BITE THE SAURUS, Napoli | Intervista con i curatori

Lo scorso marzo 2018 la chiesa sconsacrata San Giuseppe delle Scalze a Pontecorvo di Napoli ha ospitato INTROITUS (Parte del Tutto), progetto frutto della collaborazione tra Roberto Casti & The Boys and Kifer e BITE THE SAURUS, nascente duo curatoriale formato da Dalia Maini ed Enzo Di Marino.
28 Aprile 2018
The Boys and Kifer, Mimetic Ensemble for a church #1, 2018, performance, Chiesa di San Giuseppe delle Scalze a Pontecorvo, Napoli, Italia

The Boys and Kifer, Mimetic Ensemble for a church #1, 2018, performance, Chiesa di San Giuseppe delle Scalze a Pontecorvo, Napoli, Italia

L’interno della chiesa sconsacrata di San Giuseppe delle Scalze a Napoli lo scorso marzo si è tinta di un verde alieno. Roberto Casti & The Boys and Kifer, sotto la sapiente guida del duo curatoriale BITE THE SAURUS formato da Dalia Maini ed Enzo Di Marino, hanno trasformato lo spazio in un palcoscenico per un concerto a due sole mani. Il primo atto di questo spettacolo ha avuto luogo nella navata centrale della chiesa, una performance della band immaginaria The Boys and Kifer. Voce, chitarra, batteria e tastiera erano suonate in successione da Roberto Casti, che camaleontico passava da uno strumento all’altro, registrando suoni e componendo così una partitura fatta di sovrapposizioni. Suoni ripetuti come un inno solenne riverberavano tra le mura della chiesa.

Un limbo costituito da un’installazione di luci verdi e fumo accompagnava il visitatore dall’ambiente sonoro al secondo capitolo di INTROITUS (Parte del Tutto). Un ambiente allestito per l’occasione come una sala cinematografica ospitava il video The Series – The Beginning, una puntata di un’ideale serie televisiva sul tema dell’origine dell’universo.

La mostra si articola come un percorso sul linguaggio in un ambiente che ha accolto, sin dalla sua origine, richieste e preghiere dell’uomo espresse tramite la parola. Si tratta del secondo progetto di BITE THE SAURUS, che nasce da un’esigenza di confronto con la scena artistica napoletana e il cui obiettivo sta nella creazione di un sistema alternativo a quello istituzionale. Una sfida che apre orizzonti nuovi sulla scena artistica locale.

Di seguito un’intervista con BITE THE SAURUS —

Giulia Gelmini: La formazione del duo curatoriale BITE THE SAURUS sembra nascere da una mancanza, da un’esigenza di aprire nuovi scenari nella scena artistica napoletana e dalla necessità di coinvolgere giovani artisti in una città che nasconde centinaia di luoghi meravigliosi, da riscoprire e ripensare. In questo secondo progetto avete scelto la chiesa sconsacrata di San Giuseppe delle Scalze, riattivandone quasi le funzionalità rituali con la performance di Roberto Casti & The Boys and Kifer. La scelta di una chiesa per la realizzazione del vostro progetto ha portato alla scelta dell’artista con il quale lavorare o è avvenuto il contrario?

Bite the Saurus: Napoli nell’immaginario comune è un crocevia di luoghi polverosi e piccole realtà indipendenti, quindi per noi è stimolante cercarli, selezionarli, valorizzarli, porli in evidenza. Alfred Sohn- Rethel sostiene che la tecnica propria dei partenopei inizi non appena può sfuggire dall’automatismo della macchina, la componente creativa è fondamentale e si attiva, con più gusto, solo quando qualcosa si rompe. La “filosofia del rotto”, imputata all’indole di ogni napoletano, è per noi una preziosa qualità attraverso cui Bite the Saurus cerca di distaccarsi dal discorso autoreferenziale che vede perennemente la città come un curioso caso di studio. Cerchiamo di indirizzare con rigore le nostre energie e di chi ci segue in un doppio movimento sincronico, centripeto e centrifugo. Portiamo esperienze nuove e giovani in città cercando di restituire l’immagine di una metropoli che si sta attivando e che possa essere intesa di nuovo come centro produttore di cultura. Jaques Rancière ne Il disagio dell’estetica sostiene che le pratiche artistiche siano sempre collegate ad una ridistribuzione del fare e a un ripensamento dei modi di essere attraverso l’esperienza del visivo. Abbracciando in senso lato il suo pensiero cerchiamo di riposizionare l’arte all’interno di una missione politica. Per non svalutare il nostro tentativo di innesto in mero parassitismo culturale, è inevitabile che la scelta del luogo sia imprescindibile dalla necessità dell’artista, solo così il ripensamento è coerente.

Se con Luca Staccioli il Riot Studio ci è sembrato spontaneamente il luogo più adatto, per Roberto Casti la chiesa de Le Scalze è stata scelta a seguito del desiderio dell’artista di mettere alla prova il suo lavoro in un contesto religioso e rituale in potenza sovrastante. La chiesa, oramai un vestigio della sua antica funzione, attraverso alcune proprie componenti si è tramutata in un nuovo luogo di culto. L’arte così in un gioco di echi del lontano e poi vicino, come un tessuto cicatriziale fa sorgere nuove nicchie sintropiche.

The Boys and Kifer, Mimetic Ensemble for a church #1, 2018, performance, Chiesa di San Giuseppe delle Scalze a Pontecorvo, Napoli, Italia

The Boys and Kifer, Mimetic Ensemble for a church #1, 2018, performance, Chiesa di San Giuseppe delle Scalze a Pontecorvo, Napoli, Italia

GG: Parlando di progettualità, come lavora il vostro duo? Partite da tematiche da sciogliere e poi proseguite con la scelta degli artisti e dei luoghi oppure individuate un luogo e proseguite con un’analisi delle sue caratteristiche?

BTS: Nella rivisitazione Disney di Alice nel Paese delle Meraviglie, ad un certo punto vediamo la spaesata protagonista ingigantirsi in modo sproporzionato all’interno della villetta del malcapitato ed ansioso bianconiglio, a tal punto da sfondare le porte e le finestre con gli arti. Il luogo diventa pesante indumento, o meglio armatura, che impossibilita i movimenti della ragazzina. Su consiglio scellerato del Cappellaio Matto, minando la struttura stessa della casetta, le viene dato fuoco per scacciare il “mostro”. Come duo curatoriale, ci allontaniamo da questo modello distruttivo, mortifero e oltremodo invasivo, ma ci poniamo come silenziosi consiglieri, pronti ad offrire una doppia rete di salvataggio e di competenza, qualora ce ne fosse bisogno. Ciò che suggeriamo ai nostri artisti è: invece di addentare il biscottino, ingrandente o rimpicciolente, mordicchiare le pareti della casa, così da liberarsi e lasciare un segno del trauma coercitivo subito.

Se l’architettura può essere pensata come prolungamento ed espansione del corpo, per noi è anche palestra per la mente, luogo in cui l’artista deve attuare strategie di ripensamento e adattamento. Lo spazio diventa una seconda epidermide da sfruttare come sensorio ricettivo. Le location delle mostre di Luca Staccioli e Roberto Casti, sono state da noi proposte, avendo in mente i desideri, le attitudini e le ricerche degli artisti, che come tartarughe si sono adattati al loro interno, pensandoli e fisicamente trasportandoli da un campo d’uso e d’azione ad un altro. Entrambe le location, luoghi non concepiti essenzialmente per mostre, lo sono diventati attraverso l’innestarsi dell’opera, il rivoluzionamento attuato dal pensiero artistico. All’interno dello Studio Riot, Staccioli ha scomposto, spostato, trasportato e solo infine composto un display con gli elementi scenografici messi a disposizione dallo spazio polifunzionale, a creare nicchie semantiche in cui depositare le sue opere; Casti invece si è servito di metri e metri di cavi, come condotti linfatici, per dar vita al progetto artistico tra le antiche e marmoree pareti della chiesa, quasi prive di prese elettriche. Come organismo compatto, vivente e poroso, i cui elementi si muovono in simbiosi, Bite the Saurus, cerca di registrare prima, durante e dopo l’esposizione, gli spostamenti umorali, creativi, produttivi dell’artista, ampliandoli e divulgandoli attraverso un contributo testuale. Ogni mostra è accompagnata da una fanzine, a cui prendono parte su nostro invito, voci di varia provenienza. Se il momento esperienziale, offerto dai progetti di mostra, attua un’inversione di sguardo, basatasi sulla fruizione estemporanea, la “costola” testuale offre un approccio caleidoscopio e rivisitabile nel tempo. L’apparato teorico è una vera e propria concrezione del progetto espositivo, un organo, o meglio una memoria sinergetica, che funge nell’avvenire da testimonianza di nascente pensiero, convergenza di approcci e tendenze.

Roberto Casti, The Series – The Beginning, 2018, hd video, Chiesa di San Giuseppe delle Scalze a Pontecorvo, Napoli, Italia

Roberto Casti, The Series – The Beginning, 2018, hd video, Chiesa di San Giuseppe delle Scalze a Pontecorvo, Napoli, Italia

GG: Che cosa Napoli, a differenza di altre città italiane, pensate possa dare al vostro progetto? In fondo è una città dalle caratteristiche uniche e immagino sia necessario confrontarsi con la storia del luogo. E invece, quali sono le difficoltà che avete incontrato o che vi aspettate di incontrare nel vostro percorso?

BTS: In molti luoghi, spesso, quando per la prima volta si osserva un fenomeno o un oggetto strano, lo si guarda con diffidenza, non lo si capisce. Questo soprattutto in quelle nicchie umane, come Napoli, in cui la caratteristica è aver affidato la programmazione culturale alla memoria di un continuo revival di uno “ieri” e alla discrezione dell’auto-organizzazione cittadina. In questo caso l’immagine del dinosauro/istituzione in relazione al panorama Napoletano è ancora una volta indicativo e aiuta a comprendere come abbiamo individuato e formalizzato una carenza, l’abbiamo tramutata in terreno fertile di sperimentazione. L’idea di avere un gigantesco animale preistorico, per quanto goffo, in giro per la città, dovrebbe in potenza terrorizzare, motivare nuove strategie di sopravvivenza, ma se l’istituzione mostruosa è così ben radicata, oramai mimetizzata e parte del quotidiano, la carica sovversiva si neutralizza, è messa al guinzaglio come un chihuahua. In una città di dinosauri, se un giorno passeggiando si incontrasse una tigre blu, la cosa spiazzerebbe, forse sgomenterebbe, richiederebbe la rinegoziazione di un sapere precedente, quello in primis della possibilità di trovare una tigre in città e poi della tinta del pelo felino. Se dopo due giorni la tigre scomparisse, e al suo posto si incontrasse una marmotta parlante, dopo due mesi un nano da giardino in carne e ossa, oppure un pesce rosso con le gambe, allora gli occhi potrebbero iniziare ad aprirsi. Ci si potrebbe abituare ad un continuo confronto con qualcosa di diverso, che è altro oltre il dinosauro, ma che si muove nello stesso ambito di competenza. Attraverso la persistenza nel tempo e la sorpresa, Bite the Saurus cerca di rendere l’esperienza dell’in-visto, mettendola in luce, un appuntamento da aspettare, tramutare lo sguardo assopito e incontaminato da un certo tipo di vettori teorici e esperienza visiva, attraverso l’impatto con l’alterità. Le difficoltà che si incontrano sono proprio quelle legate al clima culturale di Napoli, l’esser relegato al tempo passato e a la produzione della sempre uguale napoletanità. È un processo lungo, tanti piccoli morsi da dare, nuove entità da creare e poi proporre. Non ci aspettiamo di essere capiti nell’immediato, ma vogliamo sorprendere noi stessi e sorprenderci con la città. Questo Napoli può ancora offrire, ed è una caratteristica preziosa, l’esercizio all’ UNDR, la meraviglia borgesiana.

Luca Staccioli, The other other, familiar other, 2018, exhibition view at Riot Studio, Napoli, Italia

Luca Staccioli, The other other, familiar other, 2018, exhibition view at Riot Studio, Napoli, Italia

Luca Staccioli, The other other, familiar other, 2018, exhibition view at Riot Studio, Napoli, Italia

Luca Staccioli, The other other, familiar other, 2018, exhibition view at Riot Studio, Napoli, Italia

Luca Staccioli, The other other, familiar other, 2018, exhibition view at Riot Studio, Napoli, Italia

Luca Staccioli, The other other, familiar other, 2018, exhibition view at Riot Studio, Napoli, Italia

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