Dopo La forma dell’acqua (2010) e A cosa aspira l’acqua (2017), Gregorio Botta torna nella Galleria Studio G7 di Bologna con la personale Breathe Out, secondo capitolo di una narrazione che vede il suo incipit nella mostra Breathe In inaugurata presso lo Studio Trisorio di Napoli il 29 settembre 2021.
Inspirare ed espirare costituiscono due momenti “di cui poco ci curiamo” – scrive Marinella Paderni nel testo critico che accompagna la mostra – ma che definiscono, tuttavia, “la nostra vita, gli spazi che abitiamo e l’esperienza nel tempo”. Se, nel caso della mostra partenopea, l’attenzione dell’artista è rivolta all’interno, a un qualcosa che accade interiormente – e che ci riporta al periodo di lockdown in cui tutti siamo stati costretti a fare i conti con noi stessi – nel caso di quella bolognese – costituita da lavori esclusivamente inediti – è il rilascio il momento chiave sul quale si sofferma: quel preciso istante in cui tutto ciò che abbiamo elaborato trova finalmente una via d’espressione. Ecco che, allora, le opere si caricano dei significati “dell’abbandono e della […] leggerezza [nonché] della perdita”, essendo legate simbolicamente all’atto dell’espirazione, e, dunque, a un qualcosa di inafferrabile, di invisibile, di incorporeo.
Tra vuoto e silenzio, la mostra presentata allo Studio G7 si pone perfettamente a metà strada tra le esperienze di due pilastri che hanno sovvertito il paradigma di tali concetti: Yves Klein e John Cage. Se, difatti, le opere di Botta sprigionano una forte carica energetica – laconica, come nel caso dei due maestri – ad alimentare tale carica, però, non è alcun riferimento spirituale – caro soprattutto al primo: la trascendenza, che comunque si raggiunge, la si ottiene avendo fatto i conti con sé stessi (Breathe In), attraverso un movimento ascendente che non ha alcun fine se non quello di superare costantemente sé stesso.
È ciò che accade in Hölderlin Paradise (2021), in cui forti rimangono gli appigli ‘terreni’ rappresentati dalla figura del poeta tedesco – per voce della poetessa Emily Dickinson – e da quella dei piccoli fiori che animano spesso le ultime composizioni dell’artista, o in In molti luoghi ignoti (2021), “porta vuota sul vuoto” – come la definisce lo stesso Botta – in eterna lotta con l’irriducibile precarietà della sua essenza. Lo stesso dicasi per Il cielo è a tal punto mentale (2021) e La mente è a tal punto celeste (2021), i cui cerchi che ne definiscono l’identità – il primo dei quali realizzato con un particolare pigmento chiamato verde di Nicosia – non rimandano ad alcun simbolismo: semmai, svolgono anch’essi, come nel caso della lastra di vetro di Hölderlin Paradise, la funzione di soglia, di sottile passaggio tra un vuoto e un altro. Il Senza titolo (2021) che completa la mostra costituisce un’ulteriore prova: i residui di tela che lo compongono non rimandano a null’altro se non all’operosità dello stesso artista, essendo essi già stati utilizzati in precedenza e recuperati perché utili all’esigenza inarrestabile della creazione.
Per quanto impercettibile possa essere, il movimento dell’ispirazione tende a dare forma al respiro: raccogliamo aria che, una volta introdotta tramite la bocca o le narici, assume la conformazione dei nostri organi, del nostro corpo. Al contrario, il movimento dell’espirazione non contempla alcuna struttura, non accetta alcun limite: è respiro che si mescola al creato e che, come per le opere di Gregorio Botta, non rimanda ad alcuna natura se non alla propria, invisibile e percettibile a un tempo.
Gregorio Botta, Breathe Out
Dal 1 ottobre 2021 al 13 novembre 2021
Galleria Studio G7, Bologna