa forzata, anche lo spazio di Imbosco. Due dunque i momenti dedicati al suono. Il primo è quello dei live allo Sferisterio con i concerti del duo polacco SIKSA, di Blind and Lame duo composto da madre e figlia e primo vero crossover tra programma musicale e teatrale, di Joan Thiele e del gruppo romano WOW. Il secondo invece fuori paese nel ritrovato tendone di Imbosco con gli aftershow che si inseriscono nella ricerca del Festival come uno spazio di condivisone e comunità in un’atmosfera di spensieratezza.