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Lo spazio Cabinet presenta il lavoro di due artisti statunitensi, Brian Calvin e Wendy White, che espongono per la prima volta insieme in questa doppia personale italiana. Un incontro inedito e ben riuscito, voluto dalla curatrice Maria Chiara Valacchi, che mette efficacemente in relazione ricerche diverse ma complementari che riflettono con mezzi differenti sull’estetica delle immagini massmediali con esiti tipicamente americani. Un comune denominatore che parte dal linguaggio pop e ne elabora l’eredità in riferimento alle modalità della comunicazione attuale.
L’indagine di Calvin parte dallo studio del ritratto che interpreta alla luce del linguaggio cinematografico: non essendo interessato allo sviluppo narrativo né all’analisi psicologica dei personaggi, si concentra sui volti che rende nel modo più neutro possibile, con uno stile essenziale, dalle campiture piatte e senza sfumature, derivato dall’illustrazione pubblicitaria e dalla tradizione della Pop art. Si tratta sempre di primi o primissimi piani o perfino singoli dettagli – guance, bocche, occhi – in acrilico, come nelle tre tele di medie e grandi dimensioni qui esposte, realizzate nel 2016-2017, che offrono dei continui campi e controcampi. I personaggi, qui tutti femminili, non lasciano trasparire emozioni e si mostrano nella loro pura esteriorità.
Come in un set, questi volti sono immersi in un ambiente artificiale determinato da elementi grafici stilizzati quali cuori, arcobaleni e nuvole collocati sulle pareti e nello spazio: questa serie di lavori del 2016 di White rielaborano il vocabolario simbolico elementare degli emoticon ed emoji ormai parte della nostra espressione quotidiana. Il processo di elaborazione e di sintesi applicato a queste immagini, diventate familiari e universalmente comprensibili, è il risultato di una serie di sovrapposizioni cromatiche che riprendono la modalità processuale dei software di grafica: l’inspessimento della superficie trasforma la bidimensionalità segnica in una presenza scultorea monocromatica. L’artista abitualmente utilizza l’universo segnico urbano e mediatico, prendendo a prestito marchi, scritte e figure, inserendoli in un personale e complesso palinsesto linguistico debitore della Pop ma soprattutto del New Dada di rauschenberghiana memoria, con esiti ibridi tra pittura e scultura.